L’emporio dei serial killer

“I wander through each chartered street
Near where the chartered Thames doth flow
And mark in every face I meet
Marks of weakness, marks of woe.” [1]

William Blake

Nel 2014, l’ufficio nazionale delle statistiche scelse il comune “più infelice” in cui vivere in tutto il Regno Unito: Barrow-in-Furness.

Cosa ampiamente confermata da questa scultura che illustra le quattro fonti dell’infelicità di Barrow, nominandole pure:

barrowBARROW-IN-FURNESS-40A--The-Spirit-of-Barrow-sculpture-by-Chris-Kelly“Skill, Progress, Courage, Labour”

La scultura, che risale appena al 2005, è stata pagata dalla BAE Systems Submarines, che ha recentemente ricevuto 300 milioni di sterline dai contribuenti inglesi per migliorare i suoi pesciolini nucleari.

Barrow-in-Furness è diventata una macchia nera sulla pelle del pianeta nell’Ottocento, quando un ferroviere e uno speculatore convinsero due oziosi duchi a investire i loro averi nell’acciaio.

Con una crescente specializzazione in qualunque cosa potesse tagliare, squarciare, bruciare o mutilare carne umana.

Da allora, gli abitanti di Barrow-in-Furness, uniti nei loro sindacati e fedeli al Partito Laburista, aspettano le guerre come i loro avi aspettavano il ritorno dei pescherecci dal mare.

 E’ un momento felice, questo, per il comune più infelice del Regno.

“Promuovere le esportazioni è vitale per la crescita economica, ecco perché faccio tutto quello che posso per promuovere gli affari inglesi… in modo che possano prosperare nella corsa globale. Ogni paese al mondo ha il diritto di difendersi, e io sono determinato a mettere l’industria inglese della difesa, di prima classe, all’avanguardia del mercato, sostenendo 300.000 posti di lavoro in tutto il paese”.

Così parlo il primo ministro britannico, David Cameron, alcuni anni fa alla vigilia di un viaggio nell’Oman, in cui avrebbe personalmente venduto gli aerei Typhoon, vantando la loro performance nella distruzione della Libia.

Nota:

[1] Chartered si riferisce insieme agli statuti concessi ai vari quartieri di Londra, alle imprese con i loro statuti e alla vendita della manodopera, e probabilmente significa anche charted, nel senso di “messo sulla mappa” e quindi misurabile e controllabile.

Si potrebbe tradurre molto approssimativamente:

 “Cammino attraverso le strade dei quartieri
vicino a dove il Tamigi imbrigliato e venduto scorre
e osservo su ogno volto che incontro
segni di stanchezza, segni di dolore”.

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184 risposte a L’emporio dei serial killer

  1. Francesco scrive:

    Ho sempre pensato che laburismo e sindacalismo portassero all’infelicità. 😀

    Mi stupisce scoprire che a Londra ci sarebbero ancora cantieri per sottomarini, sicuro che il monumento non sia riferito al passato?

    E così il buon vecchio Cameron è andato anche lui a vendere i Typhoon agli arabi? devono esserci andati tutti i leader europei, tranne i francesi naturalmente (loro hanno i Rafale da vendere)

    Ciao

  2. Grog scrive:

    Ma si tratta di INGLESI non di ESSERI UMANI
    Grog! Grog! Grog! Grog! Grog! Grog! Grog! Grog! Grog!

  3. Z. scrive:

    Questa è per il Duca, che non ama leggere in inglese. Così non si preoccupa che io ce l’abbia con lui 🙂

    Vago per le strade trafficate
    C’è il fiume trafficato, sento il suo rumore
    E scorgo sul volto di ogni passante
    Segni di stanchezza, segni di dolore.

    In ogni pianto di ogni uomo
    Nel pianto di dolore di ogni bambino
    In ogni voce, in ogni divieto
    Sento la catena, sento il manichino.

    Sento il grido dello spazzacamino
    Che fa tremare ogni chiesa nera
    Sento il sospiro della guardia sventurata
    Che cade nel sangue sotto le mura.

    Ma soprattutto a mezzanotte
    Sento la giovane passeggiatrice
    Che spazza via le lacrime del bimbo
    E con la sifilide le nozze maledice.

    I wander thro’ each charter’d street,
    Near where the charter’d Thames does flow,
    And mark in every face I meet,
    Marks of weakness, marks of woe.

    In every cry of every Man,
    In every Infant’s cry of fear,
    In every voice, in every ban,
    The mind-forg’d manacles I hear.

    How the Chimney-sweeper’s cry
    Every black’ning Church appalls;
    And the hapless Soldier’s sigh
    Runs in blood down Palace walls.

    But most, thro’ midnight streets I hear
    How the youthful Harlot’s curse
    Blasts the new born Infant’s tear,
    And blights with plagues the Marriage hearse.

    Secondo me charter’d aveva anche un qualcosa di “inquinato”, di “insudiciato”, e infatti in una delle prime versioni era dirty.

  4. Moi scrive:

    Ma gli Inglesi non erano quelli che avevano iniziato a “delocalizzare” nei Sixties ?

    • Francesco scrive:

      no, gli Inglesi hanno proprio chiuso quasi tutta la loro industria manifatturiera

      sarebbe interessante vedere la relazione tra riforme laburiste della società (diciamo dal 1945 a Maggie) e desertificazione industriale

      anche se il processo di decadenza economica inizia prima

      ciao

      • Andrea Di Vita scrive:

        @ Francesco

        Mi permetto di raccontare un ricordo personale.

        Vissi a Oxford al tempo di John Major.

        Chiusero la Rover. La linea di produzione la diedero ai Cinesi, che ci fecero una fabbrica di fuoristrada.

        File di sciamannati cinquantenni aspettavano davanti ai Community Centers e alle vetrine dei negozi per turisti del centro per un posto da commesso a cento sterline la settimana.

        Uscendo in macchina sulla circonvallazione, vidi nella pioggia la sfera oscillante da una gru sfasciare le pareti della fabbrica della Rover.

        Ciao!

        Andrea Di Vita

        • Lanzo scrive:

          Da vecchio motociclista penso alle mitiche moto inglesi.
          BSA, AJS, NORTON ed altre – ora scomparse – eppure negli anni 60 erano il massimo della figaggine, ma non avevano recepito i tempi che cambiavano, l’HONDA 750 CB, 4 cilindri (mentre le inglesi “grosse” erano 2 cilindri) con avviamento elettrico le stese, a quei tempi le moto inglesi le avviavi solo a pedale, cosa non facile.
          BSA e Triumph tirarono fuori modelli a 3 cilindri e avviamento elettrico, ma era gia’ troppo tardi,
          La Triumph e’ l’unica sopravissuta, quanto poi sia il contenuto britannico nin zo.

          • Lanzo scrive:

            Tranne la ARIEL, ma erano o mono o bicilindriche.
            La mitica Norton Manx – IMHO – una delle piu’ belle moto mai concepite – era un monocilindrico di 500 cc.

        • Francesco scrive:

          Oggi nel Regno Unito fabbricano/montano molte più automobili che in Italia.

          Solo che nessuna società che lo fa è inglese: tedeschi, giapponesi, statunitensi, forse cinesi.

      • Pietro scrive:

        La Tatcher ha chiuso un bel po’ di roba, il fallito sciopero dei minatori forse ha cambiato la faccia del paese.

        • Francesco scrive:

          senza forse ma la manifattura inglese era all’epoca come quella meridionale in Italia

          non molto sana economicamente

          • Pietro scrive:

            Si ma il minatore era meglio del broker, come il terrone e’ antropologicamente meno dannoso del pieddino milanese 😀

          • Francesco scrive:

            “il minatore era meglio del broker” meriterebbe un bel trattato di storia, economia, sociologia e morale

            anche se la fine del trattato immagino sia nota (no, non si può dirlo, è un’affermazione priva di senso)

            diciamo però che ho tali dubbi sui broker della City che lo leggerei

            ciao

  5. roberto scrive:

    perfettamente in topic visto che si parla di (in)felicità ed una decisione più stupida ed infelice è diffile da immaginare

    http://firenze.repubblica.it/cronaca/2016/03/16/news/_nei_ristoranti_solo_cibi_locali_il_menu_che_divide_firenze-135580897/?ref=HREC1-8

    il tutto con l’aggiunta “Non vogliamo affatto colpire i cibi etnici, ”

    hahahahahahahahahahahahaha

    ridicoli e patetici pusillanimi

    • Miguel Martinez scrive:

      “il tutto con l’aggiunta “Non vogliamo affatto colpire i cibi etnici, ” ”

      Ma il problema di fondo è reale: l’intero centro storico si sta trasformando in una monocultura, al piano terra luoghi dove mangiare/bere, sopra i bed and breakfast.

      I primi portano sicuramente ricchezza ai proprietari (assenteisti) dei fondi e ai gestori dei locali, ma portano unicamente devastazione e svuotamento ai rioni della città.

      Però, i localari, oltre a possedere le licenze, possiedono anche il Partito Unico. E quindi non è immaginabile alcuna mossa contro di loro.

      A questo punto, si crea il finto bersaglio del “cibo etnico” e della “identità”. Poi cosa ci sia di “identitario” in un localaro magari napoletano che vende cibi toscani a gruppi di americani, devo ancora capirlo.

      Questo non vuol dire che non ci sia qualcosa di strano nella fitta rete di bengalesi musulmani che gestiscono “minimarket” aperti in piena notte, dove l’unico prodotto in vendita è alcol a basso prezzo (e non è certo “cibo etnico”). Ma evidentemente i localari preferiscono che i bevitori bevano dentro i loro locali e non per strada.

      • Miguel Martinez scrive:

        Inoltre, la manovra è di portata limitata – Firenze è già satura di locali, e questa presunta azione riguarderà soltanto i locali di nuova apertura (ce ne sono quattro nel raggio di cinquanta metri da qui).

        Facendo la tara alla “identità” – che non è certo l’etichetta sui prodotti, ma tutto il tessuto sociale – sarei invece d’accordo sul privilegiare sempre e ovunque prodotti che usano meno mezzi di trasporto per arrivare da noi.

        Sia per ridurre l’impatto dei trasporti stessi, sia per promuovere ovunque la varietà contro le monoculture.

        Però a queste cose il nostro sindaco dubito che ci arrivi.

        • Miguel Martinez scrive:

          Interessante come ci si possa fraintendere.

          Solo in questo momento, mi è venuto in mente che il provvedimento fiorentino potesse essere considerato (scusate il termine generico) “razzista”.

          In realtà, le motivazioni sono ben più terra terra.

          Un esempio.

          Arriva una nave-crociera a Livorno con mille turisti a bordo. Prendono un pullman, che quando arriva a Firenze occupa un sacco di posti macchina.

          Scendono dal pullman, vanno a prendere un panino al volo, kebab o no poco importa, basti che costi poco, buttano le cartacce per terra e se ne vanno.

          I localari impazziscono, perché il posto occupato dal pullman è tolto ai loro clienti; e devono pagare poi le tasse per la raccolta dei rifiuti. Mentre i soldi, invece di andare a loro, vanno ai kebabbari e affini, italiani o stranieri nulla importa.

          Ma perché i turisti dovrebbero andare dai localari?

          Beh, perché Dante, Brunelleschi, la bistecca alla fiorentina, il vino Chianti d’annata… insomma tutta un’aura finta con cui cercano di aureolare i loro prodotti: ecco perché si tirano fuori i prodotti “nostri”, con la cui produzione probabilmente i localari stessi hanno poco a che fare.

      • roberto scrive:

        ” l’intero centro storico si sta trasformando in una monocultura,”

        sinceramente non capisco bene il tuo disco (a parte una certa vaga antipatia per localini, localari e turisti)

        il problema è il minimarket aperto in piena notte?
        beh, fai un’ordinanza per farlo chiudere alle 20h00, mica una per obbligarlo a vendere chianti oltre che birra

        • Miguel Martinez scrive:

          “l problema è il minimarket aperto in piena notte?”

          E’ quello che dice il sindaco, dando addosso ai bengalesi. Sul “chianti”, c’è anche il problema dell’Unesco, che ha mosso accuse piuttosto serio alla città. E quindi il sindaco cerca di correre ai ripari, sottolineando l’aspetto identitario.

          I veri problemi sono altri, ti do qualche esempio:

          1) concerti/bar organizzati “per l’estate” con il patrocinio del Comune che durano ininterrottamente da maggio a fine ottobre in Piazza del Carmine, ogni giorno con musica a volume spaccatimpani fino a mezzanotte e oltre. Che per un giorno va bene, una settimana magari pure, al secondo mese di insonnia gli abitanti di tutto il quartiere pensano di andare a vivere altrove, e qualcuno lo fa.

          2) nuovo locale fighetto nel centro storico, inaugurato da Renzi in persona, in una piazza pedonalizzata dove il padrone ha fatto buttare giù i paletti e tutte le notti entrano in macchina a centinaia, poi litigano tra di loro perché i Suv si bloccano a vicenda

          3) a Sant’Ambrogio, i tour alcolici notturni per studenti americani che per un prezzo fisso possono bere tutto quello che vogliono, fino a svenire.

          4) A Piazza Tasso, la nostra amica Maria che cerca di andare via tutta l’estate, perché c’è il locale di fronte a casa sua che ha ottenuta una deroga a tutto dal Comune e può sparare musica ad alto volume fino all’una di notte. Per cui nell’estate più calda, Maria non può aprire le finestre.

          Ecco, questo è il clima, e non credo che la colpa principale sia della birra contro il chianti.

          • roberto scrive:

            la tua ultima frase è il riassunto di quello che dico io.

            nessuno di questi problemi troverà mai una soluzione impedendo ad un kebabbaro di riprendere un bar in centro, o obbligandolo a vendere kebab fatto con carne toscana

            • Miguel Martinez scrive:

              “nessuno di questi problemi troverà mai una soluzione impedendo..”

              Certo, siamo pienamente d’accordo e infatti tutto suona come una beffa ai residenti.

              Però volevo sottolineare la realtà complessa che c’è dietro, che non è xenofobia come forse potrebbe sembrare.

          • Z. scrive:

            Robbè, state dicendo la stessa cosa! 🙂

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      A Lucca avevano emanato un’ordinanza simile, ma lì l’obbligo per i ristoratori era di offrire almeno un piatto tipico del luogo in centro. Quindi il kebabbaro doveva inserire nel menù un piatto toscano ed era in regola.
      Inutile dire che visto che la decisione era di un’amministrazione di destra si aprì il cielo a sinistra, mentre ora che è il proconsole renziano a farlo si sta salvando il genio leonardesco.

    • Pietro scrive:

      La cosa tremenda e’ proprio quella insopprimibile esigenza di sentirsi buoni e riconoscersi dalla parte del giusto… Uno dei motivi per cui questa civilta’ verra’ spazzata via!

    • Peucezio scrive:

      “Non vogliamo affatto colpire i cibi etnici, ”

      Certo che è paradossale: viene definito etnico ciò che è internazionale e c’è dappertutto e non etnico ciò che è locale.

      Come quegli antirazzisti che si proclamano tali in nome della difesa della diversità (sic).

      • Miguel Martinez scrive:

        ““Non vogliamo affatto colpire i cibi etnici, ”

        Certo che è paradossale:”

        Concordo. Ma è da aggiungere che qui non è in ballo nulla di “etnico”, anche in questo senso assurdo.

        Il kebabbaro vende un pranzo abbastanza sostanzioso che costa poco; e il bengalese vende occidentalissimo alcol e patatine.

        Infatti, l’obiezione che i perbenisti muovono è che si tratta di roba “di poco conto” che non è all’altezza di classe di una città snob, non che sia roba “straniera”. Infatti, se la prendono anche con le bancarelle cariche di kitsch e di cartoline.

        Il turista che viene a Firenze deve spendere il più possibile.

        • Pietro scrive:

          @Miguel: secondo te, tra economia e razza chi vince se si fanno gli schieramenti per una guerra?

        • Francesco scrive:

          meglio

          il turista che viene a Firenze deve essere carico di soldi di suo (i posti sono limitati) ed essere spennato di buon grado

          quindi va eliminata ogni possibilità di accesso per gli schifosi pezzenti che mangerebbero dal kebabbaro o in pizzeria o da MacDonalds e che comprerebbero un ricordino da 5 euro

          ci vuole gente che lasci 200 euro a pasto e compri in butìk qualche vaccata da 1.000 euri

          la colpa, inutile dirlo, è di Firenze che è troppo piccola: l’avessero fatta bene ci sarebbe posto per tutti i portafogli

          😀

          • Miguel Martinez scrive:

            “la colpa, inutile dirlo, è di Firenze che è troppo piccola: l’avessero fatta bene ci sarebbe posto per tutti i portafogli”

            🙂

            Visto che siamo nel campo delle Riforme Impossibili…

            Firenze, di interessante, ha una serie di monumenti, per la maggior parte risalenti al Rinascimento. Ha inoltre cormorani, aironi cinerini, aironi bianchi e martinpescatori (le folaghe sono rarissime, ormai).

            Quindi, per poter essere ammessi a Firenze, basterebbe che gli aspiranti visitatori scrivessero un piccolo tema, anche nella propria lingua, intitolato “perché mi interessa l’arte rinascimentale” oppure “gli habitat umidi del cormorano”.

            Chi non è interessato a cormorani e canoni rinascimentali, può andare a visitare posti molto più interessanti.

          • Francesco scrive:

            Miguel

            guarda che lo scopo del giuoco è attirare i portafogli, non i cervelli

            laonde la quale la tua idea è assai pessima

            il colpo geniale sarebbe attirare SOLO i portafogli senza i relativi umani, che ne so, una royalty da pagare ogni volta che si guardano le foto dei monumenti fiorentini

            😉

            • Miguel Martinez scrive:

              “guarda che lo scopo del giuoco è attirare i portafogli, non i cervelli”

              Però i turisti in genere vanno bene. Trattandosi di persone fuori dal loro ambiente (escludendo quelli in gruppi organizzati), che hanno pagato per godersi positivamente qualcosa, sono in genere gentili, curiosi e simpatici.

              Basterebbe ridurne il numero del 50%.

              Anche gli studenti americani non sarebbero male, se solo fossero obbligati a pesanti lavori fisici dalle 7 di mattina alle 11.

          • Mauricius Tarvisii scrive:
          • roberto scrive:

            e se uno che non conosce l’arte del rinascimento scrive che è curioso di sapere se gli piace?
            e se poi magari dopo un giorno di turismo si rende conto che inseguire le studentesse americane nei pub?

          • Francesco scrive:

            Miguel

            la tua insensibilità alla pecunia ha del patologico irrecuperabile!

            😀

  6. roberto scrive:

    a leggere sul sito del comune di firenze pure aprire una italianissima pizzeria sarà complicato, che tra mozzarella di bufala, olio pugliese, pomodoro dan marzano e prosciutto di parma, nulla è “locale”

    (da repubblica avevo capito che i prodotti dop, igp e pat si salvavano, invece si salvano solo se toscani)

    http://met.cittametropolitana.fi.it/news.aspx?n=214976

    il lampredotto è buonissimo, ma alla fine se lo mangi tutti i giorni viene a noia

  7. habsburgicus scrive:

    @Miguel (e tutti…alcuni parti dovrebbero, per esempio, interessare a Mirkhond)
    che ne pens(i/ate) ?
    http://pauperclass.myblog.it/2016/03/07/quando-morira-lultimo-italiano-alceste/

    • habsburgicus scrive:

      e, collegato, questo
      http://mvl-monteverdelegge.blogspot.it/2014/09/lestinzione-dellitalia-una-cronaca.html
      si notino le due ultime parole, un’inesorabile ancorché dolorosissima presa d’atto

      • Miguel Martinez scrive:

        “e, collegato, questo”

        ripeto, quello che secondo me sfugge è che ciò che ha fatto “grande l’Occidente” – la sete di potenza illimitata accompagnata dall’organizzazione tecnologica per realizzarla – è la stessa cosa che, dopo aver distrutto il resto del mondo, distrugge l’Occidente.

        Non è un’altra cosa.

        • Andrea Di Vita scrive:

          @ Martinez

          Consiglio davvero di leggere “La potenza dell’errare” di Emanuele Severino.

          Secondo lui “la sete di potenza illimitata accompagnata dall’organizzazione tecnologica per realizzarla” non solo è quello che distrugge l’Occidente dopo avergli consentito di distruggere il resto del mondo (e fin qui siamo ad Heidegger o a Spengler), ma questa “sete di potenza” risale all’attacco di Platone al pensiero di Parmenide.

          Per Parmenide il divenire, il diventar nulla di qualcosa che esiste, è contraddittorio, dunque non esiste, è illusorio.

          Per Platone il solo fatto di poter pensare il divenire lo rende reale, almeno al livello in cui più conta, nel mondo delle idee.

          In altre parole, per Severino non solo ha ragione Parmenide, ma da Platone in poi l’Occidente crede nel contraddittorio divenire perchè ci vuole credere, perchè vuole che ciò che è possa non essere più, per volontà di distruzione ossia volontà di poter infliggere distruzione, ossia volontà di potenza. Non esiste tecnica senza progresso tecnico, e non esiste progresso tecnico senza distruzione dell’esistente.

          (Senza citare la’distruzione creativa’ di Schumpeter, mi permetto qui di ricordare la connessione orwelliana fra tecnologia e armi in ‘1984’).

          Ciao!

          Andrea Di Vita

          • Miguel Martinez scrive:

            “ma questa “sete di potenza” risale all’attacco di Platone al pensiero di Parmenide. ”

            Mi chiedo cosa pensare di una simile affermazione.

            Mi capita infatti abbastanza spesso di leggere storici della filosofia che affermano che la filosofia abbia fatto la storia.

            Poi penso allo speculatore che ha convinto due duchi a investire nelle acciaierie di Barrow-in-Furness, e mi chiedo esattamente quanto di ciò fosse dovuto a Platone; o quanto Hernan Cortés pensasse a Parmenide quando decise di imbarcarsi.

            Allo stesso tempo, è chiaro che queste persone erano mosse comunque da un pensiero, da una fantasia, da un’idea di se stessi, insomma roba “filosofica”.

            Ma temo che gli insegnanti di filosofia non abbiano cercato di spiegare meglio quale fosse il rapporto causa/effetto tra un testo scritto da Platone su un papiro o una pergamena letta da quattro gatti, e le grandi azioni che hanno creato l’Occidente.

          • paniscus scrive:

            “Per Parmenide il divenire, il diventar nulla di qualcosa che esiste, è contraddittorio, dunque non esiste, è illusorio. “
            ——————————————-

            “A questi sapienti
            così scalmanati
            si uniron frementi
            persin gli Eleati;
            e tanto che visse
            con aria sincera,
            Parmenide disse
            che il mondo è una sfera.
            E in questo complesso
            concorrer dell’ente
            l’uom vive depresso:
            non muove mai niente.”

          • Francesco scrive:

            >> Per Parmenide il divenire, il diventar nulla di qualcosa che esiste, è contraddittorio, dunque non esiste

            a me viene sempre in mente Don Ferrante, quando leggo Severino (o Parmenide)

            a un profondissimo livello metafisico potrebbe essere una tesi degna di considerazione ma trascura con saccenza il fatto che siamo uomini e viviamo nel tempo le nostre vite personali.

            poi di Severino ho una stima analoga a quella di Eco (e inferiore a quella di Fo, autore dell’immortale Ho visto un re)

            ciao

            PS sottoscrivo quella roba del progresso tecnico, con entusiasmo, forse perchè se mi tolgo gli occhiali so a malapena se è giorno o notte!

          • Z. scrive:

            E che ti ha fatto Eco? Tra l’altro il brano postato da Lisa è uno dei miei preferiti 🙂

          • Francesco scrive:

            Eco?

            m’ha annoiato quasi a morte e mi ha bruciato una biblioteca che valeva più di tutte le opere del suo secolo, se fosse mai esistita

            😀

        • Pietro scrive:

          Miguel concordo pienamente. Se spari il missile verso l’altro questo finisce la benzina, si ferma e torna indietro! Mica puoi mettere un serbatoio senza fondo! 😀

        • Francesco scrive:

          x Miguel

          distrutto o conquistato? e dopo aver conquistato ha cambiato quello che non ha distrutto, e che si appresta a dominare il mondo

          ciao

      • Andrea Di Vita scrive:

        @ habsburgicus

        Mi sembrano autentiche fesserie, e ti spiego perchè.

        Cicerone parlava di ‘laudatores temporis acti’, definendo così tuti quelli che già ai suoi tempi lamentavano l’inarrestabile decadenza della Patria in particolare e del genere umano in generale: categoria cui del resto lui stesso si iscrisse di diritto quando scrisse “O tempora, o mores!”.

        Nulla a questo mondo è eterno, neanche l’Italia.

        Sto rileggendo “Il leone e l’unicorno” di Orwell, in cui l’autore cerca di definire in che cosa si caratterizzi il popolo Inglese rispetto agli altri. Lui dice che l’identità inglese è data da una serie di fattori comuni, come la fiducia acritica nelle leggi e l’amore incondizionato per i fiori. Non è distante da quel Paul Lagarde che affermava che “la Patria è una memoria comune”.

        Per ciascun popolo, e in ciascun momento storico, solo alcune di queste caratteristiche sono avvertite all’estero. Per molti Inglesi l’Italia è un susseguirsi ininterrotto di chiese, processioni, musei, monumenti, rovine e buona tavola. I meno educati aggiungono la corruzione, i più colti tecnicamente la robotica e le Ferrari. Ovviamente non siamo solo questo, così come gli Inglesi non sono solamente hooligans ubriachi con la puzza sotto il naso verso i “dagoes” e professori in cravatta regimental (anche se vivendoci ne ho conosciuti, di rappresentanti di entrambe le categorie). Per esempio, la fitta rete di associazioni del terzo settore in Italia opera a livello per di più locale, ed è solo vagamente a “charities” su vasta scala tipo Oxfam. Il genere di volontariato richiesto nei due casi è qualitativamente diverso: quello Italiano è più adatto a persone che non provano imbarazzo di fronte a un loro simile in difficoltà, quello Inglese è più attento ai sacri principi tipo “la mia casa è il mio regno”, la “privacy” ecc.

        La stessa incomunicabilità di fondo vale fra Italiani e Polacchi: il livello di bigotteria e di “jingoism” del Polacco medio è incomprensibile per un Italiano, così come per il Polacco è incomprensibile l’acquiescenza dell’Italiano tipo Checco Zalone alla corruzione e al fancazzismo. Pure pochi popoli sono più dolci dei Polacchi (e ne ho conosciuti tanti) e più estroversi degli Italiani

        Il fatto è che questa incomunicabilità vale anche nel tempo.

        Ho sempre provato un senso di straniamento quando guardo in un libro di storia le mappe con la disposizione degli eserciti in certe battaglie del passato. Ittiti contro Egizi, Prussiani contro Bavaresi… Dove sono finiti quei popoli per difendere le cui bandiere sono morti in tanti? Non ne è rimasto che il nome: la Germania non è Prussia, e certo la Turchia non è l’Impero Ittita.

        Mille anni fa Inghilterra, Polonia e Italia manco esistevano – questi termini, se pure esistevano avevano un significato completamente diverso da quello attuale. All’epoca uno di Canterbury non capiva uno del Galles, e uno Scozzese naufragato sull’isola di man poteva essere a buon diritto messo a morte. Un Prussiano era considerato da un suddito del duca di Mazovia come un pellerossa da un cow-boy (secondo la felice definizione di Milosz): e la situazione Italiana dell’epoca ci è fin troppo nota.

        Oggi che ci rimane dell’India dei Moghul? Il Taj Mahal, certo, il gioco degli scacchi e la parola “pigiama”. Che ci è rimasto di centomila anni di Paleolitico? Le grotte di Lascaux e qualche osso sparso. Che ci rimane di tremila anni di Egizi? Alcune nozioni di astronomia e di geometria, le Piramidi, alcuni monumenti e mummie in quantità. Che resterà dell’Italia tra mille anni? Le scoperte di Fermi, la ricetta (comunque modificata oltre ogni dire) della mitica pizza al pomodoro, il nome e qualche pallida riproduzione della triade Michelangelo-Leonardo-Raffaello, l’idea di un aldilà diviso in gironi, il gioco del lotto. Umberto Eco in “Diario Minimo” prevedeva che fra diecimila anni un archeologo Eschimese avrebbe definitivamente risolto l’annoso problema “Esistette l’Italia?” col prezioso ritrovamento di un cartoncino colorato che attestava come l’Italia avesse inventato l’apartheid: “OMO, più Bianco del Bianco!”

        Detto questo, il prossimo fine settimana ricorre la giornata del Fondo Ambiente Italiano. Migliaia di volontari lottano contro l’oblio della nostra unica eredità artistica, e milioni vanno ad abbeverarsi di pura bellezza.

        Non fosse che per questo, viva l’Italia!

        Ciao!

        Andrea Di Vita

        • Miguel Martinez scrive:

          “Nulla a questo mondo è eterno, neanche l’Italia. ”

          Grazie della splendida riflessione

          • mirkhond scrive:

            Mi associo al giudizio di Miguel.

          • Miguel Martinez scrive:

            Sapere che tutto passa rischia di lasciarci però con un senso terrificante di vuoto.

            In questo credo a una via di mezzo.

            Sappiamo che ciò che chiamano oggi “Italia” passerà.

            Sappiamo che non è il caso di farcene una tragedia.

            Ma non per questo, dobbiamo idolatrare altri enti immaginari, tipo “l’individuo”, “l’economia” o “l’umanità”.

        • Grog scrive:

          Hai ragione, le tue osservazioni sono acute, però io gli inglesi proprio non li sopporto per giunta le loro donne sono delle zozzone che non si lavano le parti intime che a Pasqua!
          I polacchi invece sono tollerabili se non parli di religione e anche pulitini.
          L’itaglia?
          Raglia raglia giovane Itaglia! Ragliano davvero gli tagliani e trovi DI TUTTO.
          Grog! Grog! Grog! Grog! Grog! Grog! Grog!

        • paniscus scrive:

          Oggi che ci rimane dell’India dei Moghul? Il Taj Mahal, certo, il gioco degli scacchi e la parola “pigiama”. Che ci è rimasto di centomila anni di Paleolitico? Le grotte di Lascaux e qualche osso sparso. Che ci rimane di tremila anni di Egizi?

          ——————

          “Cadranno i secoli, gli dei, le dee,
          cadranno torri, cadranno regni,
          e resteranno, di uomini e idee,
          polvere e segni…”

          • Moi scrive:

            Medjugorje, Regina della Pace in Conferenza Stampa :

            Satana è sciolto dalle catene !

            Giubileo 2000 …

          • Andrea Di Vita scrive:

            @ paniscus

            Ieri sera su Rai5 ho visto un documentario su un dimenticato (da me) capolavoro di Giandomenico Tiepolo, della fine del Settecento. Sta a Ca’ Rezzonico, a Venezia.

            E’ un quadro che rappresenta tante persone che guardano in una specie di lanterna magica, un’attrazione delle strade Venete di quel periodo. Per un soldo si poteva guardare in un proiettore che illuminava viste di città a panorami lontani, rappresentati in modo più o meno fantasioso.

            Davanti alla lanterna magica si ammassano incuriositi un Pulcinella (sic) col figlio in braccio (Pulcinella pure lui), alcuni cavalieri col tricorno, un paio di damine in crinolina e un personaggio con la maschera di medico (quella dal naso lungo, da riempirsi d’aceto contro i miasmi della pestilenza).

            Il quadro è fatto con poche pennellate nervose, con tecnica quasi impressionistica. Solo la maestria dell’autore rende immediatamente riconoscibili i dettagli. Le tinte sono a pastello, il panorama appena accennato è quello all’aria aperta di un mercatino o una piazzetta.

            Il quadro dà le vertigini. Io lo terrei in uno studio come S. Girolamo si teneva un teschio, a ricordare la caducità delle cose umane.

            Non solo la lanterna magica non si vede, dato che tutti gli astanti le si ammucchiano davanti e ci impediscono di vederla: anche noi siamo compresi nella folla di spettatori in attesa.

            Ma non si vede quasi nessuna faccia. Si vedono solo nuche imbellettate, spalle, polpacci. Un personaggio che volta la testa parzialmente verso di noi è quello con la maschera da medico, non gli si vedono gli occhi. Sono quasi tutti di spalle.

            E’ il primo quadro in cui si raffigurano esseri umani -di un periodo ben preciso, abbigliati come sono da personaggi della Commedia dell’Arte- in cui non si vede in faccia quasi nessuno.

            Non si vedono nemmeno decorazioni, medaglie, corpetti e colletti ricamati, crocifissi, stemmi, nuvole, putti, cagnetti vezzosi, nature morte. Nulla. Sono tutti di spalle, in attesa. Noi vediamo solo una fila di spalle che ci preclude la vista.

            E nessuno guarda in faccia noi. Siamo anonimi fra anonimi.

            Ma la cosa più terrificante è il titolo del quadro.

            Si chiama IL MONDO NUOVO.

            Ciao!

            Andrea Di Vita

            P.S. Huxley avrà avuto pure in mente Shajkespeare, con suo Brave New World. Ma non gli sarebbe dispiaciuto l’accostamento con Tiepolo.

            https://www.google.it/search?q=tiepolo+il+mondo+nuovo&espv=2&biw=1280&bih=923&tbm=isch&imgil=9vBOcdQKiEzlxM%253A%253BIiDxqmAPXLXuMM%253Bhttp%25253A%25252F%25252Fsenzadedica.blogspot.com%25252F2012%25252F02%25252Fil-mondo-nuovo.html&source=iu&pf=m&fir=9vBOcdQKiEzlxM%253A%252CIiDxqmAPXLXuMM%252C_&usg=__7t_yBrXfxCPwAC13RSn6oSXChkI%3D&ved=0ahUKEwi89cvS48fLAhVEpg4KHSLNBLIQyjcIJQ&ei=pKrqVryTOMTMOqKak5AL#imgrc=9vBOcdQKiEzlxM%3A

        • habsburgicus scrive:

          @Andrea Di Vita
          quanto dici è in grandissima parte vero (e inconfutabile) e per l’altra parte, quantomeno verosimile (ancorché a rigore non inconfutabile)..
          si potrebbe però aggiungere che la Cina (melius la civiltà cinese divisa spesso in più Stati..tuttora, strettamente parlando ! :D) dura da ben 2500 anni (se partiamo da Confucio, 551-479 a.C) o 2200 anni (se partiamo da Shi Huangdi, imperavit 221-210 a.C)…altri, ben presenti ancorché non troppo amati nella Polonia d’antan, durano da 2200 anni (vabbè, loro dicono 3000 :D) ancorché privi di Stato dal 70 d.C al 1948 d.C !
          il tutto andrebbe poi connesso al discorso sulle Nazioni (che alcuni-minoritarissimi-ritengono molto più antiche dell’ “ortodossia” dominante che le vuole figlie del 1789)
          e comunque è sempre triste testimoniare la fine della PROPRIA civiltà, come ammetti alla fine !
          il tuo intervento però è ottimo e mi associo agli altri che ti hanno complimentato
          ciao !

        • roberto scrive:

          bellissimo post di ADV

    • Miguel Martinez scrive:

      “@Miguel (e tutti…alcuni parti dovrebbero, per esempio, interessare a Mirkhond)
      che ne pens(i/ate) ?”

      Io non riesco a immaginare come possa funzionare il cervello di qualcuno che confonde:

      1) la distruzione di una piccola comunità statica da parte di un’immensa forza tecnologica

      2) il momento in cui quella stessa forza tecnologica, avendo mangiato il mondo intero, si autodistrugge.

      In questo senso, il vittimismo degli “occidentalisti” mi sembra sempre in malafede.

      Con questo, come ben sai, non voglio dire che gli “occidentali” siano più cattivi di chiunque altro, date le circostanze – l’anello di Gige è capitato all’Occidente, per parafrasare Platone.

    • Francesco scrive:

      la stirpe e il sangue?

      no, dai, se parliamo di cultura e ignoranza, di un popolo che non sa più cos’è la Settimana Santa ma celebra SantpatricsDay sbronzandosi di birra

      anche se non gli piace nè sbronzarsi nè la birra

      va bene, ma parlare di stirpe e di sangue è ridicolo

      ciao

  8. mirkhond scrive:

    Difficile sapere in anticipo ciò che accadrà.
    Però certamente, una civiltà che non crede più nei propri valori culturali-religiosi-identitari, si estinguerà o fondendosi con i nuovi arrivati e dando vita a nuove sintesi che porteranno a nuove identità, oppure estinguendosi proprio biologicamente, come le tribù amerindie citate nel primo articolo.

  9. mirkhond scrive:

    “In questo senso, il vittimismo degli “occidentalisti” mi sembra sempre in malafede.”

    Non è facile riconoscere i “propri” torti.

    • Miguel Martinez scrive:

      “Non è facile riconoscere i “propri” torti.”

      Ancora più difficile è riconoscere che non sono nostri.

      Né i meriti né i torti, né i governi né i passaporti (mi è venuta anche una rima!).

      • Pietro scrive:

        Se nulla e’ nostro tanto vale che sia qualcuno piu’ in alto di quelli piu’ in alto di noi… In fondo l’ISIS e’ una banda di epicurei con l’hangover, il dopo sbronza!

  10. mirkhond scrive:

    Nel mio caso, mi considero un apolide con cittadinanza italiana da molti anni, ormai…..
    L’eventuale estinzione di un popolo “italiano” (ma è mai esistito davvero, al di là di certa retorica di ieri e pure di oggi?) non mi crea particolari afflizioni, visto che “estinzione” sarà, ciò sarà causato da un processo che è tutto interno a questa società.
    E non certo colpa delle migliaia di poveracci che si accalcano sempre più alle nostre frontiere…..

  11. mirkhond scrive:

    “Mille anni fa Inghilterra, Polonia e Italia manco esistevano – questi termini, se pure esistevano avevano un significato completamente diverso da quello attuale. All’epoca uno di Canterbury non capiva uno del Galles”

    Non posso che concordare.
    Solo che quando ricordo, giusto per fare un esempio, che l’Emilia-Romagna è un costrutto recente, nato dal 1860, riunendo la Romagna papalina già bizantina, con i ducati LOMBARDI di Parma e Modena, suscito immediatamente reazioni scandalizzate 😉 da parte di alcuni abitatori di quel costrutto che NON è nato dalla notte dei tempi, ma è il frutto di determinate scelte IDEOLOGICHE, fatte nel momento in cui i Savoia unificarono le terre italiche…..

    • Z. scrive:

      Duca, davvero, qua nessuno si scandalizza. Oltretutto anche a me risulta che la scelta di unire i Ducati e la Romagna sia stata dettata da esigenze regie (direi più politiche che ideologiche). Tra l’altro non mi sento personalmente coinvolto, dal punto di vista emotivo, in fatti avvenuti così tanto tempo prima della mia nascita…

  12. Zhong scrive:

    Mi permetto di aumentare gli ordini di grandezza, le estinzioni di massa:

    https://en.wikipedia.org/wiki/Extinction_event

  13. mirkhond scrive:

    Per Moi e Zanardo

    Transpadana Ferrarese:

    https://it.wikipedia.org/wiki/Transpadana_ferrarese

  14. habsburgicus scrive:

    apprendo ora da un contatto ucraino su twitter che Lenin è stato rimosso anche da Zaporižžja, una città ultra-russofona nel sud-est ucraino (nell’area dei famosi Cosacchi Zaporoghi soppressi da Caterina II nel 1775, la celeberrima Sič) e fino al 2014 devota a Putin…bene..l’anno scorso cadde a Kharkiv..é ancora poco, dovrà sparire del tutto ! piccola, e insufficiente ma nondimeno gradevole, rivalsa per i monumenti NOSTRI che non hanno rispettato 😀

  15. Moi scrive:

    Le periferie anonime globali tutte pizzeria-kebabberia, china-shushi-kaiten-wok, fastfood … ove tutto il resto è come una Riserva Pellerossa negli USA … NON credo che dei VERI Cosmopoliti possano apprezzare ciò.

    Intelligenti pauca …

  16. Moi scrive:

    Eh …’sti Nazionalismi (immaginarii !) dell’ Isoglossa …

  17. mirkhond scrive:

    Moi

    Una civiltà resiste e attrae nella misura in cui si crede nei suoi valori.
    Ma se l’Occidente si è dissolto nella globalizzazione a guida $tatuniten$e, quali identità vuoi conservare e salvaguardare?
    Il falso d.o.c. tipo i prodotti della cucina fiorentina taroccata, citata da Miguel?

  18. Peucezio scrive:

    In questo schema per cui l’Occidente consumista ha già rinnegato completamente sé stesso e la sua essenza, per cui ogni sua rivendicazione identitaria è artificiale e funzionale a questo snaturamento, c’è qualcosa che non mi convince.
    La diagnosi è vera, ma è l’analisi sulla terapia che regge fino a un certo punto.
    Il fatto è che questo sistema di benessere ha bisogno della massima libertà, sia economica che individuale, di pensiero, di costume, sessuale, ecc.
    Se arriva quello che comincia a porre vincoli e reprimere autoritativamente, i casi sono due:
    1) o rallenterà, fermerà o invertirà lo snaturamento (in fondo in Russia tutta la seconda fase, regressiva, del bolscevismo, che ha raggiunto il suo culmine con Brežnev, ha fatto sì che la Russia rimanesse decenni indietro in termini di costume, società, economia, ecc.),
    2) oppure sarà un sintomo che lo snaturamento sta regredendo di suo.
    Un’ordinanza come quella fiorentina è una goccia nell’oceano, ma ogni volta che qualcuno reprime la libera circolazione, che sia di uomini, di merci, di idee o altro, sta sempre indebolendo, anche in minima misura, l’Occidente, quello consumista tanto odiato giustamente da Mirkhond.

    La società medievale era tutto un pullulare di confini, divieti, interdizioni. E’ il vietato vietare che produce il consumismo e l’egoismo individualista.

    Poi l’Italia è un po’ un caso a parte in un altro senso: l’iperburocratizzazione che fa sì che subiamo comunque il modello vincente nel mondo, ma siamo privati dell’agilità che ci consenta anche di avervi un ruolo e quindi di non subirlo soltanto: ciò contribuisce a renderci una colonia e in questo senso il fatto che da noi è vietato pure respirare e paghi la tassa anche sulle scorregge che fai non è un bene e il risultato è che in Oltrarno non possono organizzare la scuola di violino (e in tanti altri luoghi, altre cose altrettanto utili).
    Ma un’ordinanza come quella di Nardella, con tutti i suoi mille limiti (atto simbolico, di facciata, che influenza solo la ristorazione di lusso, che in realtà serve a poco), ben venga.

    Semmai io proporrei alcuni divieti (limitatamente a ristoranti e trattorie: non parlo di pub, bar, locali vari) con tanto di pena della gogna in piazza per i contravventori:
    1) sui tavoli dei ristoranti si mette la tovaglia, non i tovaglioli di carta o i fogli che coprono solo mezza tavola, che fanno finto rustico e in realtà sono fighetti/giovanili (per questa fattispecie però, oltre alla gogna, propongo la fustigazione pubblica).
    2) Divieto assoluto di musica di sottofondo (quella va bene nei night, nei locali notturni, ecc.): possono essere solo consentitito i “posteggiatori” sul tipo di quelli napoletani, ma sporadicamente.
    3) Luce abbondante, divieto assoluto di penombra e luci soffuse.
    4) Divieto assoluto di piatti quadrati e anche di piatti rotondi senza bordo. Inoltre i piatti devono essere proporizionali alla porzione che contengono: se fai una porzione piccola, la metti in un piatto piccolo.
    5) Il vino dev’essere servito nel calice solo su richiesta. E va servito almeno a temperatura di cantina, mai ambiente (sempre che nel locale non ci siano una quindicina di gradi).

    A tutte queste prescrizioni è consentito derogare in un numero limitato di locali fighetti, tipo uno ogni 100.000 abitanti, dove il costo del coperto deve essere di 10 euro e tutto il resto del menù in proporzione: 15 euro ogni bottiglia d’acqua minerale, 25 euro il piatto di spaghetti, ecc.

    • Pietro scrive:

      Il tuo discorso ha una sua logica, tuttavia dimentichi che in questo momento in Occidente c’e’ un grande assente: la capacita’ di prendere una posizione. Manca una guida nel senso che viene fatto A facendo di tutto per farlo passare per B in cerca del consenso (artificioso e costruito sull’artificio certo, ma i sondaggi possono determinare molto nel breve termine). In questa situazione il rischio e’ che tramite la “destrutturalizzazione” si creino le condizioni per dei cambiamenti che rimangono poi lettera morta perche’ nessuno prende in mano le cose (in un oceano di macerie), oppure si scopre che l’entropia esiste e che gli anarchici non avevano tutti i torti, ma questo portera’ a nuove linee di frattura perche’ chi gestiva le cose piuttosto fara’ come Sansone (preferendo l’oceano di macerie) che ammettere la sconfitta.

    • Dif scrive:

      Non ho capito il pezzo finale sui regolamenti da adottare nei ristoranti: a che servirebbero, oltre a piacere a te personalmente?
      Che ti importa della forma dei piatti, delle tovaglie, dei bicchieri? Uno non è libero di fare come vuole nel suo ristorante?
      Anche io conosco dei ristoranti che non mi piacciono: non ci vado. Punto.

      • Mauricius Tarvisii scrive:

        “L’ho scritto spesso e oggi lo ripeto. Secondo me confondete il Medioevo con la vostra personale società ideale.”

        E conta che avevo scritto questo pezzo di post prima di leggere la proposta di ordinanza 😉

      • Peucezio scrive:

        “a che servirebbero, oltre a piacere a te personalmente?”

        Ti pare poco??

        • Dif scrive:

          Vabbè a chi non piacerebbe un mondo che va secondo i propri gusti? 🙂
          Però forse non sarebbe tanto giusto imporli agli altri.

          • Peucezio scrive:

            Al di là dello scherzo, il problema è il dilagare del fighetto e del finto spontaneo.
            E questo esprime una degradazione del gusto.
            La gente va educata al gusto. Come a tutto d’altronde. Niente è neutro o indifferente a questo mondo.

          • Dif scrive:

            Non mi convince il concetto di “la gente va educata” perché, posto in un discorso del genere, sottintende che vada educata con la forza, quando ci sono persone che la scuola non è riuscita a educare a parlare italiano correttamente, figuriamoci al gusto.
            Ma poi quale gusto, non credo ce ne sia uno in particolare che sia quello giusto.
            Tanto per fare un esempio, mi sembra che il tuo ideale sia quello di locali rustici e tradizionali. Nella mia città è pieno di locali del genere, con una clientela che non frequenterebbe mai quelli che tu chiami locali per fighettini.
            Ebbene è tutto un pullulare di cafoni, tamarri e cozzali vari, dove tra un boccone e l’altro puoi sentire frasi del tipo “Compa’, ieri so’ tirato na pizza ‘mmocca a uno”.
            Io resto dell’idea che fighettini, tamarri e chissà quanti altri tipi umani esistono e sono sempre esistiti, e con molta probabilità sempre esisteranno, e dubito che ci si possa fare qualcosa.

          • roberto scrive:

            sono completamente d’accordo con Dif

            comunque sui gusti 2 e 4 di peucezio sono d’accordo, l’1 e 3 mi lasciano indifferente ed il 5 non l’ho capito (quello del calice)

            • Miguel Martinez scrive:

              Ma io penso che se qualcosa si deve vietare, è la creazione di distretti uniformi. E quindi ci deve essere un tetto ad attività identiche nella stessa area. Non più di un certo numero di ristoranti ad esempio. Poi come siano quei ristoranti al loro interno mi è abbastanza indifferente.

          • Z. scrive:

            Miguel, il problema che poni effettivamente esiste. Ma non credo che si risolva per decreto, così come per decreto non si governa l’economia (se hai baffi molto grandi puoi provarci, ma in genere i risultati sono deludenti).

            Non puoi fare stabilimenti balneari se non sulla spiaggia, ad esempio, e se vuoi bere una birra o prendere un gelato spesso vorrai farlo in centro, che – almeno a Bologna – è più a misura di pedone delle periferie. Anche perché alle auto è vietato l’ingresso, e anche quando la ZTL non è attiva trovare parcheggio è impresa titanica.

            Potresti decidere di radere al suolo Bologna e provincia e ricostruire tutto da zero, naturalmente. In quel caso potresti redistribuire tutto tra vari quartieri. Ma a tacere dell’impopolarità di un simile piano sarà comunque difficile convincere tutti ad accettare la propria quota-ciminiere dietro casa. Per Ravenna la cosa creerebbe ulteriori problemi: puoi radere al suolo Teodorico e Galla Placidia, ma dislocare il porto industriale per tutto il Comune verrebbe piuttosto complicato…

            • Miguel Martinez scrive:

              “Ma non credo che si risolva per decreto”

              Quindi va bene la cacciata a forza di sfratti e di musica sparata tutta la notte di tutti gli abitanti del centro storico e la sua trasformazione in un deserto umano.

              Può anche darsi che tu abbia ragione, ma prima di criticare la violenza di un “decreto” che non faranno mai, renditi almeno conto di schierarti a favore della violenza quotidiana e reale che distrugge vite di persone reali, mentre arricchisce quattro camorristi.

          • Z. scrive:

            Miguel,

            “quindi va bene” introduce quasi sempre uno di quei discorsi che Moi chiama strommen, e il tuo commento mi pare non faccia eccezione. Quando mai ho detto che va bene etc.?

            Tra l’altro sto dicendo che affrontare certe questioni per decreto secondo me proprio non è possibile, prima ancora che desiderabile o meno. Non comprendo con che diritto l’autorità potrebbe contingentare il numero di fornai, di avvocati, di librerie e di traduttori in un certo quartiere: chi inizia l’attività per primo fa quel che gli pare e gli altri peggio per loro?

            Né vedo come sarebbe possibile redistribuire porti industriali e ciminieri in modo equo in una data regione.

            Insomma, mi sa molto da Utopia di Moro, che non a caso è una delle peggiori distopie mai descritte.

            • Miguel Martinez scrive:

              “Quando mai ho detto che va bene etc.?”

              Quando qualcuno è deciso a farti fuori per i propri interessi, esistono due strade.

              Scappare a gambe levate, oppure resistere.

              Resistere significa porre la questione in termini di rapporti di forza.

              Qui mi vengono in mente soltanto tre opzioni.

              1) Ricorrere alla forza del denaro.

              2) Ricorrere alla forza delle leggi (con relativi tribunali, poliziotti, ecc.).

              3) Ricorrere alla forza delle armi.

              Per il punto 1), non c’è gara perché il denaro è esattamente la forza che il tuo nemico adopera per farti fuori.

              Per il punto 2), tu dici che usare le leggi contro chi usa il denaro creerebbe una “delle peggiori distopie mai descritte”.

              Per il punto 3), direi che non ci sono le condizioni oggettive.

              Quindi resta soltanto scappare a gambe levate e subire qualunque cosa.

          • Z. scrive:

            Le leggi vanno benissimo Miguel, ma dipende da cosa ne vuoi fare.

            Quello che tu proponi è un oligopolio con barriera all’ ingresso, in cui l’autorità decide quanti e quali professioni debbano essere praticate in un dato quartiere.

            Non credo che sarebbe utile nemmeno se fosse fattibile.

            • Miguel Martinez scrive:

              “Le leggi vanno benissimo Miguel”

              Quali?

              Quali sono attualmente le leggi che tutelano la diversità sociale e funzionale di un quartiere, in sostanza la residenza?

              Se ne conosci – e sei sicuramente più esperto in questo campo di me – dimmi quali sono, in modo che possiamo farvi ricorso.

          • Z. scrive:

            Miguel, forse non mi sono spiegato.

            Intendevo dire che ricorrere alla forza delle leggi – ossia, nel tuo caso, auspicare leggi che ad oggi non esistono – va benissimo.

            Non dico che le leggi siano inutili, insomma. Dico che quelle che tu auspichi hanno, a mio avviso, i problemi che ho descritto sopra.

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      “La società medievale era tutto un pullulare di confini, divieti, interdizioni”

      Nel Medioevo c’erano le ordinanze contro il kebab? 😉
      No, sul serio, nel Medioevo si vietava eccome, ma:
      – in genere la gente se ne fregava e la mentalità di fondo era molto “vietato vietare e ogni divieto possiamo mandarlo in desuetudine”
      – i divieti erano sempre espressione di interessi delle classi dominanti, cioè nelle città dei proto-capitalisti

      L’ho scritto spesso e oggi lo ripeto. Secondo me confondete il Medioevo con la vostra personale società ideale.

      • Francesco scrive:

        – i divieti erano sempre espressione di interessi delle classi dominanti,

        ecco, su questo devo esprimere la mia totale concordanza e ossequio a MT

        escluse le moltissime regole di tipo religioso, che però non vi interessano, i divieti nel Medioevo esprimevano gli interessi immediati di qualcuno, sempre (mi sento di dire) a scapito del resto della società

        o volete dire che era una società ordinata e funzionante, con regole funzionali al suo esistere ordinato e funzionante? il che collide col fatto che sia profondissimamente mutata nel corso del tempo

        necessito aiuto per capire, mi sa

      • Francesco scrive:

        x MT

        se dicessimo che i divieti erano il tentativo di mantenere stabile una società di cui si pensava avesse realizzato un ragionevole grado di giustizia?

        non solo il tentativo di mantenere in alto chi comandava ma quello di evitare il “progresso” disordinato e pericoloso?

        non sarebbe più aderente a quello che pensavano ai tempi?

        ciao

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          “se dicessimo che i divieti erano il tentativo di mantenere stabile una società di cui si pensava avesse realizzato un ragionevole grado di giustizia”

          Non lo so, credo che il discorso sia complicato.
          Da un lato abbiamo il diritto colto, una struttura di origine romanistica e canonistica che aveva un peso reale nella società, ma come diritto privato, non come diritto pubblico. Insomma, il contratto tra Tizio e Caio era regolato da un sistema giuridico dove in effetti i teorici pensavano a cosa fosse giusto o meno.
          Dall’altro abbiamo quello che chiameremmo oggi “diritto pubblico” o “diritto amministrativo”, che era la pletora di divieti di cui parla Peucezio. Lì l’origine dei divieti poteva essere molto varia: da principi minimi di sanità e sicurezza pubblica (regolamentazione delle acque, obbligo di sostituzione dei tetti di paglia con tetti di tegole, obblighi di pulizia delle strade…) a mere difese di posizioni e di privilegi acquisiti, ovvero la quasi totalità delle norme corporative, buona parte dei balzelli e delle servitù, dei diritti di acquartieramento coatto, ecc. (si parla di pratiche che erano poco meno che atti di emulazione, ovvero l’esercizio di un diritto per il gusto di esercitarlo a danno altrui o per rimarcare il proprio potere o le proprie facoltà).
          Però era tutto molto meno schematico di così. Non dimentichiamo che il Medioevo era policentrico e le norme provenivano da autorità diverse: la Chiesa, il monarca, il signore, la comunità locale (o le comunità locali: a volte città e rione producevano ciascuna le proprie regole), la corporazione, la confraternita, l’uso…
          E tutte queste norme, se disapplicate per un certo periodo di tempo, si consideravano abrogate per desuetudine (cosa niente affatto rara).
          Una giungla con contemporaneamente molte regole e molto spirito del “vietato vietare”.

      • Peucezio scrive:

        Mauricius,
        “– in genere la gente se ne fregava e la mentalità di fondo era molto “vietato vietare e ogni divieto possiamo mandarlo in desuetudine”
        – i divieti erano sempre espressione di interessi delle classi dominanti, cioè nelle città dei proto-capitalisti”

        Ho l’impressione che confondi l’alto col basso. Nel Medioevo i re non contavano niente e le leggi che decise al centro e che si applicavano a realtà territoriali grandi o al limite all’Impero effettivamente trovavano scarsa applicazione reale.
        Erano le comunità quelle che invece esercitavano forme di controllo molto vincolante nei confronti degli individui e lì le cose erano flessibili, nel senso che non erano meccaniche come nello Stato moderno, ma non c’era tutta questa elusione, anzi…

        Questa cosa delle classi dominanti poi mi sembra un’interpretazione un po’ marixsta o comunque la solita applicazione di un modello altro a una società che non vi si lascia troppo inquadrare. E’ chiaro che in qualsiasi consesso umano il più forte o il più ricco mediamente ha più potere d’influenza del più debole, ma nel Medioevo le cose erano complessissime e i fenomeni dal basso che andavano nella direzione di porre vincoli e limitazioni proprio ai più forti o ai più ricchi non si contano, anzi, spesso l’esigenza di porre regole e limiti nasceva proprio da questo. Che poi ciò alla lunga comportasse che il più debole magari diventava più forte, è un altro conto: è chiaro che chi decide le regole è in una posizione di forza, ma il nesso causa-effetto è capovolto in questo caso.

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          “Nel Medioevo i re non contavano niente e le leggi che decise al centro e che si applicavano a realtà territoriali grandi o al limite all’Impero effettivamente trovavano scarsa applicazione reale”

          Siamo pieni di Bolognesi, ovvero abitanti di una città dove una legge emanata da un imperatore ha rivoluzionato la storia cittadina (e mondiale) riconoscendo determinati privilegi all’università.
          Che poi i sovrani non fossero legislatori, ma giudici, è un altro discorso, ma negare il ruolo storico dei poteri politici medievali mi sembra quantomai manicheo.

          “Erano le comunità quelle che invece esercitavano forme di controllo molto vincolante nei confronti degli individui e lì le cose erano flessibili, nel senso che non erano meccaniche come nello Stato moderno, ma non c’era tutta questa elusione, anzi…”

          Cosa intendiamo per comunità, però? Era molto policentrico il concetto di comunità. Lo studente universitario a che comunità apparteneva? A quella di origine? Alla città ospitante? Al clero? Alla comunità universitaria? Alla comunità interuniversitaria? Ma un problema analogo se lo poneva anche l’ultimo garzone di città.
          Inoltre ricordiamo che i chierici erano una realtà demograficamente molto importante che, per definizione, faceva parte sempre di (almeno) due comunità distinte allo stesso tempo.
          Temo però che si confonda da parte dei cultori del Medioevo immaginario l’Età di Mezzo con l’Età di Mezzo nelle campagne. E allora concentriamoci sulle campagne.
          Intanto le campagne erano caratterizzate dal servaggio che è stata una costante storica in tutto il Medioevo e anche oltre. Di che comunità fa parte il servo? Magari della stessa di cui fa parte il fittavolo suo vicino, ma le regole che deve rispettare sono radicalmente diverse: abbiamo disposizioni a non finire a tutela dei servi (forse queste sì poco rispettate) e poi ancora più disposizioni dettate dal signore ai servi (che invece solo in pochi casi ci sono rimaste per la loro contingenza). Non parliamo proprio di spontaneismo comunitario.

          “Questa cosa delle classi dominanti poi mi sembra un’interpretazione un po’ marixsta o comunque la solita applicazione di un modello altro a una società che non vi si lascia troppo inquadrare.”

          Invece temo che del tutto scollegata dalla realtà sia questa mania di leggere la società medievale come l’antitesi della nostra. No, nel Medioevo non vivevano solo per fare un dispetto a noi del XXI secolo: l’organizzazione sociale era certamente molto diversa dalla nostra, ma non si poneva certo in modo antitetico alla nostra.
          In campagna avevamo le angherie feudali e gli ordini del signore ai servi, mentre in città le corporazioni erano dominate da un’élite di grandi che dettava le regole ai sottoposti. La mitizzazione del corporativismo è una colossale stronzata fascista, mi si perdoni l’espressione.

          “E’ chiaro che in qualsiasi consesso umano il più forte o il più ricco mediamente ha più potere d’influenza del più debole, ma nel Medioevo le cose erano complessissime e i fenomeni dal basso che andavano nella direzione di porre vincoli e limitazioni proprio ai più forti o ai più ricchi non si contano, anzi, spesso l’esigenza di porre regole e limiti nasceva proprio da questo.”

          Onestamente faccio fatica a capire di quali fenomeni parliamo. Che ci fosse conflittualità sociale è verissimo e che spesso la cosa sfociasse in aperte lotte per il potere lo è altrettanto. Ma questo succedeva tra soggetti che formalmente si consideravano pari: il Re e i vassalli (il vassallo era uomo del signore, non suddito), l’aristocrazia feudale e le città (che si presentavano come signorie collettive), il potere temporale e quello ecclesiastico (e qui lo scontro era tutto teorico tra due soli e sole e luna…).
          Ma appena i soggetti smettevano di essere formalmente pari si cambiava registro: le rivolte contadine non approdarono mai a niente (se non nel caso della Catalogna nella seconda metà del XIV secolo) e i Ciompi (salariati che ruppero l’ordine corporativo) sappiamo benissimo che fine fecero.
          Perché questo? Credo perché il Medioevo fu prima di tutto molto legalista e formalista: tutti i limiti erano o divenivano formalmente teorizzati e fuori dallo schema teorico si individuava l’ingiustizia e quindi il pericolo. Lo schema teorico, però, era tutto fuorché rigido ed era duttilmente adattato alla realtà concreta.
          Io credo che in questo rapporto dei medievali con le teorizzazioni risiede la principale ragione per cui tutti i cultori del Medioevo immaginario (dal Romanticismo ai comunitaristi passando per Game of Thrones) falliscono miseramente nel comprendere il periodo che credono di capire.

          In conclusione, una preghiera: smettetela di parlare di Medioevo quando volete un’alternativa radicale alla nostra società. La grandissima civiltà medievale fu troppo elaborata, originale e complessa per essere ridotta a “ah, quando c’erano le belle comunità di villaggio di una volta”! 😀

        • Peucezio scrive:

          Certo che se ti costruisci una tua visione immaginaria di come gli altri vedrebbero il Medioevo e ti diverti a ribattere a questa costruzione, va benissimo, ma resta un monologo fra te e te.
          Le osservazioni che ho fatto le baso sulla mia frequentazione diretta di gente che il Medioevo lo studia per professione, quella che scrive i libri che leggi anche tu (sempre che tu non abbia la macchina del tempo o non ti sia andato a spulciare i documenti personalmente negli archivi di stato, avendo peraltro prima acquisito un metodo storiografico e di capacità di interpretazione dei dati, che non so se gli studi di giurisprudenza forniscono).
          Con ciò non voglio dire che non ci sia anche ciò di cui parli tu: in sé non trovo nulla di scorretto in ciò che descrivi: tutt’altro.
          D’altronde nel Medioevo si può trovare davvero di tutto. Sei tu che parli di spontaneismo comunitario (dove l’avrei detto?), quando io semmai ho parlato di complessità. Un conto è dire che nel Medioevo esisteva anche una dimensione comunitaria, un conto è ridurre il Medioevo a questo: trovami chi lo fa e te ne darò atto, ma io non l’ho fatto.
          Ma, per esempio, gli ordinamenti antimagnatizi e i comuni di popolo non fanno certo parte del mondo rurale isolato e non sono d’altra parte espressione del mondo vassallatico o nobiliare; poi, certo, anche in quel contesto c’era un’élite, ma un’élite che in origine è di artigiani, non è certo arrivata dall’alto, dai vertici della società.
          Se tu poi vuoi caricare tutto di una valenza ideologica e inventarti il Medioevo dell’interlocutore, ripeto, fa’ pure.

          Poi da quando mi dai del voi?

          • Mauricius Tarvisii scrive:

            Conta quello che le persone che frequenti scrivono sui libri, perché è sottoposto al vaglio della comunità scientifica, mica quello che ti dicono nel segreto delle chiacchierate al bar 😉

            Se la metti come la metti ora va anche bene: prima mi sembrava che l’avessi messa in modo molto più assoluto.

          • Peucezio scrive:

            “Conta quello che le persone che frequenti scrivono sui libri, perché è sottoposto al vaglio della comunità scientifica,”

            Conta la competenza della persona.
            Se devo operarmi, vado da un chirurgo bravo, anche se poi magari non scrive un articolo sull’intervento che ha fatto su di me.

            Ciò non significa che tu su tanti aspetti di storia medievale non possa essere esperto quanto loro. Diciamo che se loro mi riportano delle informazioni, mi fido a prescindere (mentre se me le riporti tu, o qualsiasi appassionato preparato ma non specialista, tendo anche a crederci, ma con più beneficio d’inventario), mentre, se mi riportano delle interpretazioni, hanno sicuramente un fondamento serio (tenendo conto che ogni interpretazione non è per definizione una verità oggettiva).

            In questo settore peraltro il vaglio della comunità scientifica entra in gioco fino a un certo punto; mi spiego meglio: se uno storico scrive un manuale o un’opera di interpretazione generale o comunque relativa a un fenomeno molto ampio e studiato da altri, vale senz’altro quello che dici (sempre tenendo conto che gli storici fanno prevalentemente interpretazioni, però è anche vero che a un certo punto certi modelli interpretativi si sostituiscono ad altri perché spiegano più cose e meglio); ma se, come spesso fa la medievistica, si fanno studi abbastanza specifici su aree e periodi relativamente circoscritti, spesso è difficile che vengano proposte interpretazioni alternative (o comunque confutate quelle fatte), per la banale ragione che quell’area e quei documenti se li è studiati solo il tale e nessun altro, per cui diciamo che ci si fida in base al rigore e alla profondità di studio e di interpretazione dimostrati finora da quello storico.
            Peraltro la storiografia, rispetto ad altre discipline umanistiche, è un settore relativamente poco litigioso, dove il dissenso, quando c’è, di solito è poco esplicito e manifestato in forme indirette.

            Alla fine comunque tutto era partito dalla mia osservazione sui vincoli e le interdizioni: immagino che non ti sarà difficile riconoscere che un individuo del Medioevo europeo mediamente aveva una vita con più vincoli pratici e minori libertà rispetto a un individuo occidentale contemporaneo…

          • Mauricius Tarvisii scrive:

            “non ti sarà difficile riconoscere che un individuo del Medioevo europeo mediamente aveva una vita con più vincoli pratici e minori libertà rispetto a un individuo occidentale contemporaneo…”

            Per certi versi è vero, ma per altri versi no. In generale il nostro ordinamento è molto più capillare di quello medievale: l’esercizio del pubblico potere (= la libertà del governante) è pervasivamente regolamentata da un diritto pubblico elefantiaco, allo stesso modo (almeno in Europa) la mole delle norme a tutela del consumatore (= limitative della libertà economica di produttori e venditori) non ha precedenti nella storia.
            E’ comprensibile il fraintendimento, ma perché spesso ci si dimentica che dietro ad ogni libertà c’è un divieto. E’ una coperta corta la libertà, dove se io dichiaro inviolabile la libertà personale questo significa che un’altra persona non sarà più libera di togliermela, così come se io riconosco al lavoratore la libertà di esprimere le proprie opinioni sul luogo di lavoro sto contemporaneamente privando il suo datore di lavoro della libertà di licenziarlo.
            Quindi se mi dici che nel Medioevo erano meno liberi, puoi avere ragione o torto a seconda dei soggetti di cui parli e delle libertà di cui parli.

          • Peucezio scrive:

            Sì, sul piano giuridico non me la sento di darti torto.
            Probabilmente la differenza è nelle conseguenze, che però dipendono anche da fattori extragiuridici (maggiore pervasività della famiglia e delle strutture sociali; banalmente anche maggiori difficoltà materiali di movimento e quindi di ampiezza di esperienze, anche se poi c’erano i pellegrini che attraversavano l’Europa, i monaci in contatto fra loro a migliaia di chilometri di distanza, ecc.).
            Forse la questione è anche di modelli di diritto: comunque il diritto moderno è anche influenzato dall’ideologia liberale, che bene o male tiene il campo da due secoli a questa parte (diciamo da Napoleone, a livello politico e giuridico), che si propone in modo programmatico ed esplicito di tutelare e promuovere la libertà individuale; che poi ci riesca effettivamente è un altro conto. Per un medievale quella di “libero” era una condizione, non era un diritto.

    • roberto scrive:

      peucé,
      prima ti lamenti dell’iperburocratizzazione e dei divieti che privano i privati della agilità e poi proponi una lista di divieti e obblighi che manco un dittatore nordcoreano si sognerebbe
      🙂

    • Peucezio scrive:

      Dimenticavo una cosa molto importante:
      la pubblica fustigazione della violazione della regola della tovaglia deve prevedere il pagamento di un biglietto (a basso prezzo) per assistere allo spettacolo, utile a rimpinguare le casse dei comuni. Devono essere previsti sconti per pensionati, minorenni e comitive.

    • Z. scrive:

      Peucè,

      leggi a parte, e precisato che il punto 5) dipende dal vino, per il resto i miei gusti sono identici ai tuoi 🙂

      • Peucezio scrive:

        Va da sé che, con buona pace del buon Dif, che ha preso la cosa più sul serio, la mia è una provocazione scherzosa su una questione che invece ritengo a suo modo seria.
        E’ chiaro che non è con le leggi che correggi il cattivo gusto e la tendenza all’artificiosità e alla leziosaggine.

        Però la pubblica fustigazione sarebbe stata divertente 😀

    • Moi scrive:

      Ma non èun po’ troppo sul MILF per continuare a far Xena (“Straniera”, no ?), adesso ? E anche l’altra (Olimpia in Italiano, Greca … Gabrielle [wtf ?!]in originale !) non è così più giovane come si lascia a intendere : 3 anni !

      Va be’ che dopogli Action Umarells d’annata della saga The Expendables …

      • Francesco scrive:

        in effetti sono entrambe stagionate ma queste riprese di vecchi programmi si basano sempre sull’effetto nostalgia e non su una seria progettazione

        la biondina è eccezionalmente insulsa, per esempio, e andrebbe cassata alla grande

        ciao

        • Moi scrive:

          e poi ricordiamoci che quel “ti amo” in V.O. è un “I love you”, un “iponimo” che può esprimere affetto e stima…

  19. habsburgicus scrive:

    @tutti (in primis Moi suo conterraneo)
    http://santosepolcro1.blogspot.it/2016/03/giovanni-guareschi-e-la-chiesa-d-oggi.html

    mitico Guareschi..nel maggio 1966 (dicesi 1966 !) aveva capito TUTTO !
    Guareschi era già grande di suo, ma questo articolo lo fa assurgere nella vetta !
    io non so se le parole relative a Sodoma valgano anche per l’Emilia o se abbiano ancora validità, ma grazie a Giovanni Guareschi l’Emilia mai farà la fine di Sodoma 😀 sì, perché si trovo un GIUSTO e che Giusto ! pure intelligente, perspicace, coraggioso, anticonformista e con un’ottima capacità di scrittura !

    • habsburgicus scrive:

      trovò

    • Peucezio scrive:

      ” il comunicando riceverà in busta raccomandata l’Ostia Consacrata che egli potrà consumare comodamente a casa servendosi, per non toccarla con le dita impure, di una apposita pinza consacrata fornita dal « reparto meccanizzazione » della Parrocchia.”

      Beata ingenuità! Nemmeno immaginava che di lì a poco, senza farsi nessuna remora, tutti l’avrebbero presa con le mani, anche dopo essere andati a pisciare.

      • roberto scrive:

        ho un vago ricordo secondo il quale quando eravamo bambini il prete ti metteva direttamente l’ostia in bocca, poi improvvisamente venne deciso “per ragioni di igiene” di metterla in mano ai fedeli (il ricordo è quello di un prete che durante l’ora di religione ci spiega che non si deve più andare dal sacerdote con bocca aperta e “lingua penzolante”)
        confermate?

        • Francesco scrive:

          confermo

          però non ho mai percepito le mie mani come “immonde”, almeno non più della bocca

          ciao

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          Non credo che sia per ragioni di igiene, anche se a me fa un po’ schifo un tizio che mi infila una cosa in bocca (cosa che purtroppo è la regola quando la comunione avviene attraverso entrambe le specie, “inzuppando” l’ostia nel vino). Credo che abbia un significato teologico profondo di condivisione e comunione.

          • Peucezio scrive:

            Sono il solito tradizionalista paranoico e complottista, ma secondo me l’intento di dissacrazione, o, diciamo meglio, di diminuzione del senso della percezione della sacralità dell’ostia, è quello decisivo, al di là della buona fede di tantissimi sacerdoti e fedeli.

          • Mauricius Tarvisii scrive:

            Su cosa si fonda questa tua opinione?

          • Peucezio scrive:

            Diciamo che sono malpensante. 😛

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      Comunque è un simpatico mare di cazzate. La mia disistima per Guareschi discende in gran parte da quel pezzo, dove il nostro confonde il cattolicesimo con l’anticomunismo e con “mio nonno inculava le pecore e andava bene così, non come ora che ci sono i froci e non si capisce più niente”.

      • Francesco scrive:

        ti conviene rileggere, mi sa

        Guareschi era uomo di spessore, non un semplice reazionario all’amatriciana

        ed era profondamente cattolico

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          Io giudico il testo: non sono minimamente in grado di leggere nel pensiero degli altri.
          Poi non è che quando l’ha scritto fosse così anziano da poter dire che fosse ormai vecchio e rimbambito: lo ha scritto lucidamente e lo scritto rappresenta il suo lucido pensiero.

        • Moi scrive:

          … a ‘sto giro Mauricius ha respirato più zolfo del solito, scambiandolo more solito per incenso 😉

          • Mauricius Tarvisii scrive:

            Capisco che a te piace il cattolicesimo come cosplayata, ma c’è chi crede ancora che la religione sia qualcosa di serio. Di serio, non di serioso o di caricato.

          • Peucezio scrive:

            Mauricus,
            “ma c’è chi crede ancora che la religione sia qualcosa di serio”

            Ma dai… non ti atteggiare a serio, che sei ancora meno credibile di me 🙂

  20. mirkhond scrive:

    Maurizio

    Conosci questa vicenda?

    http://www.santiebeati.it/dettaglio/96185

    • Andrea Di Vita scrive:

      @ mirkhond

      Sapevo che prevenire il ripetersi di casi del genere aveva indotto la Chiesa a consentire l’uso della pillola anticoncezionale alle suore inviate in zone di missione pericolose.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      No, non la conoscevo.
      Credo comunque che il matrimonio fosse nullo agli occhi del diritto canonico, perché – sebbene consumato – era soltanto simulato con riserva mentale (che nel diritto canonico, contrariamente che nel nostro, rileva).

      • mirkhond scrive:

        Eppure la povera Suor Teresa, rientrata in Italia da anziana, dopo che il marito, il romeo Demetrio Cocorempas era passato a miglior vita, e i loro figli erano ormai adulti, quando chiese di essere riammessa nella comunità comboniana di Verona, per scomparire agli occhi del mondo, non solo si vide rifiutata su ordini della Curia, ma persino il fratello sacerdote, Don Luigi Grigolini che la riaccolse di malavoglia, ne era imbarazzato di fronte ai fedeli di Mambrotta.
        Insomma crocifissa due volte!
        Solo in anni recenti, dopo il romanzo di Silvino Gonzato, Il Chiostro e l’Harem del 1997, la vicenda di Suor Teresa Grigolini è tornata alla ribalta, e lo stesso ordine comboniano ne ha avviato la causa di beatificazione.
        Da notare che Suor Teresa oltre che suora, fu anche moglie e madre esemplare, accudendo fino alla morte quel marito che le era stato imposto dal suo superiore, Padre Joseph Orhwlder, successore di Padre Comboni, a capo dei missionari comboniani in Sudan, matrimonio che Suor Teresa DOVETTE consumare per salvare l’intera comunità di prigionieri e schiavi cristiani di Khartoum dalla violenza dei Mahdisti.

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          E’ il fraintendimento del cattolicesimo sociale: non si guarda alla verità di fede, ma a non scandalizzare le vecchiette. La suora sposata (poco importa come e perché) scandalizza le vecchiette (vecchiette, cultori dei bei tempi andati, alfieri del “ai tempi di mio nonno queste cose non succedevano”), quindi non si può accettare.

          • Mauricius Tarvisii scrive:

            Per cattolicesimo sociale non intendo la dottrina sociale della Chiesa, ma la religione che diventa cultura di una società.

          • Francesco scrive:

            ma la religione che non diventa cultura di una società che cosa è?

            capisco il rischio che denunci, una religione prigioniera dei limiti di una società, ma l’alternativa mi pare una religione disincarnata, spiritualista, personale, irrilevante, inesistente

            ciao

  21. mirkhond scrive:

    Non lo sapevo.
    Comunque non credo che nel 1877-1899, esistessero pillole anticoncezionali.

    • mirkhond scrive:

      A quei tempi di esordio dell’ordine comboniano, le suore rinnovavano i loro voti ogni anno.
      Con l’esplodere della rivolta mahdista nel 1881, non potendo più rinnovarli solennemente, vennero sciolte dal voto di castità che però potevano rinnovare nel segreto.
      Come di fatto fecero quasi tutte le comboniane, tranne Suor Concetta Corsi (1850-1891) di Barletta, l’unica napoletana del gruppo, e la superiora Suor Teresa Grigolini.
      La prima, perché dopo la pseudoconversione all’Islam per timore di essere stuprata, poi cadde vittima di un confratello, il quale dopo averla messa incinta, riusci a fuggire e tornato in Italia, lasciò l’abito (era solo frate, non sacerdote) e si sposò, infischiandosene della povera Suor Concetta e del loro figlio, entrambi morti in prigionia in Sudan.

      • Mauricius Tarvisii scrive:

        Ma lui era un uomo e poteva.

      • Peucezio scrive:

        “Suor Concetta Corsi (1850-1891) di Barletta”

        Questo è interessante.
        Mirkhond, sai qualcosa di più per caso su questi Corsi di Barletta?
        Te lo chiedo perché i Corsi erano i nobili di Minervino, ma come cognome non mi risulta autoctono (come spesso accade coi cognomi delle famiglie nobili).

  22. mirkhond scrive:

    La cosa che più mi ha colpito delle tragiche vicende di Suor Teresa Grigolini, è stata l’ostilità con cui fu accolta dalla Chiesa e dalla sua comunità di Mambrotta, al suo ritorno in Italia.
    Manco fosse stata una prostituta o una rinnegata all’Islam.
    Volevo vedere il vescovo e il clero di Verona, e i compaesani di Mambrotta (frazione di San Martino Buonalbergo), a trovarsi loro nelle mani dei Mahdisti sudanesi, col rischio concreto di essere inculati se non abbracciavano il rozzo Islam del Sudan……

    • Andrea Di Vita scrive:

      @ mirkhond

      Non essere troppo duro coi fedeli Veronesi 🙂

      In “The Lost History of Christianity” di Philip Jenkins si fa riferimento a quel brano del Vangelo in cui Cristo dice che chi lo rinnegherà su questa terra verrà da Lui rinnegato davanti al Padre.

      Con humour anglosassone l’autore nota come spesso questo brano sia evidenziato in quelle chiese cristiane prosperanti in territorio libero dall’Islam, mentre sia passato sotto silenzio da quelle chiese cristiane che si trovano in territori soggetti all’Islam.

      Chissà perché…

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  23. izzaldin scrive:

    @Miguel (e tutti…alcuni parti dovrebbero, per esempio, interessare a Mirkhond)
    che ne pens(i/ate) ?
    http://pauperclass.myblog.it/2016/03/07/quando-morira-lultimo-italiano-alceste/

    molto bello questo articolo postato da Habsburgicus, belle le citazioni alternate alle foto.

    soprattutto questa parte, che fa delle riflessioni su cui mi ero soffermate anche io in passato, sull’ironia di certi marchi..

    Mi chiedo quale fine faranno l’Italiano e gli Italiani, a cui mi sento ormai estraneo come un Cincinnato voglioso di aratro più che di impegno pubblico.
    La fine degli Incas, ridotti a dar nome a una marca di articoli da trekking (quechua)?
    O magari quella delle stirpi iraniche (Nissan Qasqai)?
    O degli indiani Cherokee (Jeep Grand Cherokee)?
    Vanishing people.

    • roberto scrive:

      o degli omosessuali ispanohablantes
      (mitsubishi pajero)

    • PinoMamet scrive:

      Magellano però non aveva golette, come dice l’articolo: sono state inventate secoli dopo.

      Direte: una coglionata da precisino. Sì, ma a volte- e sia ben chiaro, è un metodo puramente indiziario- queste quisquilie sono rivelatrici.

      Infatti anche il resto dell’articolo ha quello sfondo “cartellonistico”, da scenario teatrale, illusionistico, che a me non piace tanto. Va benissimo, e lo trovo anzi meglio di tanti altri metodi, quando si tratta di dare, con grandi pennellate, il tono di epoche lontane o sconosciute del tutto, che a volte emergono meglio così che con la raccolta minuziosa e annalistica à la Habs 😉
      (che intendiamoci, è meritoria)

      ma la suggestione non può mica prendere il posto del ragionamento.

      E anche stando nel campo della suggestione, l’italiano come lingua non rischia affatto di scomparire, non saranno due barbarismi a ucciderla, e devo dire che tutto sommato mi pare quasi più florida dell’inglese, rovinato dalla sua stessa diffusione (ma vivissimo).

      E gli italiani come popoli non rischiano l’estinzione demografica, a meno di avere un’idea molto razzialistica (per non dire razzistica) dei popoli stessi….

  24. mirkhond scrive:

    Perché nei territori in cui sono soggetti a dhimmitudine, molti Cristiani devono fingersi musulmani per sopravvivere COME Cristiani.
    Il caso dei Khrumlì del Ponto o dei criptocattolici albanesi nell’Impero Ottomano, sono quelli più conosciuti dagli studiosi, ma non sono gli unici e non riguardano solo il passato.
    Ufficialmente ancora oggi in Turchia i Cristiani sono 150.000, sebbene il Vicariato Apostolico Cattolico di Smirne nel 2000 dichiarasse che in realtà sono 5.000.000……

  25. Moi scrive:

    Oppure i centri storici d’ Italia diventeranno tutti delle “Disneyland a sfodo stirico dal vivo” , come Roberto Cavalli e Salvatore Leggiero hanno minacciato Firenze … già Bologna è una specie di Lucca Comics Permanente della Movimentismo Creativo come Distruttivo !

    • Miguel Martinez scrive:

      Io capisco le obiezioni razionali a qualunque cosa.

      Però a un certo punto, uno deve chiedersi da che parte sta.

      Ieri ho incontrato la S., che mi indicava il palazzo di fronte a casa sua, che è stato comprato da un camorrista, e le ho chiesto che fine avesse fatto una pittrice che ci aveva lo studio.

      “Non lo so, ma credo che l’abbiano sfrattata, hanno sfrattato anche tutti gli altri. E guarda laggiù, quel palazzo, lì hanno sfrattato tutti per farci un albergo.

      Ma io fo hasino, mi conoscan tutti!”

      E in quel sorriso, di quella che farà comunque casino, riconosco la mia gente.

      • Peucezio scrive:

        Ma sei sicuro dell’aspirazione in “fo hasino”?
        “Fo”, come “vo”, “do”, “sto”, “ho”, ecc. non fa raddoppiamento sintattico?
        A orecchio mi suona stranissimo.

  26. Moi scrive:

    storico 😉

  27. Moi scrive:

    Padre Amorth ha spiegato molte volte chel’ostia “a mano” tipo cìcchen mèchnàgghits da fastfùd 😉 viene presa dai Satanisti infiltrati nelle messe apposta per dissacrarla durante la Messa Nera. Oppure da devoti (?!) che ci fanno il gusto misto con la bighbàbol 🙂 …

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      Ti dirò che basta andare con la bocca asciutta e l’ostia la puoi risputare praticamente intatta per farci quello che vuoi. Se poi dobbiamo piegare la liturgia ai capricci dei satanisti, tanto vale abolire la comunione e, perché no, persino il culto pubblico.

  28. Moi scrive:

    Big Babol = Grande Babele 😀

    • PinoMamet scrive:

      Questo tizio ne fa un problema di frammenti. Conoscendo un ex membro del tribunale ecclesiastico, e avendo sentito un paio di casi riportatimi da lui, con relativi commenti dei suoi colleghi (si può dire così?) credo di poter affermare che questo prete stia decisamente, decisamente, decisamente esagerando.

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      Il problema è quindi che delle molecole di ostia si staccano e finiscono per terra? Pensiamo invece alle molecole che restano in bocca e poi vengono sputate nel lavandino quando ti lavi i denti…

  29. Moi scrive:

    http://enricomariaradaelli.it/emr/aureadomus/convivium/convivium_la_chiesa_ribaltata.html

    presentazioni e stralci dal libro La Chiesa Ribaltata , di Enrico Maria Radaelli

  30. Moi scrive:

    @ PEUCEZIO

    “Cristo viene espulso dalla Casadi Dio, l’altare viene trasformato in tavola calda, l’Ostia viene trasformata in sandwich da consumare in piedi al banco”
    [cit.]

    la cosa dell’ostia in mano c’era già nei primi Anni ’60 dopo il Concilio, probabilmente la prendevano così i giovani … che adesso sono vecchi.

    Intelligenti pauca …

    • Z. scrive:

      Moi,

      scrivere frasi pressoché incomprensibili e aggiungere “Intelligenti Pauca” ti fa sentire molto ganzo? o pensi davvero che si capisca quel che vuoi dire? 🙂

  31. Moi scrive:

    be’, dài che era semplice : l’ ostia in mano c’era già a inizio anni Sessanta come “roba da giovani”, che han sempre continuato così … ora che i giovani degli anni Sessanta sono loro i “matusa” [cit. ] l’ ostia direttamente in bocca è praticamente una prassi scomparsa, può ancora accadere ma nessuno se l’aspetta , a partir dai preti stessi …

    • Peucezio scrive:

      Moi,
      che vuoi fare… quella è la generazione che ha rovinato il mondo.
      E’ incredibile come certi passaggi possano essere decisivi e niente di così rivoluzionario, direi proprio sul piano antropologico, si registra né prima, magari per secoli, né dopo.
      E’ interessante osservare il degrado linguistico, direi proprio prosodico (ma anche lessicale, ecc.) che si riscontra a partire da un certo momento e rispetto al quale a me pare di avvertire un certo riflusso.
      A Milano c’è un cambiamento significativo a partire dalla generazione nata intorno agli anni ’30-’40, quella che aveva quel modo di parlare un po’ nasale, alla Guido Nicheli (che in realtà era bergamasco, ma non identificabile linguisticamente come tale, in termini di italiano locale), ma che aveva ancora tratti tradizionali e di solito una buona competenza del dialetto; poi arriva la generazione dei nati intorno agli anni ’50, i giovani degli anni ’70, che avevano quella parlata orrenda, ancora più nasale, piena di gergalismi, interpretata bene da Luc Merenda, in realtà doppiato, in “Milano trema: la polizia vuole giustizia”, e lì si vede la vera svolta antropologica (interessante come le donne di quella generazione, oltre a parlare nasale, avessero una voce mascolina, di qualche ottava più bassa di una voce femminile normale; ascoltanto le attuali 50-60enni è evidentissimo); poi negli anni ’80 c’erano i paninari, che non erano più nasali, ma avevano un caratteristico modo di parlare strascicato, con la “o” che diventava quasi “uo”, con cui probabilmente si è toccato il punto più basso; oggi, dopo una graduale evoluzione, le ragazze sono tornate a parlare in modo molto femminile (ma èuna cosa recentissima: le attuali 30-35enni hanno ancora un’espressività piuttosto sgradevole e una gestualità ancor peggiore, con dei caratteristici gesti un po’ meccanici, con il palmo della mano rivolto verso il basso, oppure, in una tipologia leggermente precedente temporalmente, verso l’interlocutore), anche se diverso dal passato, ma, rispetto all’aggressività delle generazioni dei decenni scorsi, si nota, in ambo i sessi, un parlare quasi sincopato, in cui pare che il parlante abbia fretta e voglia quasi tacitarsi prima ancora di finire la frase, per cui si ha una specie di estrema accelerazione e discesa di intonazione nell’ultima manciata di sillabe a fine enunciato, che, insieme in generale a una comunicativa esitante e sottotono, in generale piuttosto rapida (l’opposto della parlata strascicata anni ’80, in cui una tonica poteva essere prolungata virtualmente all’infinito), dà l’idea di una sorta di insicurezza, di impaccio espressivo, quasi come se parlare fosse un atto innaturale, da fare il più rapidamente possibile, in modo da tornare allo stato di silenzio, sentito come lo stato naturale, confacente all’essere umano (poi magari parlano moltissimo, ma sempre dando quest’impressione).

      Per inciso, sono tutte osservazioni empiriche: su queste cose non ho mai fatto verifiche sperimentali, come ne ho fatte invece in campo dialettologico puro; d’altronde queste sono mere curiosità da commento telematico: non sono un sociolinguista e nemmeno un cultore dell’italiano regionale.

      • PinoMamet scrive:

        ” le ragazze sono tornate a parlare in modo molto femminile (ma èuna cosa recentissima”

        è vero; è interessante.
        Le trovo anche più femminili, rispetto a quelle della mia generazione, in termini di abbigliamento e cura per il corpo
        (ma in quella, ahimè, sono seguite anche dai maschi… o temporali, o frutti di bosco, direbbe Z.! 😉 )

  32. Moi scrive:

    http://www.lastampa.it/2016/03/15/multimedia/societa/un-minuto-obliqua-mente/il-panda-con-due-pap-cos-si-fa-il-lavaggio-del-cervello-gender-ai-bimbi-PGUczNvGWcFhK9nx570lKJ/pagina.html

    “Volete capire come si fa il lavaggio del cervello gender ai bambini? Ad esempio con il protagonista di Kung Fu Panda che ha due papà.” (dal tweet di un signore molto preoccupato per congiure “contro natura”)
    Sereni…Kung Fu Panda si sa che è stato adottato dall’oca Mr Ping che di certo non è mai stato compagno del Pandone Li Shan che compare nella terza pellicola della saga. Se guardiamo ogni prodotto di fiction per ragazzi con occhi sospettosi di attentati alla morale familiare c’è da impazzire…
    Come mai Qui Quo Qua hanno lo zio Paperino e non un padre? Ciccio è forse il toy boy di nonna Papera?….E Biancaneve con quei sette nani tutta sola?

    Di Gianluca Nicoletti , si noti l’arcaismo-Toscanismo “manutèngolo” [sic] per “toy boy” …

    che il primo ToyBoy (quello di Sinitta,negli Eighties) a dirla tutta NON sembrava affatto dispiaciuto 😉 :

    https://www.youtube.com/watch?v=be7rBgc-OEE

    —–

    E.C.

    In effetti Mr Ping è un’ Oca (che a Bologna è un po’ allusivo) … o un Oco 😉 ?

  33. Moi scrive:

    Un tempo negli anime (migliori) “tiravano” gli orfani …

  34. Pingback: Nimby e faville | Kelebek Blog

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