Costanzo Preve su Joseph Ratzinger, Umberto Eco, Vito Mancuso e Telmo Pievani

Con il solito ritardo, pubblico questo saggio dell’ottimo Costanzo Preve.

Teologia e filosofia per studenti della scuola dell’obbligo.

Considerazioni su Joseph Ratzinger, Umberto Eco, Vito Mancuso e Telmo Pievani.

di Costanzo Preve

Umberto Eco ha concesso un’intervista al giornale tedesco Berliner Zeitung del 19/9/2011. Cito dal virgolettato riportato da “Repubblica”, 20/9/2011. Afferma Eco:

“Ratzinger non è un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale. Le sue polemiche, la sua lotta contro il relativismo sono, a mio avviso, semplicemente molto grossolane, e nemmeno uno studente della scuola dell’obbligo le formulerebbe come lui. La sua formazione filosofica è estremamente debole. In sei mesi, potrei organizzare io stesso un seminario sul tema del relativismo. Si può stare certi che alla fine presenterei almeno venti posizioni filosofiche differenti. Metterle tutte insieme come fa papa Benedetto XVI, come se fossero una posizione unitaria, è estremamente naif”.

Ho conosciuto molti anni fa Umberto Eco in un seminario residenziale dei gesuiti all’Aloysianum di Gallarate. Era esattamente quello che sembra: un brillante e superficiale retore, che supplisce alla mancanza di profondità con un fuoco d’artificio di erudizione. Ma qui siamo alla vera e propria “boria dei dotti” di cui parla Vico (sia pure in un altro contesto), per cui persino Ratzinger è sottoposto alla correzione delle tesine con matita rossa e blu.

Ho superato purtroppo da tempo l’età della scuola dell’obbligo. Ma voglio dire la mia. Affronterò prima il tema della teologia, e poi quello della filosofia. Dico subito che per me Ratzinger è un filosofo di primo livello, del tutto indipendentemente dal suo ruolo di papa e dal fatto che personalmente non sono in alcun modo una pecorella del suo gregge.

La religione cristiana non consiste affatto in teologia, ma semplicemente in Fede, Speranza e Carità. Di tutte e tre queste dimensioni, tendo a mettere al primo posto la Carità, e so di essere in buona compagnia. La cosiddetta “teologia” è semplicemente l’applicazione alla fede religiosa della terminologia concettuale della filosofia greca classica (e Platone ed Aristotele in primo luogo), e non è a mio avviso assolutamente necessaria per la pratica religiosa. Esattamente come l’epistemologia per la scienza, che non ne ha nessunissimo bisogno e che va comunque avanti per conto suo, nello stesso identico modo la pratica religiosa, individuale o collettiva, va avanti da sola senza teologia.

Il bisogno di giustificare “teologicamente” la fede cristiana è un fatto storico emerso tra il XII ed il XIV secolo dopo Cristo in Europa occidentale (considero la patristica greca un caso diverso- lì non si trattava di giustificare, ma di comprendere meglio), come risposta ai nuovi bisogni culturali della civiltà comunale. Da allora si assiste a due processi culturali paralleli, che a volte si intrecciano, ma che bisogna tenere ben distinti. Da un lato, la pratica religiosa comunitaria è erosa dalla secolarizzazione individualistica, e questo viene impropriamente chiamato “eclissi del sacro nella società moderna”. Dall’altro, ed in modo assolutamente indipendente, l’argomentazione teologica viene erosa dalla critica scientifica di origine illuministica. I due processi sono del tutto distinti, ma i confusionari non riescono a distinguerli.

Esaminiamo ora il secondo processo, spesso impropriamente connotato come “laicismo razionalista”. Se per laicismo (ma sarebbe meglio dire laicità) si intende la separazione tra diritto pieno alla cittadinanza politica costituzionale e qualunque pratica religiosa ( professione di ateismo razionalistico), allora io stesso, che aborro il laicismo filosofico come fondamentalismo illuministico astratto mascherato, sono pienamente e convintamente laico. Ma non è questo il laicismo di Eco. Per capirne meglio la natura sono costretto ad aprire una parentesi filosofica apposita.

Il laicismo, che personalmente preferisco definire come “fondamentalismo illuministico”, si presenta come l’unico e vero discorso filosofico della modernità (cfr. J. Habermas, Il discorso filosofico della modernità, Laterza 1987). Habermas connota la modernità come abbandono della pretesa metafisica della conoscenza e della valutazione della totalità, ed è chiaro che qui siamo di fronte a un parricidio nei confronti del suo maestro Adorno, tanto migliore di lui (valutazione mia, CP). In questo modo Kant diventa il primo e anche l’ultimo vero autore moderno, mentre sia Hegel che Marx vengono esplicitamente connotati come “pre-moderni”, e cioè come metafisici secolarizzati della totalità.

Devo personalmente ringraziare Habermas per la sua chiarezza, perché leggendo il suo saggio ho finalmente capito che non solo personalmente non ero “moderno”, ma non mi sarebbe mai più importato nulla essere considerato tale. Vale invece la pena individuare il nucleo di questa modernità laica, e diagnosticarne la povertà.

La radice filosofica di questa “modernità” sta nella riduzione del problema della verità a quello della certezza del soggetto, o meglio alle modalità gnoseologiche del suo accertamento. Correttamente Lukács scrisse che la gnoseologia è la teologia dei tempi moderni e della società capitalistica.

A partire dal Cogito di Cartesio fino all’Io penso di Kant si svolge un processo effettivamente “moderno” che riduce integralmente il problema della verità della totalità in certezza epistemologica del soggetto, un soggetto (non dimentichiamolo) de-storicizzato e de-socializzato. In questa concezione la ri-storicizzazione e ri-socializzazione del soggetto, operata da Vico, Fichte, Hegel e Marx viene paradossalmente considerata pre-moderna e non moderna. Ma non siamo che all’anticamera della comprensione del problema.

La chiave del moderno relativismo laicista si trova a mio avviso in Max Weber, il “Marx della borghesia”, un neo-kantiano senza coscienza infelice ma consapevole della “gabbia d’acciaio” in cui il capitalismo stava rinchiudendo gli uomini.

Come ha osservato una acuta interprete francese, l’esito relativista di Max Weber (il relativismo dei valori portato dal disincanto del mondo) è in realtà ambiguo, perché Max Weber è un comparatista relativista (tutte le religioni e le civiltà sono “valorialmente” egualmente vicine a Dio, e cioè al nulla) ed un epistemologo assolutista, perché la civiltà occidentale è considerata superiore a tutte le altre proprio in nome del razionalismo proceduralistico, il cui esito è appunto il relativismo dei valori e il disincanto del mondo.

Vediamo allora dove sta la volgarità arrogante di Umberto Eco quando scrive che il modo di affrontare il relativismo di Ratzinger è inferiore a quello di uno studente della scuola dell’obbligo. In quanto “ismo” è naturale che il relativismo contenga almeno venti differenti varianti storiche e teoriche, e qualunque professore universitario (e liceale) è in grado di enumerarle e distinguerle dottamente. Ma questo avviene per qualunque “ismo” (idealismo, positivismo, storicismo, eccetera). Gli “ismi” sono classi di elementi distinti. Nello stesso tempo gli “ismi” sono astrattamente e concettualmente unificabili. Ad esempio Hegel è idealista, Feuerbach materialista e Weber storicista.

Nello stesso tempo il relativismo moderno (non parlo qui dei sofisti greci, per cui il discorso dovrebbe essere diverso) si basa su due fondamenti estremamente unitari. In primo luogo, sulla riduzione integrale del vecchio problema “metafisico” della verità nel nuovo problema epistemologico della corretta certezza (verificabile e falsificabile) di un soggetto preventivamente destoricizzato e de socializzato ( da Cartesio a Kant), che permette di “squalificare” e di delegittimare come “anti-moderni” tutti coloro che parlano di verità (o falsità) della totalità espressiva (Habermas su Hegel e Marx).

In secondo luogo, sulla mescolanza di relativismo comparatista e di epistemologia assolutista (solo il razionalismo occidentale viene legittimato, in quanto anti-metafisico), con le note conseguenze in termini di arroganza e di “burbanza” (Eco).

E’ un peccato, perché non mi sogno affatto di negare il nucleo di razionalità del pensiero scientifico e di quello laicista. Prendiamo ad esempio l’ultimo libro di Telmo Pievani (cfr. La vita inaspettata, Cortina editore 2010). Pievani difende l’evoluzionismo darwiniano, dandogli una nota fortemente contingentistica e casualistica, ed illustra “il fascino di una evoluzione che non ci aveva previsto”.

Come confutazione del cosiddetto “disegno intelligente” (indipendentemente dal fatto che Ratzinger lo difenda esplicitamente o lo adombri solo cautamente, come è da parte sua opportuno fare) il libro di Telmo Pievani è ottimo, e assolutamente convincente. Dirò di più: per quanto ne posso capire, Pievani ha assolutamente ragione. Ma dovrebbe fermarsi qui. Ed invece non si ferma, perché deve assolutamente comunicarci il suo assolutismo metafisico, che è una metafisica della contingenza assoluta. Pievani deve ad ogni costo seguire la linea degli agnostici ed atei razionalisti (Odifreddi, Turchetto, eccetera), criticare le pretese conoscitive della filosofia e le pretese etico-comunitarie della religione.

Se rispettasse un poco di più la filosofia classica (e non quella caricatura chiamata epistemologia, inutile a sé e agli altri) conoscerebbe Aristotele, e saprebbe che un conto è la contingenza e la casualità (katà to dynatòn), ed un conto l’essente-in-possibilità, e cioè in potenzialità (dynamei on), e che la natura seguirà forse il primo principio, ma la civiltà umana processuale ed autocosciente il secondo. E allora la richiesta fatta alla riflessione etica e filosofica di basarsi sul “sapere scientifico” resta ambigua e fuorviante.

Se il sapere scientifico, che un tempo era il sapere del necessitarismo deterministico basato sul modello meccanicistico della fisica seicentesca, ed oggi è invece il sapere dell’accettazione della casualità e della contingenza (katà to dynatòn), come è possibile che ci si possa fondare sopra il sapere etico e filosofico, che è invece un sapere delle possibilità processuali progettate e volute dal genere umano (dynamei on)?

A questo porta il riduzionismo scientistico e la polemica (sia pure più che fondata) contro l’antropomorfismo ingenuo del disegno intelligente (di cui una variante ben difesa, ma molto meno convincente della contingenza di Pievani, può essere letta in Michael Georgiev, Charles Darwin oltre le colonne d’Ercole, Gribaudi, Milano 2009). Non fa mai male sentire anche l’altra campana.

In epoca di individualismo assoluto e di rottura di ogni comunitarismo è ovvio che anche la teologia assuma la forma del fai-da-te. Un esempio di questo è il recente saggio di Vito Mancuso (cfr. Io e Dio, Garzanti, Milano 2011). Già il titolo dice tutto. Il fatto di mettere prima l’Io (l’io coscienziale e singolo, non certo l’Io fichtiano come metafora della prassi unificata dell’intera umanità), e soltanto poi Dio, e cioè l’Universale, non deve essere inteso come un empirico difetto narcisistico dell’individuo Mancuso, ma un segno dello spirito del tempo (Zeitgeist), che parte sempre dall’ombelico del soggetto individuale, e che crede (erroneamente) che partendo dall’ombelico si arrivi meglio al cervello ed al cuore.

La concezione di Mancuso di Dio come “sorgente e porto dell’essere-energia”, a metà fra Teilhard de Chardin ed uno sciamano siberiano, fa rimpiangere la vecchia concezione tomistica classica. Mancuso vuole continuare ad essere cattolico, quando ormai più nessuna Inquisizione lo obbligherebbe a farlo, e manifesta così il carattere opportunistico della cultura mediatica di oggi, che vuole essere insieme eversiva e conformistica. E’ interessante la reazione dei cosiddetti “laici” italiani, in realtà fondamentalisti illuministici di centro-sinistra. Gustavo Zagrebelsky (cfr. “Repubblica”, 9/9/2011) saluta l’avvento di una nuova teologia fondata sul prima della coscienza contro la chiesa dell’obbedienza.

Non è un caso. Per i vari Zagrebelsky l’obbedienza deve essere riservata all’economia (sfida della globalizzazione, giudizio dei mercati, vincolo del debito, dittatura delle agenzie di rating, eccetera), mentre l’ambito del costume e delle religioni deve essere invece interamente liberalizzato (la “modernità” secondo Eugenio Scalfari). Ora, se c’è qualcosa in cui le chiese organizzate possono ancora servire a qualcosa, è proprio sul livello dell’obbedienza, diretto a quel 95% degli essere umani che non intendono ascoltare il linguaggio del dialogo filosofico veritativo razionale (in accordo con Platone e Hegel, chiamo “retori” e non filosofi i negatori della verità). Gian Enrico Rusconi (cfr. “La Stampa”, 18/9/2011) non si accontenta del primato della coscienza (traduzione: del primato dell’arbitrio del volere scambiato per libertà), ma vorrebbe di più, e cioè il “riconoscimento dell’autonomia del pensiero laico” (sic!). Questo mi ricorda i funzionari staliniani, che erano disposti a tollerare il cristianesimo purchè “riconoscesse” la scientificità dell’ateismo, il materialismo dialettico e l’inesistenza di Dio “scientificamente dimostrata”.

Benchè Zagrevelsky sia più sobrio di Rusconi, entrambi non contestano l’imposizione individualistico-coscienziale (e cioè l’Io e Dio, con Io davanti e Dio dopo) di Mancuso. Per i “laici” lo spazio pubblico deve essere infatti riservato interamente al “laicismo” (nel senso di relativismo e nichilismo, che non è solo quello di Ratzinger, ma è quello di Nietzsche e di Weber), mentre la religione come fatto pubblico può essere “tollerata” come forma arcaica di Gay Pride e di sfilata femminista.

A differenza di Mancuso, non voglio fare il teologo dilettante fai-da-te. Nulla sarebbe più facile. Io non credo nel Dio di Ratzinger, ma nel modo in cui impostano la questione Spinoza e Hegel (migliore del modo “materialistico” in cui imposta il pur ammirevole Feuerbach ed il volenteroso Marx). Ammiro molto la risposta data da Hegel al suo studente Heine, che gli faceva l’apologia della premiazione dei buoni e della punizione dei cattivi nell’aldilà. Hegel lo guardò freddamente e gli disse: “Perché, Lei ha bisogno di una mancia per assistere la sua signora madre malata e per non avvelenare il suo signor fratello maggiore?”.

E con questo, l’essenziale della teologia è detto.

Passiamo alla filosofia, in cui non sono più uno studente della scuola dell’obbligo, ma un competente specialista. Ho già affermato che la riduzione del molteplice (le varie forme storiche e teoriche di relativismo) all’unità (il concetto unitario di relativismo) è assolutamente giustificata, ed è del resto moneta corrente di tutti i filosofi di professione. In quanto storico della filosofia, so perfettamente che vi sono profonde ragioni per essere relativisti (Weber) e nichilisti (Nietzsche in quanto porta girevole sia per il Superuomo che per l’Oltreuomo). Ma vi sono a mio avviso ragioni più profonde per non esserlo, da Spinoza a Vico, da Fichte a Hegel, da Marx a Lukàcs.

Ho scritto in proposito migliaia di pagine, che non posso certo riassumere qui. Semplicemente, non si cada nel “gioco delle tre carte”, strumento per spillare soldi ai babbioni negli atri delle stazioni ferroviarie, per cui le rispettabili opinioni relativistiche e nichilistiche vengono fatte passare per esito obbligato della scienza moderna (Pievani) e della visione laica del mondo (Zagrebelsky e Rusconi). Una volta fatta cadere questa “boria dei dotti” e questa coazione a ripetere del professore universitario che corregge le tesi, tutto poi può essere liberamente detto ed argomentato.

Due parole su Ratzinger. Per giudicarlo come teologo, bisogna prima tener conto del fatto che non si chiama soltanto Joseph, ma Benedetto XVI. In proposito, weberiani come Eco, Zagrebelsky e Rusconi dovranno pur sempre ammettere che, oltre all’etica delle opinioni, che pertiene a Ratzinger, egli deve anche ispirarsi all’etica della responsabilità, che invece pertiene a Benedetto XVI. Se io diventassi papa (mai dubitare della Divina Provvidenza!) non potrei certamente contestare il (ridicolo) sangue di San Gennaro o proclamare che nessuna vergine può essere madre di Gesù o che la sindone di Torino è una falso medioevale.

Perché portare sconcerto tra i fedeli, che chiedono soprattutto solidarietà e comunità? Quando vedo individui presuntuosi e isolati (Flores d’Arcais, Marcello Pera, eccetera) parlare da pari a pari con Benedetto XVI, come se fossero tutti pensionati al bar con gli amici, sono preso da un senso di ridicolo. Come filosofo, anche lo scrivente si sente eguale a Ratzinger, e così deve essere, perché la filosofia (ce lo ha insegnato l’ateniese Socrate) non conosce gerarchie o auctoritates, ma solo libere argomentazioni. Ma io non sono eguale a Benedetto XVI, per il semplice e noto fatto (che però sfugge in genere ai laici, scientisti o esistenzialisti, neokantiani o positivisti, eccetera) che egli è carico di una responsabilità. Su questa base deve anche allora essere giudicato sia come teologo che come filosofo. A differenza di Umberto Eco, lo giudico un teologo ed un filosofo di alto livello, e cerco di spiegarne brevemente il perché.

Come teologo, non posso certo pretendere che dia del Cristo una interpretazione “materialistica” fondata sulla teoria dei modi di produzione (Fernando Belo, Massimo Bontempelli prima maniera de “Il senso della storia antica”, Trevisini), oppure riduca Gesù a zelota armato crocifisso perché accusato di insurrezione (vedi cartiglio INRI, riservato esclusivamente agli zeloti armati del tempo). E’ evidente che il suo Gesù non può essere demitizzato e storicizzato oltre un certo punto. Si tratta di un Gesù serio e credibile, cui personalmente non “credo”, ma che nello stesso tempo evito di ridurre a “Io (Costanzo Preve) e il Gesù di Ratzinger” sulla base della centralità del mio pur rispettabile ombelico. Ritengo anche molto razionale ricorrere alla concezione di Tommaso d’Aquino, che mi sembra stabile molto più di quanto lo sia la teologia universitaria liberale di Hans Küng, per non parlare di Mancuso (two theologians in a boat, to say nothing of the dog).

Come filosofo, Ratzinger riprende la concezione normativa della natura umana di Aristotele e più in generale dei greci. Bene, non so che cosa abbia in testa Umberto Eco, ma penso che si tratti di un’ottima filosofia. Un mio fraterno amico, Luca Grecchi, ha costruito sul recupero dei greci una concezione umanistica della filosofia, e questo senza essere affatto un “credente” nel senso di Ratzinger (si vedano le due notevoli interviste a Enrico Berti e a Carmelo Vigna). Certo, Ratzinger non può certo aderire alla filosofia secolarizzata della storia di Fichte, Hegel e Marx, e questo perché quest’ultima a mio avviso è del tutto incompatibile con una teologia del monoteismo cristiano rivelato e con una interpretazione “letterale” della Trinità secondo il concilio di Nicea. E non vedo perché lo si debba pretendere.

La superiorità e l’inferiorità di una filosofia non possono essere “sostenute” in assoluto, ma solo in rapporto al “proprio tempo appreso nel pensiero” (Hegel). Sarebbe quindi improprio paragonare Ratzinger a Platone, Aristotele, Spinoza, Kant, Hegel o Marx. Ma se collochiamo Ratzinger nel tempo in cui stiamo vivendo (una dürftige Zeit, un tempo della miseria) la superiorità di Ratzinger sulla spocchia autoreferenziale dei dotti universitari boriosi alla Eco è addirittura tennistica.

 Torino, settembre 2011

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102 risposte a Costanzo Preve su Joseph Ratzinger, Umberto Eco, Vito Mancuso e Telmo Pievani

  1. mirkhond scrive:

    “Umberto Eco …… Era esattamente quello che sembra: un brillante e superficiale retore, che supplisce alla mancanza di profondità con un fuoco d’artificio di erudizione.”

    Non mi sento di dare del tutto torto a Preve…

    “ho finalmente capito che non solo personalmente non ero “moderno”, ma non mi sarebbe mai più importato nulla essere considerato tale.”

    Da quell’ignorante di filosofia che sono, non posso che condividere queste commoventi considerazioni…

    “non potrei certamente contestare il (ridicolo) sangue di San Gennaro o proclamare che nessuna vergine può essere madre di Gesù o che la sindone di Torino è una falso medioevale.”

    Io invece nonostante tutto, da ignorante afilosofico, credo che queste ridicolaggini siano VERITA’, in quanto fin’ora, nessun scienziato mi ha dimostrato la falsità di tali credenze….

    “Come teologo, non posso certo pretendere che dia del Cristo una interpretazione “materialistica” fondata sulla teoria dei modi di produzione (Fernando Belo, Massimo Bontempelli prima maniera de “Il senso della storia antica”, Trevisini), oppure riduca Gesù a zelota armato crocifisso perché accusato di insurrezione (vedi cartiglio INRI, riservato esclusivamente agli zeloti armati del tempo). E’ evidente che il suo Gesù non può essere demitizzato e storicizzato oltre un certo punto. Si tratta di un Gesù serio e credibile, cui personalmente non “credo”, ma che nello stesso tempo evito di ridurre a “Io (Costanzo Preve) e il Gesù di Ratzinger” sulla base della centralità del mio pur rispettabile ombelico. Ritengo anche molto razionale ricorrere alla concezione di Tommaso d’Aquino, che mi sembra stabile molto più di quanto lo sia la teologia universitaria liberale di Hans Küng, per non parlare di Mancuso (two theologians in a boat, to say nothing of the dog).”

    Certo, rispettiamolo come imbonitore spirituale per milioni di deficienti che si OSTINANO a credere che, chiunque sia stato Gesù nel suo cammino sulla terra, se fosse stato uno zelota, il suo messaggio sarebbe morto con lui, insieme ai tanti sedicenti messia del suo tempo che finirono anch’essi uccisi da Roma, ma che non mi sembra abbiano dato origine ad una Fede che CONTINUA da 2000 anni…..

    “la superiorità di Ratzinger sulla spocchia autoreferenziale dei dotti universitari boriosi alla Eco è addirittura tennistica.”

    Anche qui concordo sostanzialmente col professor Preve, nonostante lo sproloquio di Ratisbona e l’insensibilità nei confronti della sofferenza di malati gravi, fisici e psichici….

    • Ritvan scrive:

      —-“la superiorità di Ratzinger sulla spocchia autoreferenziale dei dotti universitari boriosi alla Eco è addirittura tennistica.”(C. Preve)
      Anche qui concordo sostanzialmente col professor Preve, nonostante lo sproloquio di Ratisbona ….mirkhond—-
      Abbi pazienza, caro mirkhond, e visto che sei stato l’unico qui a ricordarti della megacastroneria di Ratisbona, quel “nonostante” non mi piace affatto. Nessun “universitario borioso” avrebbe infilato quella minchionesca citazione in un invito al dialogo col mondo islamico, anche se il suddetto “universitario borioso” non ha la RESPONSABILITA’ (tanto cara al buon Preve) di un Papa verso i milioni di correligionari viventi in terre islamiche. Insomma, il Sommo Teologo&Filosofo, nonché Papa, ha dimostrato in quell’occasione meno “racione”:-) di un povero contadino analfabeta che non si sognerebbe mai di infilare in un discorso rivolto a uno con cui cerca il dialogo una frase del tipo “Sai, caro Mario, io vorrei tanto esserti amico, però non posso esimermi dal dirti che ho saputo dal primo marito di tua moglie che lei è una grandissima zoccola”:-):-)

      —e l’insensibilità nei confronti della sofferenza di malati gravi, fisici e psichici–
      Qui, invece, non posso che dargli ragione (ovviamente dal suo punto di vista teologico cattolico), se per “insensibilità” tu intendi il rifiuto dell’eutanasia. Per un seguace di Gesù Cristo l’amaro calice va bevuto fino in fondo, visto che nemmeno per Lui Dio fece eccezione mandandogli in quelle terribili ore un angelo con una fiala di morfina che avrebbe steso un cavallo ….E Lui infine disse “Sia fatta la Tua volontà, non la mia”…

      • Francesco scrive:

        Ritvan,

        sbaglio o il discorso di Ratisbona NON aveva come ambito il dialogo col mondo islamico ma quello con il “razionalismo occidentale”?
        e la citazione serviva a B16 per parlare del rapporto tra Ragione e Fede in tutta la storia cristiana e non a litigare con voialtri musulmani?
        che poi è all’incirca la stessa cosa che i musulmani dicono quando parlano delle “aggiunte” della Chiesa all’annuncio di Gesù Cristo, tipo la Trinità o la duplice natura del Cristo come vero Dio e vero uomo.
        Per non spararsi addosso non è necessario raccontarsi delle bugie, basta partire dal rispetto per ogni uomo.

        Ciao

        • Ritvan scrive:

          —Ritvan, sbaglio o il discorso di Ratisbona NON aveva come ambito il dialogo col mondo islamico ma quello con il “razionalismo occidentale”?Francesco—
          Sì, sbagli. A meno che tu non voglia considerare una bugia:-) quel che disse il Papa dopo le violente reazioni nel mondo islamico alla suddetta minchionesca citazione. Durante l’Angelus domenicale (17/09/2006) egli disse a proposito del suo discorso a Ratisbona:”Il mio era un invito al dialogo franco e sincero. […] Spero che questo valga a placare gli animi”. O dici che tirando in ballo Maometto il Papa abbia voluto fare un dialogo coi…buddisti?:-)

          —e la citazione serviva a B16 per parlare del rapporto tra Ragione e Fede in tutta la storia cristiana e non a litigare con voialtri musulmani?—
          Non ho detto che l’abbia fatto apposta per “litigare”, ma siccome l’effetto è stato quello….

          —che poi è all’incirca la stessa cosa che i musulmani dicono quando parlano delle “aggiunte” della Chiesa all’annuncio di Gesù Cristo, tipo la Trinità o la duplice natura del Cristo come vero Dio e vero uomo.—
          Non mischiamo mele con patate, per favore. Non è affatto la stessa cosa, quelle sono solo differenze dottrinarie che esistono oggettivamente e se non esistessero allora si sarebbe tutti cattolici o tutti musulmani o tutti Testimoni di Geova:-) Ma da qui a diffamare – seppur per bocca dell’ineffabile Paleologo – il Profeta dell’islam ce ne corre.

          —Per non spararsi addosso non è necessario raccontarsi delle bugie, basta partire dal rispetto per ogni uomo.—
          Appunto, e siccome anche Maometto era un uomo (e non ha mai avanzato pretese di divinità:-) ) un po’ di rispetto per lui e anche per la verità storica non guasterebbe. Perché oltre ad essere inopportuna e offensiva, la frase citata dal Papa era anche UNA MENZOGNA. Dice il Paleologo: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava.”. E’ un clamoroso FALSO, poiché la “direttiva” di Maometto, a cui Egli si tenne finché visse, era quella di garantire LA LIBERTA’ RELIGIOSA a ogni uomo, perfino ai “miscredenti” politeisti (quando fece ritorno da vincitore nella natia Mecca non impose mica la conversione ai politeisti, eh), concetto che nel Glorioso Occidente si affermò solo più di un millennio dopo.
          E se non credi a me, biekissimo barbuto&intabarrato:-), ascolta almeno l’insigne storico Bernard Lewis, ebreo e, pertanto, nient’affatto tenero con l’islam e il fondamentalismo islamico:
          Nel suo libro “Islam: The Religion and the People”( Bernard Lewis and Buntzie Ellis ChurchillWharton School Publishing, 2008, p. 146) egli scrive a proposito dell’islam ai tempi di Maometto e delle successive conquiste arabe:
          “…the fanatical warrior offering his victims the choice of the Koran or the sword is not only untrue, it is impossible” and that “generally speaking, Muslim tolerance of unbelievers was far better than anything available in Christendom, until the rise of secularism in the 17th century.”

          Ciao

        • mirkhond scrive:

          Concordo pienamente con Ritvan.

        • Francesco scrive:

          x Ritvan

          1) invito al dialogo con chi? io ho riletto il discorso di Ratisbona e non ricordo che i rapporti con l’Islam avessero un ruolo in esso. Certo che dopo le reazioni violente di parte dei musulmani il Papa corse ai ripari … cosa che non capita nell’altro senso. Quando un predicatore musulmano esprime pareri forti contro i cristiani, nessuno di noi parte a caccia di musulmani a cui farla pagare DEO GRATIAM

          2) l’esempio sarà sbagliato ma comprensibile, considerato quello che successe all’Impero bizantino. In ogni caso, mi pare di maggiore rilevanza l’affermazione – per quanto altrettanto insoddisfacente per un musulmano. Ma come dici tu, in caso contrario saremmo tutti musulmani o tutti cristiani.

          3) parlando di libertà religiosa, mi sa che tra le direttive date dal Profeta e la realtà ci sia stata una certa differenza

          Saluti

        • Ritvan scrive:

          x Ritvan

          —–1) invito al dialogo con chi? io ho riletto il discorso di Ratisbona e non ricordo che i rapporti con l’Islam avessero un ruolo in esso. Francesco—-
          Repetita iuvant..a volte:-). “Durante l’Angelus domenicale (17/09/2006) egli disse a proposito del suo discorso a Ratisbona:”Il mio era un invito al dialogo franco e sincero. […]…”

          —Certo che dopo le reazioni violente di parte dei musulmani il Papa corse ai ripari … —
          Già.

          —cosa che non capita nell’altro senso. Quando un predicatore musulmano esprime pareri forti contro i cristiani, nessuno di noi parte a caccia di musulmani a cui farla pagare DEO GRATIAM—
          A parte il fatto che il tuo caro “predicatore musulmano” rappresenterebbe solo se stesso, non mi risultano “pareri forti” contro IL CRISTIANESIMO o contro GESU’ da parte di “predicatori musulmani”.

          —2) l’esempio sarà sbagliato ma comprensibile, considerato quello che successe all’Impero bizantino.—
          Perse la guerra. Ma non mi sembra una ragione valida per riesumare l’espressione di rancore di uno che ha perduto la guerra.

          —-In ogni caso, mi pare di maggiore rilevanza l’affermazione – per quanto altrettanto insoddisfacente per un musulmano. Ma come dici tu, in caso contrario saremmo tutti musulmani o tutti cristiani.—
          Qui mi sa che è saltato un paragrafo….

          —3) parlando di libertà religiosa, mi sa che tra le direttive date dal Profeta e la realtà ci sia stata una certa differenza—
          Non credo proprio. Rivedi la citazione da Lewis.

          Saluti

        • Ritvan scrive:

          —Concordo pienamente con Ritvan. mirkhond—
          Grazie caro!
          P.S. Vorrei aggiungere che l’islam si diffuse “attraverso la spada” solo quando non vi era alternativa di predicazione pacifica del messaggio coranico. E questo era proprio il caso dei territori confinanti con l’Arabia e governati dagli ortodossissimi bizantini. Ho letto da qualche parte – non ricordo dove e e cito a memoria – che lo stesso Profeta Maometto avrebbe chiesto all’imperatore bizantino il permesso di mandare laggiù dei predicatori dell’islam e, naturalmente:-), l’ortodossissimo imperatore si era ben guardato dall’accettare tali predicatori di “eresie”:-). Da qui l’esigenza per i califfi successori di Maometto di dichiarare guerra a Bisanzio, in nome della “libertà religiosa”. (tu, caro, mirkhond, hai per caso dei riferimenti storici più precisi in merito?)
          In Indonesia, invece, dove i mercanti musulmani furono liberi di predicare la loro religione, non ci fu alcun bisogno della “spada”.

      • mirkhond scrive:

        Gesù disse anche che il discepolo non è più del Maestro.
        Ora se il Maestro tra Passione e Morte ha sofferto solo DUE GIORNI, non vedo perchè il discepolo debba soffrire due mesi, due anni, o molto, molto, molto di più…
        ciao

        • mirkhond scrive:

          Sul tema della sofferenza, dal sito di Massimo Fini:

          L’impossibilità di essere vecchi

          Articolo uscito su IL Fatto Quotidiano sabato 3 dicembre 2011

          Da parecchi decenni si registra, in Occidente, un fenomeno del tutto nuovo e sconosciuto alle società che ci hanno preceduto: i suicidi dei vecchi. Quelli, recenti, di personaggi illustri come Monicelli e Magri, che pur erano dei privilegiati rispetto ai loro coetanei, non fanno che evidenziare un trendben noto agli studiosi. Le ragioni sono principalmente due: la perdita di ruolo e la solitudine.

          Nella società agricola, premoderna, preindustriale, prevalentemente a tradizione orale, statica, il vecchio è il detentore del sapere (ma sarebbe forse meglio dire di una sapienza) che tramanda ai suoi discendenti. Resta, sino alla fine, il capo indiscusso della famiglia e conserva quindi un ruolo e la sua vita un senso. Nella società attuale avviene esattamente l’opposto. Le rapidissime trasformazioni tecnologiche fanno del vecchio un analfabeta di ritorno, uno spaesato, uno spostato, la sua esperienza non serve più a nulla, non conta più nulla. Non è lui a insegnare ai giovani che, con una condiscendenza che lo ferisce, devono insegnare a lui. Scrive lo storico Carlo Maria Cipolla: “Un vecchio nella società agricola è il saggio, in quella industriale un relitto”.

          Terribile, davvero terribile, è poi la solitudine del vecchio di oggi, soprattutto nella società urbana, rinchiuso in qualche bilocale negli hinterland delle grandi città, senza sapere più cosa fare di sé. In Europa solo il 2% dei vecchi vive con i propri figli o nipoti. La famiglia mononucleare, le ridotte dimensioni degli appartamenti, gli impegni sempre più stressanti dei figli, impediscono di tenere in casa i genitori, sempre più vecchi e malandati (viviamo troppo a lungo, dio stramaledica la medicina tecnologica). Nella società d’antan il vecchio viveva invece nella famiglia allargata, circondato dai numerosi figli, dai nipoti, dai molti bambini, dalle donne di casa e da esse accudito nel periodo, fortunatamente breve, in cui non era più in grado di badare a se stesso.

          Come terzo elemento mettiamoci che oggi è proibito essere vecchi. E così la vecchiaia ha perso anche uno dei suoi pochi lussi: quello di potersi abbandonare alla propria età e ai suoi inevitabili limiti. “Vecchio è bello”, figuriamoci. Ma a patto che rinneghi se stesso, che appaia giovane, che se la dia da giovane, che faccia il giovane, che consumi, possibilmente, come un giovane. È costretto quindi a sgambettare impudicamente nelle balere, a scopare, con viagra o altri accorgimenti pompettari, anche se non ne ha più voglia, a imbarcarsi in maratone assassine in cui regolarmente si infartua. Se invece è vecchio e lo dimostra è irrimediabilmente out e viene emarginato senza pietà. Foera de ball.

          Fra i vecchi si suicidano gli uomini, non le donne. Perché sono più vitali. Lo si vede anche fuori dall’ambito dei suicidi. Se in una vecchia coppia muore prima lui, lei, liberatasi dal rompicoglioni, rifiorisce, comincia a far viaggi, a visitare mostre, a curare antichi interessi. Se invece muore lei, il marito intristisce, rinsecchisce, perde ogni voglia, com’è capitato a Lucio Magri. Si obietta che anche in altre civiltà è esistito, o esiste, il suicidio dei vecchi. Fra gli esquimesi il vecchio capofamiglia una sera, nell’igloo, dopo la cena, fissa negli occhi, in silenzio, i propri familiari. Poi esce, da solo, nella notte polare. Ma il suo è un suicidio per consapevolezza, a suo modo sereno, naturale. La consapevolezza che il suo compito è terminato. Quello di Magri e degli altri è invece un suicidio per disperazione. Questa è la differenza.

          Massimo Fini

          http://www.massimofini.it

        • jam... scrive:

          ..Gesù ha sofferto solo due giorni nella storia un po’ astorica degli degli storici, perché nella storia Reale o nella ierostoria Gesù ha sofferto da quando é cominciato il peccato, e soffrirà fino a quando il peccato non sarà finito. I due giorni della sua sofferenza terrestre( che poi soffriva anche prima di essere arrestato e crocifisso) non racchiudono tutta la sofferenza di Gesù. Anche adesso che é Risorto, fino a quando non avverrà la Grande Resurezzione , la liberazione di tutta l’umanità, il Giorno del Giudizio, Gesù continua e continuerà a soffrire. Ogni grande peccato che gli uomini compiono é Gesù che rimuore e rimuore sulla croce! Fino a che tutto non sia compiuto, cioé, fino al ritorno di Gesù e Al’ Madhi sulla terra e alla vittoria del Bene, il dolore esiste anche nel Regno dei Cieli!
          ciao

        • Francesco scrive:

          credo che il punto sia che il Figlio ha accettato quanto disposto dal Padre, e altrettanto si chiede al Discepolo.

          ciao

        • Ritvan scrive:

          —….se il Maestro tra Passione e Morte ha sofferto solo DUE GIORNI, non vedo perchè il discepolo debba soffrire due mesi, due anni, o molto, molto, molto di più…mirkhond—
          Semplice: perché è il suo destino. Sempre teologicamente parlando. E specificando che io personalmente sono a favore dell’eutanasia.

          Ciao

  2. Pingback: Costanzo Preve su Joseph Ratzinger, Umberto Eco, Vito Mancuso e Telmo Pievani - Kelebek - Webpedia

  3. Buleghin el vecio scrive:

    Umberto Eco sara pur intelizente ma una roba così carina non l’ha mai scrita!

    IFIGONIA IN CULIDE

    ——————————————————————————–
    Reggia di Corinto, Vastissima sala da trono – anno 93 a.c.

    ATTO PRIMO
    SCENA:
    Le porte sono spalancate per dare accesso al popolo Entra il gran cerimoniere.
    Gran Cerimoniere:

    O popolo bruto, su snuda il banano
    non vedi che giunge l’amato sovrano ?
    Il Sir di Corinto, dal nobile augello
    qual mai non fu visto piu’ duro e piu’ bello.
    Il sir di Corinto dall’agile pene
    terrore e ruina del fragile imene;
    il sir di Corinto dal cazzo peloso
    del cul rubicondo ognora goloso.
    O popolo invitto, in gesta d’amore
    s’affermi il Sovrano piu’ caro al tuo cuore.
    Rendiamogli omaggio nel modo migliore,
    offrendogli il culo delle nostre signore.

    Popolo:

    Noi siamo felici, sappiategli dire,
    che tutto al Sovrano c’e’ grato d’offrire.
    Le nostre consorti facciam preparare
    in modo che a turno le possa inculare.
    Noi siamo felici, noi siamo contenti
    le chiappe del culo porgiam riverenti,
    che al nostro gentile e amato Sovrano.
    rimanga gradito il buco dell’ano.

    (Entra il seguito della Corte. Le nobili dame hanno le parti del corpo desiderabili leggermente velate.
    Il Re, con noncuranza, tocca di tanto in tanto le forme delle damigelle piu’ carine.)

    Re :

    O sudditi amati. io resto confuso!
    Il turno dei culi che offrite per l’uso
    sara’ piu’ gradito al regio mio cazzo
    che mai troverebbe migliore sollazzo.
    La gioia che mi dai o popolo e’ si grande
    che gia’ l’uccello regio distende le mutande.
    Per mio regal decreto sara’ da stamattina
    distribuita ai poveri gratis la vaselina:
    che al fine permetta, finche’ lo vogliate,
    di fare nell’ano gloriose chiavate.
    Voglio sian compensati i sudditi fedeli:
    il cul pigliate pure, ma state attenti ai peli.

    (Segni di giubilo)

    Cerimoniere :

    Adesso fuori dai coglioni
    per lasciar posto ai Principi e ai Baroni.
    Ai Principi e ai Baroni e ad Ifigonia bella
    che sospirando brama l’ardor d’una cappella.

    Coro delle vergini (Danzando):

    Noi siam le vergini dai candidi manti,
    siam rotte di dietro, ma sane davanti;
    i nostri ditini son tutti escoriati,
    a furia di cazzi che abbiamo menati.
    Nell’arte sovrana di fare i pompini
    battiamo le troie di tutti i casini;
    la lingua sapiente e l’agile mano
    dan gioia e sollievo al duro banano.

    Ifigonia :

    Padre mio, padre mio.
    sono presa dal desio.
    Ho gia’ un dito che fa male
    per l’abuso del ditale;
    ho la fica che mi tira
    come corda di una lira
    sto soffrendo atroci pene
    del prurito dell’imene,
    nella fica ho persin messo
    la manopola del cesso
    mi ficcai nella vagina
    la piu’ grossa colubrina;
    mi son messa dentro il buso
    sino il cero di Caruso;
    mi piantai nel deretano
    cinque dita, e la mano.

    Credo giunto sia il momento
    di donarmi un Reggimento
    che non sappia manovrare,
    ma sia lesto nel montare;
    nella fica anelo tanto
    d`appagarlo tutto quanto…
    me la sento rovinata
    senza averla adoperata.
    Padre mio si forte e bello
    ho bisogno di un uccello:
    d’un uccello di nobil schiatta
    che mi sballi la ciabatta,
    di una fava grossa e dura
    che ricrei la mia natura.
    Manda un bando per il Regno,
    sia trovato uccello degno
    che finisca le mie pene
    spalancandomi l’imene.
    Padre mio se non mi sposo
    moriro’ senza quel Coso.

    Re :

    Giuste sono le tue brame, o figlia bene amata,
    s’io padre non ti fossi, di gia’ ti avrei chiavata.
    Con la regal consorte, tua madre la Regina,
    n’ho fatte diciassette soltanto stamattina.
    E se alle mie brame non ponessi un freno
    non passan tre minuti che il bandolo mi meno.
    Vedendo tanti culi di Principi e Baroni
    mi sento un gran prurito nel fondo dei coglioni.

    Popolo :

    Noi siamo felici, noi siamo contenti
    si rizzano i cazzi tuttora pendenti.
    Madama Ifigonia soave e pudica
    gia’ sente prurito nell’inclita fica.
    O Giove possente, che Venere bella
    le faccia gran dono di tale cappella:
    che il culo le rompa, le rompa l’imene
    e infine la tolga da tutte le pene.
    Sia pago il desio alla vergine cara
    meniamoci il cazzo in nobile gara.

    (Tutti eseguono)

    Ifigonia (rivolta al popolo):

    Quanta fava, quanta fava.
    ma perche’ nessun mi chiava?
    Su donatemi un uccello,
    un uccello lungo e bello:
    nella fica e poi nell’ano
    che mi entri piano piano.
    Ho gran voglia di godere
    ve lo chiedo per piacere.
    Deh non fatemi soffrire
    ve lo pago mille lire.

    Re:

    Udendo le tue giuste e oneste aspirazioni,
    d’orgoglio mi ribolle lo sperma nei coglioni:
    con animo commosso, vedo tra i bianchi veli
    spuntare nere le punte dei tuoi peli.

    Non voglio che si sciupi tanto lavoro mio,
    con sforzo, forse, potrei chiavarti anch’io.
    Il sacerdote venga, si appresti al sacrificio:
    Enter O’Clisma tosto ne tragga lieto auspicio.

    Cerimoniere :

    S’avanzi Enter O’Clisma, il Sacerdote,
    dal culo piu’ vezzoso delle gote.

    Sacerdote (entrando) :

    Al Sire di Corinto, Signore degli Achei,
    auguro cazzi in culo non men di trentasei.

    Re:

    Al Gran Sacerdote, d’ogni rispetto degno
    venga dato, in omaggio, un bel cazzo di legno.

    Gran Sacerdote :

    La tua proposta, o Sire. mi rende il cuore gaio.
    pero’, l’avrei piu’ caro di ben temprato acciaio.

    Popolo :

    Noi siamo felici, noi siamo contenti,
    prendiamo l’ucccllo ben stretto tra i denti,
    che al Gran Sacerdote quel cazzo d’acciaio,
    il culo gli renda siccome un mortaio!

    Gran Sacerdote :

    Sono corso immantinente alla regal chiamata
    lasciando quasi a mezzo la solita chiavata.
    Pazienza! Se il ciel non me lo lega,
    mi rifaro’ di certo con una bella sega.
    Esponi il tuo desio, o gran Sire venerando,
    in fretta, te ne prego, non vedi come bando?

    Re:

    Alla mia amata figlia, la pallida Ifigonia,
    da qualche tempo, prude la rorida begonia.
    O Sacerdote sommo, chiuditi in sacrestia,
    prendi l’uccello in mano e fanne profezia!

    Gran Sacerdote:

    Eseguo senza indugio i tuoi detti, o Signore,
    augurandoti in culo cazzi sessantanove.

    (il Gran Sacerdote esce da destra…)

    Ifigonia:

    Padre mio, padre mio,
    questa volta l’avro’ anch’io.
    Sospirando quel belino
    voglio farmi un ditalino,
    domandandovi permesso
    vado a farmelo nel cesso.

    (Fa per avviarsi)

    Re (trattenendola):
    Rimani, o sconsigliata; il padre tuo diletto
    innanzi al popolo tutto ti grattera’ il grilletto,
    mentre il Cerimoniere, memore del mio pegno,
    mi inculera’ di dietro col suo cazzo di legno.
    Se con le bianche mani mi tiene su i coglioni
    vedrai nella mezz’ora quaranta polluzioni.

    Popolo :

    Noi siam felici, noi siam contenti,
    il re che L’ha duro in tutti i momenti;
    seguiamo l’esempio del caro sovrano.
    facciamoci forza, pigliamolo in mano!

    Gran Sacerdote (entrando) :

    Nel libro del futuro ho aperto uno spiraglio
    rompendo un culo vergine col mio peloso maglio;

    Re:

    I detti tuoi sapienti sian rapidi e fatali
    come fuor dell’ano i nodi emorroidali.

    Gran Sacerdote :

    Seguendo il tuo consiglio o re buono e sapiente,
    misi L’uccello duro sopra un braciere ardente,
    lessai il coglion sinistro, ne bevvi poscia il brodo,
    grande e divino auspicio traendone in tal modo:
    questa e’ la frase magica che ho letto nel librone:
    “Nessuno vada in figa se privo di goldone,
    e che in figa a Ifigonia nessun metta l’uccello
    se prima non si svela l’arcano indovinello.
    Tra i principi del sangue dal bel tornito uccello
    bandito sia il concorso con un indovinello,,.

    Cerimoniere (al popolo) :

    Toccatevi i coglioni, se li avete.
    perche’ vcdo transitare un prete.

    (Tutti si toccano i coglioni, e Ifigonia, che non li ha, con una mano tocca
    con leggiadria ed amore le grosse palle del Sovrano, ed esegue… con
    l’altra, seduta su di un orinale)

    ——————————————————————————–

    ATTO SECONDO

    SCENA:
    La stessa sala. Sono presenti i principi pretendenti di Ifigonia con il loro seguito,
    in esecuzione alla profezia di Enter O’Clisma. I pretendenti si presentano.

    Hallah Ben Dur :

    Superando monte e valle
    v’ho portato le mie palle;
    e riempio un gran mastello
    con il brodo del mio uccello.

    Don Peder-Asta :

    Sarete delusa di tutti sti doni
    guardando d’Oriente i gloriosi coglioni:
    ho riempito quattro stalle
    col sudor delle mie palle!

    Uccellone, Conte di Belmanico :

    O fulgida stella, o figlia del Re,
    deh guarda il dono portato per te!
    Ho riempito una caserma
    solamente col mio sperma.

    Spiro Kito:

    Io sono Spiro Kito,
    dalle palle di granito.
    Ho creato un nuovo lago
    col prodotto del mio mago.

    Cerimoniere (impaziente) :

    Si avanzino separatamente i pretendenti
    fate largo, e al culo state attenti.

    Hallah Ben Dur :

    Io sono Hallah Ben Dur , dal poderoso uccello,
    e dall’Arabia vengo a dorso di un cammello.
    Il viaggio fu si lungo e percorso senza tappe
    che per lo strofinio mi bruciano le chiappe.
    Ed or, giunto alla fin di questo mio viaggio.
    ho piedi, fava e culo che puzzan di formaggio.

    Rinunciai in Bagdad a un favoloso ingaggio
    spronato dal desio di misurarti il raggio;
    il raggio della fica. o dolce Principessa,
    perche’ ardo dal desio di romperti la fessa.
    Sul dorso di un cammello so far mille esercizi,
    infransi piu’ d’un culo all’ombra dei palmizi.
    Le mie palle lucenti, senza badare al puzzo,
    sembrano per il volume le uova di uno struzzo.
    Son bruno, ardito, forte, devoto mussulmano
    e dall’Arabia tutta certo il miglior banano.
    Con L’aiuto d’Allah sciorro’ l’indovinello
    e deporro’ ai tuoi piedi il mio abbronzato uccello.

    Ifigonia (leggendo):

    Si dice che un giorno un cortese prelato
    avendo per via un capro chiavato
    s’accorse piu’ tardi che l’estro di maggio
    rendealo padre di un ibrido paggio.

    Cerimoniere:

    Se non rispondi nella settimana
    faro’ del tuo scroto una sottana.

    Hallah Ben Dur :

    Non so… quel prelato…
    se un capro ha chiavato…
    io penso con duolo
    che ha preso lo scolo.

    Popolo (facendo scongiuri):

    Noi siamo infelici, noi siamo scontenti,
    ti secchino il cazzo i nostri accidenti!
    S’affloscian gli uccelli in segno di duolo
    quel testa di cazzo ci parla di scolo.

    Cerimoniere:

    Il primo pretendente e’ bello e fritto,
    venga il secondo con l’uccello dritto.

    Don Peder-Asta (al Re):

    Palpita il cuore mio per tale lieto evento!
    t’auguro cazzi in culo settecento!
    Sono principe e barone, signor del Mozambico
    e rompo fiche e culi col mio prestante fico;
    vi dico per sicuro, che ho sempre il cazzo duro
    ma di mente molto fina,
    viaggio sempre con vaselina.
    Son Principe di sangue, son nobile spagnolo
    che per poter fottere, mancando il protargolo,
    uso il preservativo. per non subire l’onta
    di prendere lo scolo all’atto della monta.

    (Ifigonia. provocatissima, scopre le anche, porgendo la fica alle labbra del Grande di Spagna).
    Ifigonia :

    O Principe sapiente, venuto ai miei pie’.
    da quanto tempo pensi non uso piu’ il bide’ ?

    Don Peder-Asta :

    Se il fiuto non m’inganna,
    o mia adorata fata,
    io debbo dirti che
    non ti sei mai lavata !

    Popolo (incazzato):

    Noi siamo infelici, che fan sti coglioni?
    Lo sanno gli Svizzeri dei Quattro Cantoni
    lo sanno le troie, lo sanno i lenoni,
    lo sanno persino i nostri coglioni.
    Fu il di di Giunone, con mossa pudica,
    che madonna lfigonia lavossi la fica.
    Coi suoi venti chili di augusto formaggio
    fu falta una palla di un metro di raggio.
    Al Prence sia data la pena infamante
    di prenderlo in culo dal Sacro Elefante.

    Cerimoniere :

    Del Popolo sian tosto eseguiti i voleri:
    venga Bel Pistolin coi suoi venti staffieri!
    Quaranta frombolieri intanto, piano piano,
    L’aiuteranno un poco col palmo della mano.
    E nel caso imprevisto che non gli venga duro,
    gli fregheran con garbo la punta contro il muro.

    (Entra Bel Pistolino, dando evidenti segni di giubilo: la scena si svolge alla presenza del popolo)

    Popolo :

    Pompa. pompa come un mulo
    fagli tremare le chiappe del culo.
    Daglielo duro, sburagli mollo,
    fagli tremare le vene del collo.

    Cerimoniere:

    Il secondo campione e’ liquidato,
    sia almeno il terzo Prence il fortunato.

    Uccellone :

    Sono il nobile Uccellone,
    sono conte e son barone,
    chiavo donne a buon mercato
    col mio cazzo fortunato.
    La mattina appena desto
    me lo meno lesto lesto,
    poi mi sparo, a colazione,
    qualche rapido raspone.
    Prima ancor di mezzogiorno,
    nobil donne del dintorno
    fanno a gara, porco zio,
    per provare il cazzo mio.
    Quattro seghe a mezzogiorno
    non fan male per contorno.
    Verso sera per divario
    rompo qualche tafanario,
    alternando col pompino
    la chiavata a pecorino.
    Se son stanco, verso sera,
    chiavo sol la cameriera.
    Sulla punta del mio pene
    non si contan le flittene.
    Vedi, bando come un mulo
    alla vista del tuo culo.

    Ifigonia:

    Sai tu dirmi il mistero della sfinge,
    la quale prima caca e dopo spinge?

    Uccellone :

    Mi riesce, Ifigonia, la tua parola oscura.
    il cazzo gia’ mi suda di pallida paura.
    ll Ciel mi fu avverso, ignoro il mistero;
    mi mette terrore un nero pensiero!
    Gia’ vedo il mio culo sfondato all’istante
    dal cazzo tremendo del Sacro Elefante!
    Gia sento roteare in rotto e alterno moto
    i possenti testicoli entro il peloso scroto.
    Ho nel fondo del cuore una puntura sorda
    come una dozzina di piattole che morda.
    Conobbi una fanciulla dalla parola oscura,
    mi sento tremebondo,preso dalla paura.

    Re (sdegnato):

    Tu che, fra tanti, brami la mano di mia figlia,
    col culo pieno d’aglio farai le Mille Miglia.

    Cerimoniere :

    Tosto venga eseguito del Sovrano il volere:
    si porti senza indugio d’aglio un gran paniere.

    (Uccellone scoppia in una gran risata).

    Re:

    Tu ridi, sconsigliato, davanti al gran travaglio
    di far la Mille Miglia col culo pieno d’aglio?!

    Uccellone :

    Mi fate solo pena o poveri coglioni,
    che’ per riempirmi il culo ne occorron tre vagoni.
    Col culo pieno d’aglio, novello errante ebreo;
    io freghero’ in volata la rossa Alfa Romeo.

    Cerimoniere :

    Sian tosto eseguiti i comandi del Sire,
    col cul pieno d’aglio ei deve finire.

    Ifigonia (piangendo):

    Addio mio Bel Manico nobil Signore,
    a pcrder il tuo cazzo non si rassegna il cuore.
    Non hai colpa veruna, se con l’uccello dritto
    giammai non scandagliasti la Sfinge dell’Egitto
    se solo in mille fiate, alla tua chioma fulva,
    s’intrecciano tenaci i peli della vulva.

    Re :

    Non piangere Ifigonia, lustro dei peli miei,
    sio paziente e devota ai detti degli dei.

    Cerimoniere :

    Il terzo, a quanto pare, e’ bello e fritto,
    s’avanzi il quarto, col banano dritto.

    (Il Principe Spiro Kito, figlio del Sol Levante, si avanza nei paludamenti di Gran Samurai.)

    Spiro Kito:

    Il Regno di Budda manda il mio cuore,
    io vengo dal Regno del mandorlo in fiore.
    Son Duca d’Oriente, nomato Spiro Kito,
    ho il cazzo si duro che par di granito.
    Ancora bambino, giostrando da pazzo,
    sembravo potente nell’uso del cazzo;
    potente a tal punto. sebbene maschietto,
    da farmi pensare a tenzoni da letto.
    Poi vinsi il primato persin nei casini,
    campione invitto di fiche e pompini;
    tal che le ragazze, godendoci anch’esse,
    s’offrivan per nulla, le povere fesse.
    Un’unica volta, una donna di rango
    negommi convegno nel giro di un tango:
    l’attesi, e quando s’offri l’occasione
    le roppi il culo con uno spintone.
    Cosi la mia fama varcando le mura
    di questa, diciamo, casa di cura,
    giungea alle bimbe di buona famiglia
    dove la madre, piu’ bon della figlia,
    cullava L’uccello con docile mano
    per fare alla figlia rompere l’ano.
    Or passo all’azione, domanda Signora
    qualsiasi indugio va a danno dell’ora.

    Popolo :

    Noi siamo felici e non siamo sciocchi
    questo senz’altro e’ un cazzo coi fiocchi.

    Spiro Kito:

    Io vengo dal paese dei mandrilli
    dove si va nel culo pure ai grilli.
    Son figlio del Giappone, Spiro Kito,
    ed ho un paio di coglioni di granito.
    Facciamo presto con le spiegaziohi,
    che’ e’ tempo di sbrodar nei pantaloni.

    Ifigonia :

    Eravi un eremita a Poggibonsi
    che non cacava, e non faceva stronzi;
    or sai tu dirmi, quando ei ruttava,
    ai suoi fedeli che impressione dava ?

    Spiro Kito:

    A tanto indovinello una risposta sola:
    quell’eremita avea il retto nella gola.
    La storia gia’ ci parla del Principe Gargiulo
    il quale avea la faccia che somigliava al culo.
    Son piu’ che certo, e posso dirlo lieto,
    all’eremita un rutto, puzzava come un peto.

    Il Cerimoniere apre la pergamena e approva. Il Re s’avanza, congiunge le mani dei due giovani Principi sanzionando l’unione, mentre il popolo e gli astanti si inginocchiano in religioso e muto ringraziamento agli Dei e le vergini innalzano al cielo il loro tenue canto.

    Vergini :

    O Venere buona, o Venere bella,
    provvedi noi pure di dura cappella
    e come a lei, Principessa ed amica,
    ci capiti in dono l’uccel nella fica.

    Re:

    Un principe che ha tanto di cervello
    ragiona certamente con l’uccello.
    Per Ifigonia mia, devota e grata
    ecco la fava tanto sospirata!

    Sii degna dell’uccel che t’ho donato
    non obliando i fasti del Casato:
    la grande Filiberta. illustre e saggia,
    il culo s’incendio’, con l’acqua ragia,
    preferendo la morte al nero duolo
    di curarsi lo scol col protargolo;
    Vulvina Bartolino, sua germana,
    che arrossiva sbucciando una banana,
    in un momento di furor demente
    s’uccise con lo sperma di un serpente.
    La nobil Filiconia, tua bisava,
    sempre in lizza nel gioco della fava,
    mori’. vetusta d’armi, in un bordello
    col cuore trapassato da un uccello.

    Ifigonia :

    Il sorriso della fica,
    la mia gioia alfin vi dica.
    Son contenta. son beata.
    che’ alla fin saro’ chiavata.

    Ma vi giuro sugli Dei
    di pensare ancora ai miei:
    tanto al Re che alla Regina.
    quando m’alzo ogni mattina;
    con il segno del littorio,
    ed a mamma l’originale
    Dunlop, cazzo artificiale.

    Popolo :

    Noi siamo felici, noi siamo contenti
    s’innalzano i cazzi di gioia frementi:
    porgiamoci tosto il culo di sponda,
    L’uccello del Prence di gioia c’inonda.

    Vergini:

    Noi siamo le vergini dai candidi manti,
    s’intrecciano i cazzi, s’innalzano i canti;
    il grande fattaccio ci dona gaiezza
    e per la gran gioia tagliamo la pezza.
    S’intreccian le danze, s’innalzano i canti,
    per farci chiavare useremo i guanti.
    Lasciamo le seghe, lasciamo i pompini,
    lasciamo un istante i bei ditalini;
    E’ giorno di festa, l’azzurro pervinca
    mettiamo all’occhiello del muso di tinca;
    seguendo l’esempio del popolo intero,
    un grosso banano ci laceri il velo.

    Cerimoniere:

    Per celebrare l’evento risuoni nella Reggia
    in segno di giubilo. almeno una scorreggia.

    ——————————————————————————–

    ATTO TERZO
    SCENA:
    La camera nuziale. Nei quattro angoli, quattro bidet dove bruciano profumi. Nelle pareti bracieri accesi.
    Pezze di marchese sparse. In fondo, un water closed con catena d’oro. Ifigonia e Spiro Kito giacciono sul talamo.
    Ifigonia:

    O amato Spiro Kito. Prence e Samurai,
    il tempo passa e non mi chiavi mai!

    Spiro Kito:

    Desisti, o Principessa, dal chieder spiegazioni
    non vedi che cominci a rompermi i coglioni?

    Ifigonia :

    Fammi vedere le palle di solido granito,
    fammi toccar l’uccello almeno con un dito;
    che brami Spiro Kito dalla tua dolce amica,
    vuoi farmi il culo o ripulir la fica?

    Spiro Kito:

    C’e’ una cosa, Ifigonia, che ancora non t’ho detto,
    un segreto terribile che freme nel mio petto.

    Ifigonia:

    Oh parla Spiro Kito, mio divino,
    t’ascolto col canal di Bartolino.

    Spiro Kito:

    Un giorno, or son quattr’anni,
    soffrendo per un callo
    stavo prendendo un bagno
    nel Grande Fiume Giallo,
    e, come fanno i nobili Signori.
    io giravo in culo a paggi e valvassori.
    Quand’ecco passa altero un bonzo di Kul-Su’.
    col quale ero si amico che ci davam del tu,
    ed egli mi propose, con sordido cinismo,
    di fare nel suo culo un giro di turismo.
    Altra cosa non volli, e, come un folle toro,
    soffiando, a capo basso, glielo ficcai nel foro.
    Ma, a quell’infame bonzo, nel nero tafanario,
    albergava da tempo un verme solitario,
    che mentre io mi godea il morbido budello
    mi si mangio’ pian piano la punta dell’uccello.
    Il Prence Spiro Kito, per questo caso strano,
    possiede ancor le palle, ma e’ privo di banano;
    ed or mia diletta, quando vuol godere,
    non ha altra risorsa che il buco del sedere.
    Vedi, mi fai pentire d’esserti vicino,
    per placar le smanie fatti un ditalino.
    Or non e’ il momento di fare una chiavata,
    il cane pechinese proceda alla leccata.
    Passata da tempo e la mala avventura,
    che tolsemi il membro di madre natura!
    Ed or per il tuo bel sesso gentile
    io dunque t’ho fatto un Pesce d’Aprile.
    Io sono impotente, in caso si bello;
    in modo assoluto mi manca l’uccello.
    Non godo di dietro a modo di prete.
    E’ noto che il prete modello e perfetto.
    privato dell’uso di maschio uccelletto,
    se preso da brama di ibrida voglia
    qualunque desio nel culo convoglia.

    Ifigonia:

    E vero che i preti, a quanto mi dici, I
    prendendolo a tergo si rendon felici,
    ma molti son quelli. lo provano i fatti
    che in barba alle leggi si chiavan da matti.
    D’esempio sia al mondo, per detto Egiziano,
    di Cesare invitto l’uccello sovtano.
    Ignobile fellone, vil traditore,
    la nobile Ifigonia getti nel disonore.
    Fui vittima innocente di un infame tranello;
    il verme divorarti potea cuore non uccello.
    Crudele e perverso mi e’ stato il destino,
    scegliendo a consorte per me un culatino.

    Spiro Kito:

    Tristi giorni un dl trasCorsi con i resti dell’uccello
    mi chiusi in una torre sovrastante il mio castello,
    tristi notti solo. mesto, tutto avvolto nei neri ve\i
    mi strappavo ad uno ad uno
    bestemmiando tutti i peli.
    Dieci giorni, dieci notti. solo, muto come un reo,
    mi pelai tutto lo scroto con l’accluso perineo.
    Dieci notti, e quand’ebbi
    manco un pelo sul coglione,
    senza L’ombra di un conforto
    mi gettai giu’ dal balcone.
    Fu un istante…
    giunto al suolo dileguossi il mio tormento,
    per dar luogo ad uno strano novello godimento.
    Volle il cielo, assai benigno, che nel rapido
    mio giro, io cadessi con il culo
    sull’uccello di un fachiro,
    che da circa quarant’anni meditava sotto il muro
    scarno, muto, impassibile, con il cazzo sempre duro.
    Benedetto sia per sempre
    quell’uccello e quel momento
    che la porta disserrommi al soave godimento.
    Da quattr’anni sempre in viaggi
    per citta, paesi e corti,
    io di uccelli assai ne ho presi:
    lunghi. grossi, dritti e storti,
    bianchi, neri, rossi e gialli, prepotenti e timorosi
    malmenati stranamente, tatuati e rumorosi.

    Ifigonia:

    Giove mio, Giove mio,
    perche’ mai non chiavo anch’io?
    Perche’ scrisser nel libro del destino
    che andar dovessi sposa a un culatino?

    Spiro Kito:

    Ferma i tuoi detti alteri, o Ifigonia e basta;
    rispetta, se non l’altro, l’arte pederasta.
    Vedo che tu le gioie non sai dell’intestino
    te lo dice un esperto e vecchio culatino.

    Re (entra con una scatola in mano) :

    Ho sentito rumore dalla stanza vicina,
    state cercando forse la vasellina ?

    (Ifigonia, furiosa per la delusione subita, si avventa sui coglioni paterni.)

    Ifigonia :

    Anche la vasellina, nuovo schetno,
    o padre snaturato. va all’inferno.
    Ora ti mangio il destro e poi il sinistro,
    e sta certo che neanche il dio Calisto,
    se pieta si prendesse del tuo guaio,
    te ne potrebbe far un altro paio.
    Castrato sei e se vorrai godere,
    falle anche tu col buco del sedere.

    Re:

    Accorrete Cortigiani, Duchi, Principi Baroni,
    Nobiluomini, Visconti dai ben solidi coglioni,
    voi pulzelle, maritate, nobil Dame. Castellane,
    che battete di gran lunga le piil celebri puttane,
    tralasciate le chiavate, i rasponi ed i pompini
    sospendete un sol momento i consueti ditalini.
    Ifigonia, la sovrana, accecata dal dolore,
    si mangio’ le rosse palle dell’augusto genitore.
    Addio vergini belle. che lasciaste L’imene
    sotto la forte punta del mio robusto pene.
    Addio peli rosati di donne e di bambini,
    addio lingue sapienti maestre di pompini,
    addio nobile uccello, piega da questa sera
    la grossa audace testa, un giorno tanto altera.
    Finite son purtroppo le giostre e k tenzoni
    che finora facesti per mezzo dei coglioni.
    Addio nobile uccello un giorno tanto grande,
    da giungere alle stelle con poderoso glande,
    Signore della vulva. terrore dello sfintere,
    che mille e mille volte furente come un toro,
    dilaniasti le ceste giungendo nel piloro;
    che mille e mille volte, con mosse agili e strane,
    metteste a repentaglio le trombe falloppiane.
    Tu, che mai cedesti a seghe ed a pompini,
    stavolta fosti vittima di due denti canini.
    Dormi! Da questa sera sars tuo cimitero,
    in segno di cordoglio, un sospensorio nero.
    Da oggi tu, negletto, starai nelle mutande,
    nC piil le tingerai con il possente glande.
    Morire ben dovevi in nobile tenzone
    e invece, miserello, moristi da coglione!!!
    Avrei bramato di perdere anche il cazzo,
    ma perderlo da prode nel gioco del rampazzo.

    (Il Re si apparta piangendo)

    Cerimoniere :

    Ti sara’ dato il trattamento duro
    d’esser legata con la fica al muro.
    Il popolo sfilera’ e tu con l’ano
    farai da monumento vespasiano.

    Ifigonia:

    Sognavo un cazzo forte da bambina,
    percio’ pregavo Giove ogni mattina,
    che’, come un giorno avvenne per Enrica (mia sorella)
    potesse capitarmi nella fica
    un poderoso e ben tornito cazzo
    per farmene per sempre il mio sollazzo.
    Cosi non fu! E la Giustizia grande
    che gioia e pur dolore in terra spande.
    volle che fossi, per crudel destino,
    moglie di un detestato culatino!!!
    Addio per sempre, Spiro Kito sposo,
    mi butto pel dolor nel water closo.
    Tu porrai fin, ti prego, alla mia pena,
    tirando lentamente la catena.

    Prima che qualcuno possa trattenerla, Ifigonia si getta a capofitta nel water closed. Spiro Kito,
    ubbidendo ai suoi ultimi voleri, tira lentamente la catena.

    (Tutti si inginocchiano pregando, mentre una salva di scorregge saluta la moritura.)
    ——————————————————————————–

    CALA LA TELA

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  4. Francesco scrive:

    Premesso che credo di aver compreso al massimo un terzo del testo di Preve, vorrei però

    1) ringraziare Miguel per averlo messo a nostra disposizione
    2) esprimere la mia gratitudine al professore, trovare qualcuno che condivide la mia stima per i vari Eco, Zagrebelski, Mancuso e Rusconi mi rende più ottimista sull’umanità
    3) far notare una certa leggerezza nel valurare i miracoli: nè la Sindone nè il sangue di San Gennaro fanno parte del tesoro della Fede, a differenza della Verginità di Maria (che mi pare comunque strumentale alla comprensione dell’Incarnazione e della natura di Gesù Cristo). Che poi, mentre i primi due miracoli sono smentibili, per il parto virginale la vedo più difficile …

    Un saluto a tutti

    • PinoMamet scrive:

      Pienamente d’accordo
      (a parte che io credo d’averne compreso un quarto 😉 )

    • Moi scrive:

      Il parto virginale come racconto in sé esisteva anche da prima (!) … ed è archetipico di una pletora di “Σωτήρ” pagani prima di Gesù. Sì, lo so Francesco: a catechismo non te ne hanno mai parlato, e han fatto male perché nessun cattolico di fede “medio-debole” ha di che ribattere all’ accusa di “religione scopiazzona” 🙂 che da anni gira su Youtube; risultato:

      un anticlericale che cazzeggia “sul tubo” si convince di conoscere la religione cattolica meglio dei seminaristi (anzi al seminarista lo tengono nascosto, glielo riveleranno solo se diverrà almeno vescovo) e di essere venuto in possesso dei “Segreti che il Vaticano nasconde per farsi mantenere con l’ Otto per Mille” … l’ ora di religione a scuola potrebbe essere una buona occasione per fare chiarezza (considerando anche altre religioni, eh !), ma purtroppo invece si riduce a un continuo revival fuori tempo massimo del catechismo, ove si è “bambini asessuati” dai 6 ai 18 anni, il ché è ridicolo.

      _________________
      … e senza (!) scomodare inseminazioni artificiali aliene. 🙂

      • Francesco scrive:

        Non ne dubito, caro Moi, ma la differenza è che quel parto virginale ha prodotto Gesù Cristo, ed è credibile per quello che Lui ha fatto

        Mica viceversa

  5. Claudio Martini scrive:

    2) esprimere la mia gratitudine al professore, trovare qualcuno che condivide la mia stima per i vari Eco, Zagrebelski, Mancuso e Rusconi mi rende più ottimista sull’umanità

    Be’, ci sono anch’io a condividerla. Anche se sono un kompagno kattivo qualche pregio ce l’ho.

    • Francesco scrive:

      mille volte meglio i kompagni dei repubbliconi, su questo non ho dubbi – già lo sapeva Guareschi negli anni ’40

  6. giovanni scrive:

    “Ammiro molto la risposta data da Hegel al suo studente Heine, che gli faceva l’apologia della premiazione dei buoni e della punizione dei cattivi nell’aldilà”
    fonte? No, perchè Heine era ebreo (almeno ai tempi dell’università a Berlino), e so per certo che gli ebrei hanno una concezione dell’aldilà assolutamente diversa da quella cristiana.
    “Sarebbe quindi improprio paragonare Ratzinger a Platone, Aristotele, Spinoza, Kant, Hegel o Marx. ”
    ma anche no. Un filosofo vero è tale se dice qualcosa di valido al di là del suo tempo, altrimenti non vale niente di più di un retore alla Eco.

  7. luca scrive:

    C’è di meglio: http://segnalazioni4.blogspot.com/2005/04/emanuele-severino-e-benedetto-xvi.html
    E nel 2011 potremmo anche cominciare a parlare di psicoanalisi, figlia illegittima della filosofia.

  8. PinoMamet scrive:

    Sui miracoli:
    sono d’accordo con Mirkhond sulla leggerezza con cui vengono giudicati “falsi”, ma non sono sul piano della scienza.
    Che uno scienzato dichiari falso il fenomeno della liquefazione del sangue di San Gennaro (tra parentesi, non è già successo? Lo leggo ogni anno su qualche quotidiano…) non vuol dire proprio niente sul piano della fede, intesa non come, appunto, teologia, ma come fede popolare; come fede, insomma.
    A ‘sto punto tanto varrebbe dire “eh, ma sai che Apollo non è mai esistito?”
    Grazie al cazzo!

    Non è che io creda alle “due verità”. Credo, volendo, alle infinite verità.

    Cioè, da un lato posso benissimo pensare che il “sangue di san Gennaro” sia qualche sostanza chimica che agitata a determinate condizioni di calore raggiunge lo stato liquido;
    dall’altro credo chenella sua liquefazione o non liquefazione il credente (e se mi va, anch’io) abbia tutto il diritto di vederci la mano di Dio, che d’altronde, per un credente, c’è comunque, a priori, in partenza.

    Ciao!

    • Francesco scrive:

      eretico!

      non credo che la tua posizione coincida con quella della Chiesa, in tema di miracoli

      tutto il valore del miracolo sta nella sua oggettività

      ciao

    • PinoMamet scrive:

      Ahaha lo diceva mio padre, “troppa amicizia col prete e il medico, vivi sempre ammalato, e muori eretico” 😉

      comunque se si parla di miracoli recenti devo darti ragione, la Chiesa è piuttosto attenta nel verificare che le guarigioni miracolose siano davvero inspiegabili per la scienza (o almeno dovrebbe esserlo, per la sua stessa legge; poi se nella pratica ci siano scorciatoie o accomodamenti, non lo so, siamo tutti umani e peccatori…);

      certo che se invece andiamo nel folklore e nella tradizione, le cose cambiano; ma a onor del vero, spesso il mondo cattolico “dà a Cesare quel che è di Cesare” e riconosce che la tal fonte di miracolosa di San Nicomede, che fa passare il mal di testa, è “miracolosa” solo per tradizione popolare, e si rifà a un’antica usanza pagana ecc. ecc.

      tutte cose che secondo certi filo UAARisti la Chiesa “oscurantista” invece negherebbe… ma mi sa che loro stanno criticando una Chiesa che non esiste più dalla Controriforma. 😉

  9. p scrive:

    Mica è vero che tutto è relativo, se ciò vuol dire che un’opinione vale l’altra. Se ci si ferma alle idee filosofiche, può essere. Ma esistono poteri di fatto, e le cose cambiano. Il segreto è tutto lì: tutte le opinioni sono relative, è vero, ma le mie sono sentenze. Il gioco, allora, è di far diventare le opinioni sentenze. Ma non si svolge nel campo di gioco dei dibattiti filosofici.p

  10. daouda scrive:

    Tralasciando Eco che evidentemente ignora che per avere relatività è necessario l’Assoluto ( ogni relazione presuppone un’unità ) , assieme a troppe altre cose, l’umanesimo che segue Preve è però qualcosa di eminentemente satanico, nel senso aulico del termine.

  11. “In quanto “ismo” è naturale che il relativismo contenga almeno venti differenti varianti storiche e teoriche, e qualunque professore universitario (e liceale) è in grado di enumerarle e distinguerle dottamente”
    “Nello stesso tempo gli “ismi” sono astrattamente e concettualmente unificabili.”

    Al solito, è sempre un problema di percezione (e quindi epistemologico, è chiaro che Preve non se lo sia posto, essendo l’epistemologia una caricatura inutile): prendi un carcere, una gru e un uomo e troverai che tutti e tre condividono l’avere almeno un braccio… E’ facile trovare i punti in comune, ma sicuri che fare di tutta l’erba un fascio sia la cosa migliore per comprendere la realtà? Ma forse questa domanda, squisitamente epistemologica, Preve non se la vuole porre?

    “In secondo luogo, sulla mescolanza di relativismo comparatista e di epistemologia assolutista (solo il razionalismo occidentale viene legittimato, in quanto anti-metafisico), con le note conseguenze in termini di arroganza e di “burbanza” (Eco).”
    Ahem. Ricordo che per il relativista – appunto – il razionalismo occidentale è solo uno dei tanti modi per approcciarsi alla realtà che nessun soggetto può conoscere perfettamente. Il relativismo è l’unico sistema in cui il razionalista, il mistico, l’empirista e il fideista possono giungere ad un punto d’incontro senza che nessuno debba sottomettere gli altri.
    Preve, respingendo il relativismo, nell’approcciarsi agli altri è costretto a mostrare quell’aria di sufficienza che alcuni paragrafi dopo usa nel discutere del fenomeno religioso. Cioè ad essere offensivo e assolutizzante.
    Andando avanti, vedo che la confusione continua e si assimila al relativismo il riduzionismo scientifico, che invece è il suo esatto contrario: se nessuno ha la verità in tasca, come fa lo scientista ad avercela? Anche il metodo scientifico è relativo e si fonda su premesse filosofiche che, se modificate, lo fanno crollare.

    Nella critica a Mancuso (teologo di cui condivido ben poche posizioni) spiace vedere che non si è capito molto dello spirito di quel titolo (e spero che ciò non sia dovuto al non voler capire, perché allora sì che sarebbe triste): se nessuno può avere la verità in tasca, chiaramente anche Mancuso su Dio non può che avere un punto di vista che, proprio perché punto di vista, è suo e suo solo. Il punto di vista di Preve è che Dio sia fuffa, solo che Preve – a differenza di Mancuso – non è disposto ad ammettere che il proprio sia un semplice p.d.v.

    Nulla è immutabile, nemmeno il pensiero cattolico, che è cambiato davvero moltissimo nel corso dei secoli. Io Preve non lo conosco, ma lui sostiene di essersi occupato di storia del pensiero e io non ho nessun motivo per non credergli: lui per primo dovrebbe comprendere che tra San Paolo e Scoto Eriugena e tra Tommaso d’Aquino e Pascal di strada ce ne corre. L’appiattimento del pensiero cattolico su posizioni nette e immutabili è una costruzione che non onora la verità.
    Quanto a buttare nello stesso calderone il discorso gnoseologico e quello politico, credo sia un errore gravissimo: il discorso politico è e deve essere costruito in un’ottica diversa da quello epistemologico (per es., non puoi fare politica se non superi il dubbio cartesiano, ecc…).

    “Ora, se c’è qualcosa in cui le chiese organizzate possono ancora servire a qualcosa, è proprio sul livello dell’obbedienza, diretto a quel 95% degli essere umani che non intendono ascoltare il linguaggio del dialogo filosofico veritativo razionale”
    Questo passo mi fa paura. Preve vorrebbe che le religioni diventassero un crudele intrumentum regni che costringa all’obbedienza e al silenzio tutti coloro che la pensano come i suoi avversari o che non la pensano come lui! Non sto dicendo che Preve sia un mostro, beninteso: anch’io mi sono sorpreso pensare cose simili. Proprio per questo mi fa più paura, perché mi ricorda alcuni dei miei lati peggiori.

    “Se io diventassi papa (mai dubitare della Divina Provvidenza!) non potrei certamente […] proclamare che nessuna vergine può essere madre di Gesù o che la sindone di Torino è una falso medioevale.”
    Il vero preve tardo assolutista viene allo scoperto: ateo e irreligioso che Odifreddi gli fa un baffo, ma pronto ad impugnare la religione come instrumentum regni, come si diceva prima.
    La religione si delinea sempre di più come una trappola per spiriti deboli e poveri allocchi, da sottomettere e rendere docili mentre la casta dei padroni, di cui il filosofo fa parte, plasma il mondo a propria immagine.

    “Ritengo anche molto razionale ricorrere alla concezione di Tommaso d’Aquino, che mi sembra stabile”
    Prova del nove. Bene una filosofia stantia che non sia minimamente credibile per una persona razionale die nostri giorni, perché se il discorso cattolico avesse la stessa capacità di innovarsi e razionalizzarsi che aveva all’epoca dell’Aquinate allora sarebbero problemi seri per l’ego di certi pensatori atei che, a mio parere, vivono più che altro dei demeriti altrui.

    “La superiorità e l’inferiorità di una filosofia non possono essere “sostenute” in assoluto”
    Eco non incentra il suo discorso sulle dottrine di Ratzinger, ma sul fatto che B16 fa sempre di tutta l’erba un fascio quando tratta di relativismo. Si aggiunga che per giustificare inquisizione, crociate e co. Ratzinger stesso ha usato un argomento relativista (“bisogna capire la situazione concreta del tempo”) e allora si comprende al massimo il tonfo di B16.

    Che poi, secondo me, Ratzinger in realtà non ce l’ha affatto con i relativisti, ma semplicemente sbaglia ad usare i termini (colpa gravissima per il filosofo!). Ratzinger ce l’ha da un lato con i nichilisti (che invece sono i primi ad esaltarlo in funzione antirelativista) e dall’altro con quelli che, come Preve, guardano al cattolicesimo come ad un modo come un altro per incantare il popolo bue con delle frottole, convinti che la verità non sia poi così importante (cioè di importanza relativa… che sia questo ciò che B16 intende per relativista?).

    • lamb-O scrive:

      Non ho voglia di entrare nel merito più di tanto, commento solo questo:

      “Questo passo mi fa paura. Preve vorrebbe che le religioni diventassero un crudele intrumentum regni che costringa all’obbedienza e al silenzio tutti coloro che la pensano come i suoi avversari o che non la pensano come lui!”

      Non penso che intenda questo; essenzialmente la sua è, a quanto ho capito, una visione spinoziana: ovvero, se qualcuno non può o non vuole (per incapacità, *legittimo* disinteresse, ecc.) cercare l’indirizzo della propria vita attraverso l’impresa della ricerca filosofica, bene è che gli sia offerta la possibilità di una dottrina da seguire per rapportarsi al mistero.
      Il che volendo suona un po’ elitaristico, in effetti. Ma ci si pensa spesso, se non altro perché funziona.

      • lamb-O scrive:

        P.S. Su due piedi, non trovo Preve del tutto condivisibile qui. Ma dovrei pensarci e, come detto sopra, non ne ho voglia. Mi è solo saltato all’occhio questo.

      • “bene è che gli sia offerta la possibilità di una dottrina da seguire per rapportarsi al mistero.”
        Preve parla proprio di obbedienza, cioè di imposizione di pensiero.

        • lamb-O scrive:

          “Obbedienza” non è sinonimo di imposizione di pensiero e non la implica per forza.

          Una dottrina religiosa, una volta scelta, propone qualcosa a cui obbedire o a cui sforzarsi di obbedire, e questo è chiaro. Per me il senso è quello, ma ripeto, lo dico in base a un’eco spinoziana che percepisco nel suo discorso in quel punto (anche perché i termini sono gli stessi…).

        • Obbedire significa imporre, altrimenti si parlerebbe di “spontanea convergenza”. Imporre, a sua volta, è sempre frutto di una forza (non invece di violenza) che può anche essere una forza fatta su se stessi.
          Vincere se stessi, del resto, è ciò che insegnava San Francesco (la Perfetta Letizia) e un confessore della fede cristiana non era raro che venisse appellato “atleta di Cristo”.

    • Peucezio scrive:

      Mah… mi sembrano obiezioni un po’ pedanti. Alcune delle quali non del tutto peregrine nel merito, ma la sostanza del discorso di Preve mi sembra un’altra.
      Preve lancia, un messaggio, se vogliamo una provocazione. Uno può anche mettersi lì a fare le pulci a ogni singolo argomento, se non ha niente di meglio da fare, ma non vedo il senso di un’operazione del genere, al di là del puro esercizio argomentativo.
      Probabilmente, se leggesse le tue obiezioni (cosa che non farà, visto che non usa mezzi telematici e i suoi articoli sono inseriti in rete da altri), si limiterebbe a fare spallucce, per poi rivolgere la sua attenzione ad altro.

      • Io discuto razionalmente gli argomenti. Non posso invece discutere in modo rigoroso le provocazioni, i messaggi, le allusioni e le alzate di spalle.
        La filosofia non è un prendere o lasciare, ma è continua dialettica di idee, dove la correzione nel grande e nel piccolo devono essere all’ordine del giorno. Se si vuole invece parlare di “grandi messaggi”, allora non si sta cercando la filosofia, ma guide spirituali.
        Passando al merito, a me pare che Preve stesse parlando di relativismo culturale nella sua durissima requisitoria. Io ho difeso il relativismo, quindi più centrale di questo si muore…

  12. Val scrive:

    Condivido gran parte delle critiche di Mauricius a Preve. Talvolta mi diletto a scandalizzare amici ciellini (aut similia) sostenendo che il primo dei relativisti è proprio B16. Non solo per la storicizzazione (storicizzazione=relativizzazione) che fa delle “colpe” dalla Chiesa, ma anche perché nella sua retorica corrente l’argomento principale contro il relativismo è pragmatico. Da un lato è esistenziale-psicologico, dall’altro è politico: ordine e disciplina come via verso la felicità. “Se non c’è Dio tutto è permesso”: questo, stringi stringi, il grande spauracchio; gli uomini vanno con gli uomini, le donne procreano senza permesso del marito, i trans vanno in giro con le tette e il pisello a mettere in crisi le categorie del pensiero. Insomma, ci vuole una verità assoluta cui credere, altrimenti siamo tutti più infelici e confusi. Dove la verità è in tutto e per tutto subordinata (subordinata=relativa) ad altri valori.

    Boh, devo mettermi a leggere seriamente Preve, qualche suo libro intendo dire, perché nei tanti articoli che ho letto intuisco un pensatore di enorme interesse ma anche una fastidiosa propensione alla polemica personale, a volte con accenti vagamente risentiti e rancorosi, a volte con toni a mio modo di vedere inutilmente sprezzanti. Lungi da me fare della psicologia spicciola, anche se posso ben capire che sia frustrante per chi ha un talento filosofico di primissimo livello doversi confrontare con degli avversari intellettuali meno dotati ma privilegiati da una posizione di assoluta visibilità. Che dire, la vita è ingiusta.

    Tutto quello che ho letto di Preve mi sembra, in controluce, un continuo regolamento di conti con la sinistra, di cui (a parte forse Lucio Colletti) non si salva ovviamente nessuno. Preve dispensa giudizi sulla “sinistra relativista” non troppo diversamente da come Eco & C. li dispensano alla Chiesa. Francamente, il pezzo in questione non dice granché, se non che Ratzinger, come filosofo, vale più di Eco. E vabbè. In verità, Eco non ha tutti i torti, perché nel calderone del relativismo Ratzinger tende a mettere anche lo stesso marxismo tanto caro a Preve, il che non mi sembra molto corretto.

    Che poi Ratzinger sia anche Benedetto XVI, non è un gran argomento. Cioè, capisco benissimo che non voglia turbare la sensibilità dei fedeli, ma perché dovrei preoccuparmi, io, dell’etica della responsabilità del Papa? Del resto, se è vero che la fede non ha bisogno della teologia, perché Ratzinger non si limita a fare il pastore di anime? Chi troppo vuole nulla stringe: e mi pare che Ratzinger pretenda un po’ troppo quando chiede che la Chiesa sia riconosciuta come l’unica degna erede della razionalità dei greci (i suoi apologeti lo chiamano “il Papa della ragione”) e quando le accredita tutto il meglio dei cosiddetti “valori occidentali” addebitando al relativismo laicista (leggi nichilista, marxista, illuminista, scientista ecc.) tutto il peggio.

    Val

    • Francesco scrive:

      Confondere storicizzazione con relativismo è ridicolo, scusatemi.

      Il primo incarna i “valori eterni” nei contesti storici, il secondo li nega e .. poi dovrebbe far finire tutto lì, perchè nulla è possibile poi.

      Cosa che mi pare Ratiznger sappia molto bene.

      Confondi inoltre un discorso complessivo sull’uomo, che tiene insieme le esigenze di verità, di felicità. di giustizia, con uno utilitaristico.

      Come quel mio compagno di liceo che ripeteva le tesi dell’egoismo delle persone generose, che fanno quello che fanno perchè così stanno bene. In questo uguali agli egoisti.

      Peccato che siano ugualmente umani i primi e i secondi, abbiano la stessa natura e gli stessi incentivi.

      PS la risposta di Hegel a Heine mi pare una solenne stronzata. Non vede che ci vuole una buona ragione per essere buoni? Mi par difficile a credere – anche se detta ragione non può essere la paghetta post-mortem

      • Relativismo non significa negare la realtà (quello si chiama nichilismo), ma vuol dire semplicemente ritenerla relativa o dal punto di vista ontologico o dal punto di vista gnoseologico (io appartengo a questa seconda corrente, cioè credo nel noumeno, ma lo ritengo conoscibile solo da Dio, se lo si ammette).
        Ratzinger, invitando a contestualizzare e a storicizzare, non fa altro che alludere ad una diversa concezione della realtà (lui ritiene deformata) che altro non è che la via del relativismo nel secondo stile.

        • Francesco scrive:

          Scusa è, se la realtà o è quello che vedo io per me e quello che vedi tu per te, o è conosciuta da ogni uomo in modo sostanzialmente diverso, incommensurabile e incomunicabile, la differenza pratica col nichilismo è nulla.

          Cosa ben diversa è ammettere la limitatezza sia della nostra conoscenza sia della nostra intelligenza della realtà.

          Ciao

        • Quindi tu sostieni di avere sempre ragione, di non avere un punto di vista particolare, ma uno universale e di non avere una percezione del mondo ed una sua rappresentazione concausate dalle tue idee pregresse?

          Immagina una scatola chiusa e opaca con uno spioncino. Tu ci accosti un occhio, perché lo spioncino è la tua unica finestra su ciò che c’è all’interno, e ti sembra di vedere un cubo. In realtà tu ne vedi al massimo tre facce su sei, ma ritieni che la metà nascosta sia sostanzialmente identica a quella che vedi. E questo tu lo fai assolutamente inconsciamente, perché la tua mente funziona a colpi di associazioni di idee: non avendo altri punti di vista a disposizione, tu dedurrai che quello lì sia un cubo e fai benissimo a farlo, perché se non accetti quello che vedi sei condannato allo scetticismo assoluto (e all’invivibilità).
          Però questa scatola ha un altro spioncino, a cui posso accedere solo io (che, però, non posso vedere dal tuo) e attraverso di esso io vedo SOLO l’altra faccia del solido, che però a me appare come un tronco di piramide visto dall’alto. Avrò una rappresentazione della stessa identica realtà diversa dalla tua e nè io nè te ci sbagliamo: semplicemente conosciamo una parte e non il tutto.
          A me piacerebbe essere Dio e conoscere la realtà in sè, ma questo è impossibile: il solo fatto che due persone abbiano gli occhi ad altezze diverse a causa della statura ci costringe a vedere il mondo da punti di vista diversi!
          Non bisogna, però, disperare: siamo dotati anche di una bocca e di un paio di orecchie che servono proprio a comunicare tra noi. E comunicando tra noi ci scambiamo le idee e, mediando, confrontandoci e anche litigando possiamo formulare una ricostruzione della realtà che, se non è esatta, è quantomeno abbastanza approssimata. Abbastanza, ma non del tutto, se pensiamo che quel dischetto bianco che vediamo in cielo di notte fino a pochi secoli fa lo ritenevano fatto di etere e perfettamente levigato 😉

        • Comunque io aspetto ancora una verità assoluta: quando mi si dirà almeno una cosa vera per tutti in ogni momento e in ogni luogo, allora abbandonerò il mio biekisso relativismo gnoseologico da occidental-modernista.

      • PinoMamet scrive:

        ” la risposta di Hegel a Heine mi pare una solenne stronzata.”

        Umanamente sono d’accordo con te (sarei ipocrita se dicessi il contrario);
        filologicamente, la risposta di Hegel mi pare sostanzialmente identica a massime e racconti che si trovano in ogni tradizione mistica (cristiana, musulmana ecc.), tipo quello della donna che voleva spegnere l’Inferno e dar fuoco al Paradiso perché ognuno facesse il bene per il bene, e non per la ricompensa.
        Non chiedermi dove l’ho perché non ricordo su due piedi, comunque è attestato in almeno due religioni.

        • Potresti averli trovati citati in Borges, ora ti cerco gli autori.
          Uno è Jeremy Taylor, trecentesco, che cita Ivo di Chartres il quale avrebbe raccontato di aver incontrato una donna che diceva di voler spegnere l’inferno e incendiare il paradiso perché gli uomini amino Dio per amore di Dio.
          Simile un anonimo spagnolo Cinquecentesco e la santa di una delle memorie di ‘Attar (XII secolo).

        • Francesco scrive:

          La risposta di Hegel è corretta ma parziale ed elude il vero quesito: perchè mai devo occuparmi del mio vecchio padre, rimbambito e bavoso?

          Ora, la tradizione ti diceva di farlo (e aveva ragione eccome). E non ti spiegava perchè, che non ce ne era bisogno, in fondo.

          I moderni hanno invece bisogno che gli si spieghi tutto, sono ignoranti come bambini e diffidenti come adulti mal vissuti.

          Peggio, nessun utilitarista potrà mai darti un valido motivo per farlo e sarà o penoso nel trovare scuse o inumano nel dire che, in effetti, una bella pillolina al vecchiaccio e via, ci si libera del problema e si sta meglio.

          La posizione mistica del bruciare inferno e paradiso è un pò come l’amor cortese, che amava sempre e non trombava mai: alla radice, è una sega mentale inadeguata all’essere umano.

          Ciao

      • Val scrive:

        Non mi sogno di fare di Ratzinger una macchietta e men che meno un filosofo da strapazzo, così come Preve fa di Eco un cretino erudito e borioso. La mia è, evidentemente, una forzatura ma, credo, con una sua ragione di essere.

        Esempio: Ratzinger è stato uno dei più critici con Wojtyla sul “mea culpa” ecclesiastico rispetto agli errori del passato. La ratio del suo scetticismo risiedeva nell’opportunità di “relativizzare” gli errori rispetto al contesto storico. Io personalmente ritengo avesse ragione: tutto va contestualizzato storicamente (stesso motivo per cui, tanto per stare a una polemica ultimamente molto di moda nella nostra italica provincia, fa ridere il revisionismo à la Pansa sulla resistenza partigiana). Ma questo atteggiamento cozza con la pretesa di giudicare la storia attraverso la lente di presunti valori assoluti.

        Altro esempio, da una prospettiva leggermente diversa: il fallimento delle pretese dello scientismo, misurate col metro delle aspettative umane di felicità e giustizia, è in tutto e per tutto comparabile al fallimento del comunismo o , udite udite, al fallimento del cristianesimo. Se il parametro è la realizzazione storica, le promesse di felicità e giustizia suscitate dalla Nuova alleanza si possono ben dire, dopo due millenni di cristianesimo, assolutamente disattese. Morte, sofferenza e ingiustizia continuano a prosperare indisturbate.
        Se il cristianesimo può sfuggire alla sentenza di bancarotta decretata dalla storia in virtù della sua verità intrinseca e a-storica (diciamo pure metafisica, ma non sono un filosofo e non voglio utilizzare i termini a vanvera), lo stesso dovrebbe valere per il comunismo. Però in questo Ratzinger mostra di ultizzare due pesi e due misure.

        Da questo punto di vista è un buon politico, ma un cattivo filosofo, perché elude il discorso sulla verità, e lo fa nel momento stesso in cui se ne riempe la bocca. I cosidetti “valori eterni” vanno posti al vaglio dell’analisi filosofica, non proclamati dogmaticamente come l’unica possibilità di salvezza per l’umanità. Sempre per fare della psicologia molto spicciola, io ho la sensazione che Ratzinger intuisca il conflitto, e lo viva drammaticamente, tra felicità e verità. La lotta al cosidetto scientismo ha un che di paradossale, perché, al netto di certe posizioni estreme, la scienza non ha mai preteso dare risposte alla civiltà: sembra quasi che gli insoddisfatti siano più gli amici di Ratzinger che i lettori di Odifreddi. Alla fin della fiera, semplicemente, la scienza ha, nei suoi circoscritti dominii, un potere veritativo stupefacente.

        La religione fa fatica a misurarsi sullo stesso terreno, ma pretende di farlo ugualmente, cercando (secondo me senza successo) di tenere assieme il discorso sulla felicità e quello sulla verità.

        Concludo con un’ossevazione: il “discorso” è una retorica. Ora, impossessarsi di una retorica comporta talvolta un vantaggio simbolico notevole, perché si riesce in qualche modo a “dettare l’agenda” all’interno di un certo ambito. Ma una retorica è pur sempre una retorica. Esempio stupido: gli italiani, come è noto, si sono appropriati del discorso attorno al caffè e si ritengono gli unici in grado di giudicare quale è buono e quale no. Ne discettano come se il resto del mondo non ci capisse nulla. Il meccanismo retorico si può riprodurre più o meno all’infinito, con qualcuno che tenterà di accreditarsi come l’unico in grado di sentenziare sull’argomento (in Italia abbiamo i napoletani a recitare questo ruolo). Ma all’atto pratico, tanto cianciare serve soprattutto a se stessi e a darsi conferme sulla propria identità: il più alto consumo pro-capite di caffè spetta ai tedeschi agli americani, che continuano come se nulla fosse a bersi ciò che noi giudichiamo acqua sporca.

        L’esempio è cretino, ma il meccanismo è universale. Il discorso sulla felicità è importante, forse è esenziale per una società disorientata. E di sicuro la Chiesa ha tutto il diritto di farne un disocorso pubblico. Ciò che mi pare poco credibile, è pretendere di farlo in nome di verità assolute ed eterne. Come per il caffè, anche il perseguimento della felicità sfugge a criteri ogettivi di vero/falso.

  13. Val scrive:

    Condivido gran parte delle critiche di Mauricius a Preve. Talvolta mi diletto a scandalizzare amici ciellini (aut similia) sostenendo che il primo dei relativisti è proprio B16. Non solo per la storicizzazione (storicizzazione=relativizzazione) che fa delle “colpe” dalla Chiesa, ma anche perché nella sua retorica corrente l’argomento principale contro il relativismo è pragmatico. Da un lato è esistenziale-psicologico, dall’altro è politico: ordine e disciplina come via verso la felicità. “Se non c’è Dio tutto è permesso”: questo, stringi stringi, il grande spauracchio; gli uomini vanno con gli uomini, le donne procreano senza permesso del marito, i trans vanno in giro con le tette e il pisello a mettere in crisi le categorie del pensiero. Insomma, ci vuole una verità assoluta cui credere, altrimenti siamo tutti più infelici e confusi. Dove la verità è in tutto e per tutto subordinata (subordinata=relativa) ad altri valori.

    Boh, devo mettermi a leggere seriamente Preve, qualche suo libro intendo dire, perché nei tanti articoli che ho letto intuisco un pensatore di enorme interesse ma anche una fastidiosa propensione alla polemica personale, a volte con accenti vagamente risentiti e rancorosi, a volte con toni a mio modo di vedere inutilmente sprezzanti. Lungi da me fare della psicologia spicciola, anche se posso ben capire che sia frustrante per chi ha un talento filosofico di primissimo livello doversi confrontare con degli avversari intellettuali meno dotati ma privilegiati da una posizione di assoluta visibilità. Che dire, la vita è ingiusta.

    Tutto quello che ho letto di Preve mi sembra, in controluce, un continuo regolamento di conti con la sinistra, di cui (a parte forse Lucio Colletti) non si salva ovviamente nessuno. Preve dispensa giudizi boriosi sulla “sinistra relativista” non troppo diversamente da come Eco & C. li dispensano alla Chiesa. Francamente, il pezzo in questione non dice granché, se non che Ratzinger, come filosofo, vale più di Eco. E vabbè. In verità, Eco non ha tutti i torti, perché nel calderone del relativismo Ratzinger tende a mettere anche lo stesso marxismo tanto caro a Preve, il che non mi sembra molto corretto.

    Che poi Ratzinger sia anche Benedetto XVI, non è un gran argomento. Cioè, capisco benissimo che non voglia turbare la sensibilità dei fedeli, ma perché dovrei preoccuparmi, io, dell’etica della responsabilità del Papa? Del resto, se è vero che la fede non ha bisogno della teologia, perché Ratzinger non si limita a fare il pastore di anime? Chi troppo vuole nulla stringe: e mi pare che Ratzinger pretenda un po’ troppo quando chiede che la Chiesa sia riconosciuta come l’unica degna erede della razionalità dei greci (i suoi apologeti lo chiamano “il Papa della ragione”) e quando le accredita tutto il meglio dei cosiddetti “valori occidentali” (compresi quelli che fino a ieri la Chiesa ferocissimamente osteggiava) addebitando al relativismo laicista (leggi nichilista, marxista, illuminista, scientista ecc.) tutto il peggio, nazismo compreso.

    Val

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per val

      grosso modo concordo, ma mi permetto alcune aggiunte. Preve scrive:

      ”un conto è la contingenza e la casualità (katà to dynatòn), ed un conto l’essente-in-possibilità, e cioè in potenzialità (dynamei on)”

      Ora, questa è la solita contrapposizione arbitraria fra natura e civiltà, cara alle persone colte Italiane imbevute di cultura umanistica ma prive di cultura scientifica. Tale contrapposizione già fu stigmatizzata da ‘Le due culture’ di Snow e da ‘Gli otto peccati capitali della nostra civilità’ di Lorenz, più di trent’anni fa.

      ”, e che la natura seguirà forse il primo principio, ma la civiltà umana processuale ed autocosciente il secondo.”

      Tutta la fisica moderna si basa per l’appunto sul superamento della contrapposizione fra potenzialità e causalità: la causalità sta precisament enelle legi che regolano l’evoluzione delle potenzialità (in linguaggio tecnico, l’hamiltoniana genera l’evoluzione della funzione d’onda).

      ”Se il sapere scientifico, che un tempo era il sapere del necessitarismo deterministico basato sul modello meccanicistico della fisica seicentesca, ed oggi è invece il sapere dell’accettazione della casualità e della contingenza (katà to dynatòn),”

      La causalità e la contingenza sono necessitanti nè più nè meno che il meccanicismo ottocentesco. Cambia l’oggetto della necessità, non l’esistenza della necessità (tecnicamente: non sono più le traiettorie delle particelle ad essre vincolate ma le probabilità di osservarle, ma i vincoli non sono diventati meno rigidi)

      ”come è possibile che ci si possa fondare sopra il sapere etico e filosofico, che è invece un sapere delle possibilità processuali progettate e volute dal genere umano (dynamei on)?”

      Per citare Savater (che a sua volta riprende l’esempio fatto da Aristotele, credo ne l’ “Etica Nicomachea”), quando i passeggeri di una nave si trovano in mezzo all’improvviso uragano che minaccia la loro sopravvivenza, lì si vede la differenza fra eroismo e vigliaccheria, fra altruismo ed egoismo: i passeggeri non sono responsabili del verificarsi dell’uragano, ma della loro risposta all’uragano. (OT: La stessa situazione costituisce l’oggetto di un film a me molto caro, ”Il diavolo alle quattro” con Spencer Tracy). Il discorso etico è allora quello che cerca di rispondere alla domanda ‘come distinguere il comportamento buono da quello cattivo?’. Ha dunque poco a che fare (se non forse nella forma discorsiva e nel procerere per errori) col discorso scientifico, che risponde alla domanda ‘Come si spiega?’

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      • lamb-O scrive:

        Ecco, il passaggio che mi aveva lasciato più perplesso era proprio quello (il primo citato). Ma non avrei saputo spiegare così bene il perché ^^

        • Andrea Di Vita scrive:

          Errata corrige: naturalmente Lorenz e Snow parlavano della civiltà, non del ‘dynamei on’

          Ciao!

          Andrea Di Vita

        • Francesco scrive:

          A me pare lapalissiano che Preve abbia ragione e anziana la morte dell’illusione scientista di poter affrontare (in modo utile ad altri che gli scienziati sociali) i temi della civiltà.

          A oggi, ci ì riuscito solo Asimov nei libri di fantascienza: o mi sono perso qualche spettacolare successo della sociologia o della psicologia o altro?

  14. Val scrive:

    ma pubblica o no? qui continua a dirmi che il codice non è valido e di riprovare, ma io i commenti li vedo pubblicati…

  15. jam... scrive:

    …e se applicassimo l’ermeneutica all’epistemologia invece di denigrarla?
    E se considerassimo anche il pensiero di Jacob Boehme?
    E se intuissimo che senza l’attuazione della “corporeità spirituale”, la linea mediana tra il sensibile e l’intelligibile ogni dilemma filosofico resterà x sempre un dilemma?
    Tra le percezioni sensibili e le intuizioni o categorie dell’intelletto c’é un vuoto che se non é riempito con un mondo reale, Mundus Imaginalis che non é immaginario, che pero’ non é né il mondo empirico dei sensi né quello astratto dell’intelletto, se non consideriamo l’esistenza reale di questa categoria di pensiero e di questa geografia, la filosofia non sarà mai filosofica. Già ai suoi tempi Platone si lamentava dicendo che ormai filosofia era cosa antica! già allora Platone sapeva che la filosofia si sarebbe persa per strada all’interno di sterili contrapposizioni. Henry Corbin continua questo scetticismo platonico affermando chiaramente che senza questo spazio mediano siamo alla catastrofe.
    E siccome Corbin dice ” un mondo non puo’ sorgere all’Essere e al Conosce, fino a che non é stato nominato e denominato, il termine chiave Mundus Imaginalis regge tutta la rete di nozioni che si ordinano sul piano preciso dell’Essere e del Conoscere ch’esso connota: percezione immaginativa, conoscenza immaginativa, coscienza immaginativa. Hegel diceva che la filosofia consiste nel mettere il mondo a rovescio. Diciamo piuttosto che questo mondo é find’ora a rovescio. Il ta’wil (ermeneutica) e la filosofia profetica( mondo intelligibile e mondo immaginale) consistono nel rimetterlo a diritto”
    E il filosofo, meglio, il perfetto saggio é colui che racchiude non solo la conoscenza filosofica, ma anche l’esperienza mistica che riconduce a questo mondo mediano dove gli avvenimenti storici hanno anche altri significati, i Significati.
    ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per jam

      Il Mundus Imaginalis non è quello dei filosofi, ma quello delle fiabe. In questo senso Pinocchio è esoterico: ed in fondo la sua balena rimanda a quella di Giona. In campo cattolico, autori che hanno sottolineato la stretta parentela fra il linguaggio della Buona Novella e quello delle fiabe sono Chesterton e Lewis. In campo Islamico, persino agli occhi di un infedele interi brani del Sacro Corano sembrano scritti (lo dico col massimo rispetto) in un linguaggio letteralmente fiabesco.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      • Moi scrive:

        Secondo me il ricorso al “modus narrandi” favolistico nei testi sacri non è un caso … l’infanzia è l’ età della vita in cui si è più disposti a credere a tutto, ma c’ è anche una nota fiaba popolare di Hans Christian Andersen in cui invece l’ infanzia è stato di grazia e addirittura di saggezza: quella in cui solo i bambini ridono perché il re è nudo e non invece vestito di stoffe invisibili agli stolti.

        Anche Gesù parla di “puri di cuore” e di “bambini”, probabilmente allude alla semplicità dell’ intuizione che viene sviata da un malinteso (!) “sapere” fatto di idee e di nozioni; in teoria Dio non dovrebbe essere percepito “contro” di esse, ma “oltre” esse.

        … Ma queste sono cose da mistici.

    • PinoMamet scrive:

      ” . In questo senso Pinocchio è esoterico: ed in fondo la sua balena rimanda a quella di Giona.”

      Sarà senz’altro così, io però sul lato esoterico sono poco ferrato, e mi limito a pensare che il racconto dell’uomo nella balena dovesse circolare nel Mediterraneo (dai, facciamo i galli e specifichiamo mediterraneo orientale 😉 , ma in realtà non è che sia sicuro si possa essere così precisi) e che vi ha attinto anche il buon Luciano di Samosata, poi ripreso da Collodi 🙂

      Un significato esoterico ci sarà (ma secondo me a posteriori), per il significato morale del racconto biblico, la spiegqazione migliore secondo me l’ha data Melville.

      ciao! 🙂

      • Andrea Di Vita scrive:

        Per PinoMamet

        Cito da http://it.wikipedia.org/wiki/Pinocchio:

        ‘Un’interpretazione […] viene da Gian Luca Pierotti, che vede nel romanzo e nella figura di di Pinocchio un’analogia con certi Vangeli apocrifi che narrano un’infanzia turbolenta di Gesù. Inoltre si riferisce anche alla scrittrice americana Clara Clement che, nel suo Handbook of Legendary Art sostiene come la prima manifestazione di Cristo sulla Terra sia stata un legno animato (living rod) e alla possibile intepretazione di alcuni temi del romanzo come riferimenti alla Crocifissione (lo stesso legno, l’episodio dell’impiccagione ecc.). Pierotti cita la formazione in seminario dei Collodi e Pietro Coccoluto Ferrigni «Yorick» quando afferma che, nel periodo da Berlingaccio alle Ceneri i teatri fiorentini di marionette sostituissero le figure profane con quelle sacre e si passasse alla rappresentazione del battesimo di Gesù. La bugiardaggine di Pinocchio starebbe allora nell’essere figura cristiana che non appare tale e che si muove in un ambiente che, almeno in apparenza, cristiano non è. Si tratterebbe in definitiva di un presepio animato toscano, laico e profano all’apparenza, ma cristiano nel contenuto.’

        (OT: Tra l’altro, una simile interpretazione fu data anche al romanzo ‘Giorno segreto’, di Doni)

        Ciao!

        Andrea Di Vita

      • PinoMamet scrive:

        Interessantissimo, Andrea

        e dico davvero; la mia (poca) esperienza lavorativa, nel mio ambito, mi ricorda però che queste letture coltissime (e legittime, ci mancherebbe, e anche giustificate) passano spesso sopra la testa degli autori, e ben al di là delle loro intenzioni.

        Insomma… Pinocchio “figura Christi”, e va bene, perchè no? Ma… ci siamo ricordati di dirlo a Collodi? 😉

  16. Moi scrive:

    Penso che Eco, ma anche Vattimo e in misura minore Cacciari (che però anzicché essere “il solito” ateo è per certi versi un agnostico e per altri uno gnostico, e questo lo rende per me più interessante …) risentano di quella mentalità “da scuola” (nel senso più negativo che si possa immaginare e oltre) di malinteso “progresso” secondo il principio del “Chi arriva dopo ha ragione automaticamente rispetto a chi è gli arrivato prima”.

  17. jam... scrive:

    … carissimo Andrea, no! Jacob Boheme, e “dall’Iran Mazdeo all’Iran sciita non sono il mondo di pinocchio ,anche se la forma mentale occidentale puo’ pensarlo e diventare poi come Ponzio Pilato. E don chisciotte della mancia allora? Cosa nasconde dietro l’aspetto fiabesco? Il ta’will non é solo il mondo di pinocchio, anche se a volte il mondo delle favole puo’ essere molto più intelligente di quello coniderato come reale. Ma quale realtà? La tua , la mia, la sua? Perché si raccontano le favole? E perché Ferdowsi scrive verità in modo epico? Perché gli scrittori e i poeti lo fanno? Dire favola non é sempre dire menzogna o impossibilità, ed il Mundus Imaginalis va ben oltre le favole anche se puo contenerle come avvenimenti allegorico-metaforici o rimembranze ataviche. Molti avvenimenti storici sono raccontati come favole, pur non essendolo! Perché dover ripetere ancora queste cose?
    Cos’é la favola, se non un modo di fare una fotografia alla realtà sotto un’altro angolo visivo? Realtà vista dall’alto, dal basso, da vicino da lontano col gran’angolo gli infrarossi ecc Ma chiariamo bene che c’é una parte di fiabesco che non é assolutamente mundus immaginalis, ed é la differenza che Paracelso faceva notare fra IMAGINATIO VERA e la phantasy-fantasia! please!
    Lascio parlare Henry Corbin:
    “Cio’ significa che il Mundus Imaginalis é il luogo e di conseguenza il mondo in cui “hanno luogo” e il “loro luogo”, non solo le visiono dei profeti, le visioni dei mistici, gli accadimenti visionari attraverso cui passa ogni anima umana al suo exitus da questo mondo, gli accadimenti della Resurrezione minore, e della Resurrezione maggire, ma anche le gesta delle epopee eroiche e delle epopee mistiche, gli atti simbolici di tutti i rituali di iniziazione, le liturgie in genere con i loro simboli, la “composizione del luogo” nei diversi metodi di orazione…Infine le biografie degli Arcangeli sono essenzialmente storia immaginale, poiché tutto avviene di fatto nel Malakut(mondo dell’anima). Allora se si priva tutto questo del suo proprio luogo che é il Mundus Imaginalis e del suo proprio organo di percezione che é l’Immaginazione attiva, nulla di tutto questo ha più un luogo. E’ solo immaginario e finzione. Con la perdita dell’IMAGINATIO VERA e del MUNDUS IMAGINALIS, cominciano il nichilismo e l’agnosticismo…
    Andrea, non lo hai letto Corbin?
    ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per jam

      Lo conosco di nome, Corbin, ma non l’ho mai letto direttamente. Il Mundus Imaginalis per me e’ un concetto sviluppato da Valerio Evangelisti nel suo ”Cherudek”. So pero’ che alcuni (penso a Cacciari e alla sua teologia degli angeli) pensano a un Mundus Imaginalis come luogo immaginario e perciò reale. Quest’ultima implicazione ha ben senso se idealisticamente pensiamo che i verbi ‘pensare’ e ‘vivere’ siano sinonimi.

      ”Cos’é la favola, se non un modo di fare una fotografia alla realtà sotto un’altro angolo visivo?”

      E’ quello che pensava Arthur Conan Doyle, che -da rigido razionalista ottocentesco- voleva fotografare le fate. Per pagarsi le costose lastre fotografiche, cominciò a pubblicare le avventure di Sherlock Holmes, ispirato a un suo professore di medicina legale; e finì col farsi imbrogliare da due truffatrici.

      ”Allora se si priva tutto questo del suo proprio luogo che é il Mundus Imaginalis e del suo proprio organo di percezione che é l’Immaginazione attiva, nulla di tutto questo ha più un luogo. […] cominciano il nichilismo e l’agnosticismo”

      Appunto. Precisamente questo fatto implica l’arbitrarietà delle fiabe: arbitrtarietà che non diventa stucchevole e che si tollera per la loro rigida, e sovente addirittura ripetitiva, struttura interna -il che fra l’altro ne spiega la natura in ultima analisi rassicurante, che le rende gradite ai bambini. Il Mundusi Imaginalis è uno dei tentativi di sostituire a una infinita realtà inumana una prevedibile e confortevole realtà fatta a nostra misura -stavo per scrivere ‘a nostra immagine e somiglianza’.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  18. jam... scrive:

    … allora, Andrea, se non lo hai letto x natale ti regalo “Corpo spirituale e Terra Celeste”, (adelphi) meglio fai finta che te lo regalo io, ma te lo paghi tu! Perché l’ottavo clima, ne vale la pena! E la temperatura é sempre mite!
    “E’ un mondo esteriore, che tuttavia non é il mondo fisico, un mondo che ci insegna che si puo’ uscire dallo spazio sensibile senza percio’ uscire dall’estensione, e che bisogna uscire dal tempo omogeneo della cronologia x entrare nel tempo qualitativo che é la storia dell’anima. E’ il mondo in cui si percepisce il senso spirituale dei testi e degli esseri, vale a dire la loro dimensione soprasensibile, quel senso che ci appare quasi sempre come una estrapolazione arbitraria, poché lo confondiamo con l’allegoria. La terra di Hurqalya é inaccessibile alle astrazioni razionali come alle materializzazioni empiriche, essa é il luogo dove spirito e corpo sono una cosa sola, il luogo dove lo spirito prende corpo come caro spiritualis..”(H.C.)

    ciao!

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per jam

      Il tempo che tu dici ‘tempo qualitativo della storia dell’anima’ è nè più nè meno che il Tempo, secondo il Kant della Critica della Ragion Pura. Kant dice che così come quello che chiamiamo Spazio è la condizione stessa per poter toccare oggetti , quello che chiamiamo Tempo è la condizione per poter provare sentimenti: lo Spazio è il modo (la ‘categoria’) dell’esperienza esterna, il Tempo dell’esperienza interna a noi. Ecco perchè -come riconosce Agostino- è impossibile spiegare agli altri cosa sia il Tempo sia, anche se ognuno sa intuititivamente di cosa si parla e tutti accettiamo senza discutere l’idea che il Tempo sia lo stesso per tutti: perchè ciascuno di noi ha sentimenti. E siccome i sentimenti sono fatti di attimi, ecco che concentrandoci sulla consapevolezza dell’attimo e rinunciando ad attaccarvisi, a cercare di fissarlo, superiamo il faustiano ‘Fermati! Sei bello!’ e ci liberiamo dal dolore superlfuo: quello che crediamo permanente. Questa concezione del Tempo come successione di attimi vissuti ciascuno ‘qui e ora’ e non come qualcosa di assoluto ha tra l’altro anche il vantaggio di coincidere con quella della fisica, e di rendere arbitraria la distinzione di Bergson fra tempo geometrico e tempo del cuore. Ho sempre pensato che nei momenti di difficoltà e tristezza il Profeta pensasse al dolce e luminoso momento in cui la Voce nella grotta gli sussurro’: ‘Recita!…’

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  19. jam... scrive:

    …in ogni caso Pinocchio é fatto di legno il legno dell’albero della vita, il legno dela croce, che poi guardacaso diventa di carne ed ossa. Cioé noi umani siamo anche un albero, e potremmo ricordare anche che nelle mitologie aborigene in certi clan gli uomini nascono dagli alberi. Poi in Pinocchio c’é anche il paese dei balocchi, questo strano luogo che potrebbe essere il “paese del non dove”, ma non é il paese del non dove x’ là, non ci sono cose brutte… e la fata dai capelli turchini? turchini come un turchese orientale.. e le mille e una notte..già! le favole!

  20. jam... scrive:

    …Francesco cosa ti é accaduto? Sei forse impazzito? Primo i bambini non sono ignoranti, secondo, in seguito a quale idea o i mistici non trombano mai??? Io conosco un mistico che ha 7 figli.. Comunque mi fa piacere sentirti dire che quelli dell’Amor cortese erano casti, almeno controbilanci Mirkhond quando dice che erano adulteri.
    La Santa che voleva spegnere il fuoco dell’inferno ed incendiare il paradiso affiché si amasse Dio per Amore e non per la ricompensa (x’ fra l’altro, se i ama Dio x la ricompensa si é politeisti, questo lo dico io) é Rabia al ‘Adawiyya di Bassora (714-801) che la cristianità conobbe durante le crociate x’ il Re Luigi ilSanto, reperi le sue tracce e le porto’ in europa.
    ciao

    • Francesco scrive:

      1) i bambini sono, in effetti, assai ignoranti ma hanno occhi curiosi e limpidi e chiedono, e vagliano le risposte con la loro intelligenza e non con i pregiudizi. il che permette loro, avolte, di avere intuizioni lancinanti che io, da adulto, non raggiungo
      2) non ho detto che i mistici non trombano. ho detto che parlare di Amore verso Dio e poi rigettare il Paradiso, che è la pienezza dell’Amore di Dio verso di me, è come parlare d’amore alla bella e poi, quando lei finalmente te la darebbe, rifiutare (ammettendo che ci interessa il nostro bel parlare d’amore e non lei, cioè che non la amiamo affatto).
      3) questo non toglie nulla al fatto che detti cantori fossere degli adulteri, però erano ancor di più dei pervertiti
      4) le affermazioni dei mistici vanno vagliate con la nostra trista intelligenza e finiscono quasi sempre nella categoria delle esagerazioni. chiaro che vorrei amare Iddio quanto la Santa Rabia, cmq

      saluti

  21. mirkhond scrive:

    Comunque mi fa piacere sentirti dire che quelli dell’Amor cortese erano casti, almeno controbilanci Mirkhond quando dice che erano adulteri.

    Non ho detto che erano adulteri, ma che ESALTAVANO l’adulterio.
    Mi rendo conto che a volte, anche chi vive nella Luce, fraintende il povero linguaggio di noi poveri mortali e finiti…

  22. jam... scrive:

    …once Rabi’a proceeded on the oly pilgrimage to Mecca. She carried her luggage on a old donkey. It fell dead on the way. Her companions volunteered to carry her luggage. But she refused observing that she had set forth for the Hajj not under their shelter, but under the Lord’s. She was left alone and the caravan passed on the next stage. Then Rabi’a prayed on the Lord, “O Master of the worlds! I am a desolate meek and poor woman. You first invited me to Thy House, Ka’ba, and now killed my donkey leaving me alone in the wilderness.” At once the donkey revived. She put her luggage on it and proceeded on the pilgrimage…
    Next time when Rabi’a proceeded on a pilgrimage to Ka’ba, and was passing through the wilderness, she observed that Ka’ba, the Hause of God, was coming to welcome her. Seeing it she said, “what shall I do with the Hause; I wont to meet the Master of the House_ the Lord. Dost not the Lord say that he who advances a step towards Him He goes out to meet him seven steps? I cannot be pleased with seeing he Ka’ba, I seek His vision!
    At this time Ibrahim Adham was also on his way to Ka’ba and he was offer namaz (prayers) at every step on his way. Thus it had taken him 14 years to reach the Ka’ba. On his arrival he found that the Ka’ba ha disappeared. He was wery much disappointed. The Divine Voice told him, “the Ka’ba is gone to meet Hadrat Rabi’a”.
    When the Ka’ba returned and Rabi’a arrived leaning on her staff due to old age, Ibrahim approche her and say, ” Rabi’a, why do you by your queer acts create hue and cry in the world?” Rabi’a replied, ” I do nothing of the sort; rather it is you who, to gain publicity, thus reach Ka’ba in 14 years.” “you covered the way by saying namaz, whilst I have covered the way through meekness and humility”….
    tratto dal libro di Attar “Memoirs of Saintsi” tradotto dall’arabo in questo inglese
    indianizzato, da un indiano.
    ciao

  23. jam... scrive:

    …i bambini sono innocenti, ingenui, non ignoranti. Hanno un’intelligenza intuitiva e capiscono tutto. Una sensibilità ancora pura e non sono soltanto gli adulti a dover insegnare ai piccoli, ma sono anche i bambini che hanno molte cose da insegnare agli adulti. Comunque, sentire dire che i bimbi sono ignoranti x me é come ricevere un pugno (cuore di mamma!), ignoranza é una parola pesante troppo, x rivolgerla ad un bambino!..
    ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per jam

      I bambini possono essere innocenti per quanto riguarda il sesso, ma certamente non sono esenti dal male in quanto bambini. Non confondiamo l’evidente debolezza delle membra con la santità delle intenzioni. La prima volta che mia figlia mi chiese perchè certe persone sceglievano di fare male al prossimo aveva due anni e mezzo.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  24. Moi scrive:

    @ Jam

    Filologicizziamo 🙂 il termine “ignorante” è divenuto para-sinonimo di “stupido” solo in seguito ad un malinteso senso della “Pubblica Istruzione”, ma in realtà “ignorare” di per sé significa “non conoscere nozioni”, ma la saggezza non è solo questione di nozione. Ad esempio, trovare esecrabile vedere un più fprte abusare di un più debole è istintivo, non abbisogna di alcuna nozione pregressa, né ideologica né religiosa.

  25. Moi scrive:

    @ RITVAN

    Mantieni, nel tuo excursus storico, il distinguo fra “Santa Inquisizione” e “Inquisizione Spagnola” … la prima era un po’ meno peggio, ma neppure la seconda era quella specie di “CattoSigurimi” 🙂 smerciata dalla UAAR e simili.

    Niente di personale.

    @ VAL

    “Bah !” significa tutto e niente. Su Cacciari si può discutere e non ho idee né preconcette né immutabili … Eco e Vattimo li ho sentiti più di una volta in occasione pubblica liquidare gli interlocutori cattolici con spallucce, bocche a cul di gallina e “Uh … ma qui siamo ancora a San Tommaso !”. A mio avviso un simile enunciato NON soddisfa la definizione di “Risposta” … in compenso soddisfa quella di “Velleità radical-chic di figheggiare col progressismo d’ accatto”.

    Niente di personale.

    • Ritvan scrive:

      —-@ RITVAN Mantieni, nel tuo excursus storico, il distinguo fra “Santa Inquisizione” e “Inquisizione Spagnola” … la prima era un po’ meno peggio, ma neppure la seconda era quella specie di “CattoSigurimi” smerciata dalla UAAR e simili. Moi—-
      Non mi pare di aver tirato in ballo l’Inquisizione, (poco)santa:-) o spagnola che fosse, visto anche che ai tempi di Maometto e delle successive conquiste arabe non esistevano ancora.
      Anch’io niente di personale:-).

  26. Moi scrive:

    @ Ritvan

    Ma l’ Ebreo che citi, sicuro che la Nirenstein non l’ abbia catalogato nella lista degli Ebrei-Che-Odiano-Sé-Stessi-Ergo-Minacciano-Israele ? 🙂 😉

    … Cmq una cosa è tristemente vera: almeno-almeno dalla Guerra dei Sei Giorni (1967)
    a oggi, tanti “Paesi Islamici” sembra che vogliano _per intendesri_ “recuperare all’ indietro”, e quel che è peggio, vi riescono .

    Come mai ?

    PS

    Di nuovo, nulla di personale.

    • Ritvan scrive:

      —@ Ritvan
      Ma l’ Ebreo che citi, sicuro che la Nirenstein non l’ abbia catalogato nella lista degli Ebrei-Che-Odiano-Sé-Stessi-Ergo-Minacciano-Israele ? Moi—
      Non lo so, casomai bisognerebbe chiedere alla Nirenstein:-). Comunque Lewis dice solo una verità storica, confermata da altri insigni storici dell’islam come p.es. il francese Robert Mantran, gente che ha una reputazione accademica da difendere e, anche se volesse, non potrebbe abbandonarsi a castronerie da Bar Fallaci:-) sugli arabi che avrebbero imposto la conversione all’islam.

      —… Cmq una cosa è tristemente vera: almeno-almeno dalla Guerra dei Sei Giorni (1967) a oggi, tanti “Paesi Islamici” sembra che vogliano _per intendesri_ “recuperare all’ indietro”, e quel che è peggio, vi riescono . Come mai ?—
      Non so a cosa ti riferisci…si stava parlando di libertà religiosa, mi pare, e in questo contesto parlare di “recuperare all’indietro” non credo abbia senso, tenendo presente quello che dice Lewis, nonché quello che dice il Corano e l’esempio del Profeta Maometto in materia di garanzia della suddetta libertà.
      Il problema principale è, a mio avviso, che la creazione d’Israele e la conseguente pulizia etnica da esso compiuta nei confronti degli abitanti musulmani dei territori assegnatigli ha creato una condizione d’inimicizia permanente fra palestinesi – e non solo, data la solidarietà dovuta fra fratelli di fede – e israeliani. Anche il Corano considera giusto combattere “sul sentiero di Dio”, ovvero il jihad, quando si è “scacciati dalle proprie case” (proprio come fece il Profeta Maometto), pertanto molti musulmani si sentono in istato di guerra con Israele e non solo con esso ma anche con i suoi alleati, USA in testa e anche con buona parte dell’Occidente “cristiano”.
      Altro fattore credo sia la frustrazione per la decadenza e l’arretratezza economica di molti Paesi islamici che molti musulmani imputano – a volte a ragione e a volte a torto – all’ “imperialismo occidentale” e così usano la fede come collante e “bandiera politica”.

      —PS. Di nuovo, nulla di personale.—
      Ma ci mancherebbe che io lo pensassi!:-)

  27. mirkhond scrive:

    Per Ritvan

    Ho sentito anch’io della vicenda della richiesta da parte del Profeta dell’invio di una missione a Costantinopoli, ma non essendo un esegeta del Corano, non saprei dirti di più riguardo alla suddetta missione.
    Da un punto di vista di parte almeno della storiografia occidentale, penso a Toynbee, vi è l’idea che Muhammad, inizialmente pensava ad un Credo Coranico solo per gli Arabi e nemmeno per tutti, come ci hai giustamente ricordato più volte, e la penisola arabica.
    Insomma l’Umma che avrebbe avuto in mente, era qualcosa di ispirato all’Israele biblico di Abramo e Mosè, quello delle 12 Tribù riunite intorno ad un unico santuario di un Unico Dio. Da qui l’invito del Profeta, fatto ai musulmani, in punto di morte, di amarsi come fratelli.
    Osserviamo lo scacchiere geopolitico mediorientale alla morte del Profeta nel 632 d.C.
    A nord della Umma arabo-musulmana, vi erano le due grandi, secolari “superpotenze” della Romània orientale, a guida cristiana ortodossa e l’Iran Sasanide, a guida zoroastriana.
    I due grandi imperi dall’epoca della Battaglia di Carre/Harran nel 53 a.C., in cui i Parti avevano ammazzato Crasso e posto sull’Eufrate il confine romano; i due imperi dicevo, erano in lotta, senza prevalere l’uno sull’altro, anche dopo aver abbracciato il Cristianesimo Ortodosso il primo, e riformato in senso fondamentalista, “khomeinista” oserei dire se il paragone mi può esser passato, lo Zoroastrismo.
    I due imperi avevano anche creato degli stati vassalli sulle rispettive frontiere, nel deserto arabico, due regni ARABI, i Ghassanidi, divenuti cristiani monofisiti giacobiti agli ordini di Costantinopoli, e i Lakhmidi, pagani poi nestoriani, agli ordini di Ctesifonte/al-Madain, allora capitale dell’Iran.
    I due imperi romano e persiano (un pò meno i loro vassalli arabi), erano usciti stremati dall’ultimo grande e terribile scontro, una guerra all’ultimo sangue, durata 24 anni (604-628 d.C.). Una guerra senza esclusione di colpi che, dati i tempi, non è a mio parere, esagerato, paragonare ai due conflitti mondiali della prima metà del XX secolo!
    Dunque i due imperi erano stremati, consumati dalla guerra e con risorse, effettivi militari e morale al collasso.
    Anche il vincitore, la Romània di Eraclio (610-641 d.C.), trionfatore a Gerusalemme nel 630, quando ricollocò le reliquie di quella che era creduta la Croce di Cristo, trafugata anni prima dai Persiani; Eraclio dicevo non fece tesoro della durissima ersperienza, e riprese la politica di calcedonizzazione forzata delle comunità cristiane semitiche siro-palestinesi e copte egiziane, oltre che con i Giudei (Nazareth diviene compiutamente cristiana in questi anni, dopo 300 anni di sforzi missionari e conversioni forzate della sua popolazione TOTALMENTE giudaica all’epoca di Costantino I nel IV secolo d.C.)
    Insomma i Romani orientali riprendono la ottusa e minchionesca repressione/omologazione iniziata dopo Calcedonia nel 451 d.C., ricreando quel clima di ODIO antiromano, che già durante la guerra aveva favorito i Persiani, grazie all’aiuto dei Cristiani monofisiti semiti e copti, e dei Giudei.
    E fu solo allora che, Abu Bakr (632-634 d.C.) primo Califfo dell ‘Islam, decise di irrompere negli esasusti territori romani e persiani. Questa decisione fu presa per placare le ribellioni sorte in Arabia dopo la Morte del Profeta e per mantenere unita la Umma e le energie beduine, pericolose se lasciate in pace e in patria.
    Da qui Abu Bakr, e il suo successore Omar (634-644 d.C.), si inserirono abilmente nel gioco, e riuscirono ad ottenere l’appoggio sia dei Ghassanidi monofisiti che dei Lakhmidi nestoriani, e ad essere considerati LIBERATORI dai cristiani monofisiti giacobiti e copti, e dai Giudei, a cui Omar promise libertà di fede, in cambio di un tributo e del divieto di apostolato tra i musulmani.
    Fu quest’accorta e saggia politica piuttosto che gli scontri tra i modesti effettivi arabi e quelli sconquassati romani, a portare Omar a Gerusalemme e Antiochia nel 638 d.C. e il suo generale Amr in Egitto, ad Alessandria nel 642 e in Cirenaica nel 643 d.C.!
    In Iran, essendo ormai la struttura militare sassanide collassata anch’essa, e coi Lakhmidi passati dalla parte araba, bastarono un paio di battaglie, come quella detta delle Catene (633 d.C.) perchè i soldati Persiani erano incatenati l’uno all’altro per non farli fuggire (inutilmente) e quella di Qadisiyya nel 636 d.C., ad aprire agli Arabi le porte di Ctesifonte poi al-Madain e quella dell’altopiano iranico, portata avanti da Omar e da Othman (644-656 d.C.), che giunse fino a Merv e ad Herat (651-652 d.C.)
    Queste vittorie che, a differenza di quelle contro i Romani, portarono al crollo e alla scomparsa dell’Iran Sasanide come soggetto statale, furono dovute proprio alla stanchezza persiana e a modesti effettivi di cavalieri iranici stretti intorno all’ultimo shah zoroastriano Yezdegerd III (632-651 d.C.), assassinato a Merv, in casa di un mugnaio presso il quale si era rifugiato!
    Come già nelle terre romane conquistate, anche in Iran i Califfi rispettarono lo Zoroastrismo (oltre alle cospicue minoranze nestoriane e giudaiche), associato alle Religioni del Libro, in quanto fede monoteista! Persino i pluriperseguitati Manichei furono tollerati (fino al califfato di al-Mahdi nel 775-785 d.C., timoroso di veder manicheizzare l’Islam, ad opera di sette e movimenti ereticali iranici “shiiti” come quello di Muqanna di Merv).
    Insomma un quadro geopolitico favorevole, un profondo malcontento di intere popolazioni e minoranze religiose oppresse, ed un’accorta e saggia politica di rispetto e inclusione dei popoli sottomessi nel proprio ordine, favorirono la staordinaria e miracolosa espansione arabo-musulmana che soltanto un secolo dopo, nel 750 d.C., avrebbe portato il Califfato ancora unitario, ad estendersi dalla Spagna al Sindh!
    Da questa politica, sarebbe poi nata, non senza fatica, e con un lungo e tormentato processo, il passaggio dell’Islam, da un credo etno-tribale alla religione universale che tutti sappiamo, passaggio in cui la spiritualità e la cultura iranica soprattutto, avrebbero avuto un grandioso ruolo, a dispetto delle belinate anti-islamiche di esuli e/o figli di esuli iraniani!
    ciao

    ps. naturalmente questo è il punto di vista di parte della storiografia franca moderna e non musulmana.

  28. mirkhond scrive:

    I riferimenti storiografici cui mi riferisco sono Arnold Joseph Toynbee (non molto benevolo veso il Profeta, ma onesto nel dichiarare il suo agnosticismo e non islamofobo, non certo alla Magdi Allam e alla defunta Oriana Fallaci), Bernard Lewis, Giosuè Musca (mio professore di Storia Medievale all’Università di Bari), Francesco Gabrieli (salentino e griko, Pino), Pio Filippani Ronconi (profondo conoscitore dell’Iran pre e islamico in tutte le sue varianti, sunnita, shiita imamita, la galassia ismaelita, sufi), Peter Mansfield, Franco Cardini, Jean Paul Roux (grande storico dei Turchi musulmani e non) e Claude Caen. Questi almeno, sono quelli che mi vengono in mente e da me più letti e amati.
    ciao

  29. Moi scrive:

    @ PINO Collodi era M a s s o n e … non certo estraneo, quindi, all’ esoterismo !

  30. Ritvan scrive:

    x Mirkhond
    Grazie della ricostruzione storica, con cui concordo. Peccato che tu non ne sappia di più sulla richiesta di Maometto a Bisanzio di poter diffondere PACIFICAMENTE l’islam al di là dei confini dell’Arabia (cosa che, del resto, non si trova nel Corano, questo te lo posso garantire io:-)) ma la cosa mi pare fortemente plausibile. A quel tempo ci voleva un pretesto piuttosto solido per muovere guerra, specie se in nome di Dio e il – peraltro prevedibile – rifiuto dei bizantini di lasciar scorrazzare nei loro territori predicatori di “eresie” lo era di certo.
    Ciao

  31. jam... scrive:

    ..il Profeta Mohammed invio’ una lettera all’imperatore di Bisanzio, nella quale lo invitava a convertirsi, cosi’ sarebbe stato “doppiamente ricompensato”.
    Non dimentichiamo che Eraclio era affascinato dalla figura del Profeta e si riporta che la notte della sua nascita Eraclio sogno’ come fosse nato il Re dei circoncisi, mentre Cosroe ebbe degli incubi ed il fuoco di Zaratusta si spense. Inoltre nel Corano, la Sura i Romani, annuncia la vittoria dei bizantini in un momento nel quale stavano perdendo e nessuno poteva in quel momento storico sapere che in futuro sarebbero stati vittoriosi, nessuno tranne l’Angelo di Dio, che lo rivelo’ a Mohammed. Più di una delegazione del Profeta ando’ da Eraclio, anche perché lui aveva un cofano, che conteneva un tesoro, cioé c’erano dei tessuti con le raffigurazione delle immagini dei Profeti che precedettero Mohammed, ma anche con l’immagine di Mohammed. Gli storici musulmani considerano che Eraclio in cuor suo fosse musulmano, ma non poté esserlo apertamente x’ i sudditi non lo erano.
    Inoltre la Rivelazione Coranica viene da Dio, ogni Rivelazione non puo’ essere che universale, rivolta a tutti gli uomini del pianeta, x’ Dio é Unico e Universale. Se cosi non fosse Dio, non sarebbe Dio, e questa é una cosa che il Profeta Mohammed aveva ben chiaro fin dall’inizio altrimenti non sarebbe stato Profeta!
    Quindi fin dal primo attimo, il messaggio non fu rivolto solo agli arabi, o ai quraysh, ma a tutta l’umanità.
    In più lui, il grande viaggiatore, abituato ai contatti con i non arabi, lui l’amico dei monaci dei monasteri, e soprattutto lui, il predicatore dell’uguaglianza di ogni uomo e della stessa dignità, senza distinzione di sesso, di colore, di etnia ecc. concetti universali che oltrepassano i qurayshiti. Se in un primo momento il suo assillo più pungente furono i quraysh, é anche a causa della vocazione universale della Ka’ba, e la ka’ba si trova alla Mecca non in un’altra città e la Mecca era in mano ai qurayshiti..
    ciao

  32. mirkhond scrive:

    Claude Cahen sostiene che Eraclio scatenò una persecuzione antiebraica nel 640 d.C., in quanto circolava una profezia che affermava che l’Impero Romano sarebbe stato distrutto da un popolo di circoncisi…..
    ciao

  33. jam... scrive:

    …gli storici Abu Nu’aym al Isfahani che mori’ nel 1058 e Al’Bayhaqi nato nel khorasan nella prima metà dell’XI sec raccontano di come Hisham b. al’As al’Umawi, mercante meccano della famiglia dei qoreyshiti, ando’ insieme ad un amico fino a Costantinopoli con una lettera del Profeta. Si fermarono prima a Damasco dove il principe ghassanide li interrogo’ lasciandoli poi proseguire. Eraclio li ricevette e pose loro moltissime domande. Alcuni giorni dopo li riconvoco’, ma in un’altro edificio, meno ufficiale e più privato ed ordino’ che fosse portato un baule pieno di scopartimenti o cassetti.
    Comincio’ per aprirne uno e ne estrasse un tessuto si seta nera dove era impresso il ritratto di Adamo, poi un’altro con il ritratto di Noé, poi un’altro con il ritratto di Mohammed. I mercanti meccani, vedendolo si misero a piangere. Intanto Eraclio ritorno’ in altri scompartimenti che aveva tralasciato e estrasse l’immagine di Mosé, Aronne, Lot, Isacco, Giacobbe con un grain de beauté sul labbro inferiore,poi Ismael, Giuseppe, Davide, Salomone e Gesù, con la barba nera e gli occhi ed il volto bellissimi. Gli ambasciatori del Profeta chiesero da dove provenissero queste immagini, Eraclio rispose loro che erano state fatte sotto ordine divino ed offerte ad Adamo affinché vedesse i profeti del futuro. In questo misto di letteratura storica le immagini appartengono al Tesoro di Adamo in Occidente, x loro Eraclio era occidente. Alessandro il Grande le ritrovo’ e le offri’ al profeta Daniele che le ricopio’ e ne fece la versione che ora Eraclio possedeva. Di ritorno a Mecca, i due uomini raccontarono al Profeta ed a abu’Bakr la loro avventura. Il Profeta commento’: ” gli ebrei ed i cristiani possiedono prove sulle mie caratteristiche e la mia missione profetica.”
    Gia’ prima di questi scritti di Bayabi e Abu Nu’aym il romanziere Dinawari scriveva nell’895, una storia simile; ed il geografo ibn al’Faqih, grande letterato presso gli abbasidi, scrive ancora questo episodio dove Eraclio é davanti all’evidenza della profezia di Mohammed, e non puo’ che confermarla x’ é lui stesso a possederne la prova. Anche Al’khisa’i nel 1200 parla di un cofano, il tâbût, contenente le prove della profezia. Anche Ferdowsi racconta questa storia, trasferendola in Andalusia alla corte della regina Kaidafa.
    Lo storico Maqrizi, racconta che un’emissario del Profeta andando dai cristiani d’Egitto, muqawqis, ebbe la stessa esperienza.
    In Iran al xv sec lo storico timuride Mirkhond, parla di questo baule, sunduq al-shahadah…. (penso che Eraclio fu, malgrado lui, costretto a praticare la taqqiya)
    ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per jam

      ”tâbût”

      Mirkhond lo sa certamente meglio di me, ma se tu non sei Pugliese probabilmente non lo sai: ‘tavuto’ in Puglia (a Napoli ‘tabbuto’) signifca ‘bara’.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      • mirkhond scrive:

        Concordo.
        ciao

      • roberto scrive:

        a napoli si dice piuttosto ‘o tauto

        • mirkhond scrive:

          A Bari, tavuto, come ha detto Andrea.
          ciao

        • mirkhond scrive:

          Roberto, sei di Napoli ex capitale?

        • roberto scrive:

          caro mirkhond,

          la tua domanda semplice richiede una risposta molto complicata:
          1. papà napoletano da mille generazioni da parte di padre, di origine tedesca da parte di madre (ma la famiglia della madre era già istallata a napoli ad inizio novecento, non credo che nonna parlasse tedesco)
          2. mamma, da parte di padre napoletana ma da famiglia di origine spagnole (sono arrivati a napoli a metà dell’ottocento), da parte di madre di origine calabrese anche loro installati a napoli da più di un secolo.
          3. io cresciuto a bologna (e sposato con una franco/ tedesca*) e adesso vivo in lussemburgo
          mio padre ha sempre parlato italiano con un forte accento napoletano e con molte parole napoletane, mia madre italiano senza accento direi…

          mi sento fondamentalmente bolognese, tranne in cucina.
          🙂

          *per complicare le cose la parte francese di mia moglie è catalana

  34. jam... scrive:

    @ Mirkhond
    ..com’é possibile che tu non ti ricorda più di quello che scrivesti nei secoli scorsi, quando eri timùride?
    ciao

    • mirkhond scrive:

      Perchè non ero io, ma uno più importante di me.
      Inoltre non sono musulmano e non credo nella reincarnazione.
      Una vita mi basta e avanza, che si soffre molto…..
      ciao

    • Per una ragione puramente statistica: nei secoli scorsi la percentuale degli alfabetizzati era irrisoria e dunque la probabilità che mirkhond in una vita precedente abbia scritto qualcosa è assolutamente risibile 😉
      Però potrebbe anche essere che, per via dell’aumento demografico, Mirkhond in realtà sia un’anima di “prima mano”, non in circolazione al tempo del buon Tamerlano o di Ulugh Beg. Plausibile, no?

  35. mirkhond scrive:

    Apprezzo i tesori che hai citato, compreso l’ultimo del mio illustre nicknonimo di Bukhara (1433-1498 d.C.), quello vero e non il povero scrivano che ti sta leggendo….
    mirkhond con la minuscola però, a differenza del vero Mirkhond e della tradizione musulmana, appoggiandosi alle sue piccole, povere conoscenze, dubita fortemente che Eraclio si fosse aperto all’Islam. Eraclio era il tipico sovrano romano-bizantino, dottissimo e intollerantissimo con chi deviava dalla retta via di Calcedonia.
    Un uomo spietato con Giacobiti, Copti e Giudei, non credo che provasse attrazione per quello che ai suoi tempi, era ancora un oscuro messaggio del deserto arabico.
    I popoli della Siria, Palestina ed Egitto, così come Ghassanidi, Lakhmidi, e i popoli dell’Iran, non si sottomettono ai nuovi dominatori arabi e al loro Verbo sbucato dal deserto con loro, perchè folgorati da tale Verbo, ma perchè stressati e stanchi da un lungo conflitto e da persecuzioni. Insomma questi vogliono la pace, ma quella terrena, non cambiare fede.
    Eraclio poi, uscito vincitore dal lungo conflitto con l’Iran, e vistosi come il restauratore dell’Ordine Cristiano, quando seppe dell’irruzione araba, si recò ad Antiochia per dirigere le operazioni, ma la stanchezza e l’odio dei suoi sudditi non ortodossi calcedoniani, portarono alla perdita delle terre romane a sud del Tauro. L’imperatore, distrutto psicologicamente, non riusciva nemmeno a riattraversare il Bosforo e tornare a Costantinopoli, tanto si sentiva umiliato e sconfitto nello spirito per una sorpresa che non si aspettava. Dovettero costruirgli apposta un ponte di barche,ricoperto con terra e che gli celasse la vista del mare, per farlo tornare al palazzo imperiale, prima che morisse….
    Eraclio era cristiano-cristiano e basta, con i pregi e difetti dell’essere cristiani di allora.
    Ciò che raccontano gli storici musulmani non sono che leggende agiografiche, simili a quelle cristiane sulla conversione di Costantino e poi sul Prete Gianni. Del resto anche il Califfo Omar II (717-720 d.C.), inviò una missione in Tibet, per invitare il suo sovrano ad abbracciare l’Islam, ma aldilà della mera cortesia diplomatica non si andò e il Tibet non divenne certamente musulmano!
    Quanto all’universalismo islamico, esso si sviluppò dopo una lunga e travagliata elaborazione teologica, conseguente agli sviluppi politici del Califfato.
    Se sull’universalismo di Mohammad gli storici disputano, si può dire che i primi califfi non incoraggiarono affatto la diffusione del nuovo Credo, primo perchè il corpus teologico era ancora in formazione, in quanto si disponeva di un Corano solo orale, e degli hadith, autentici o attribuiti al Profeta, frutto della sua missione nel 610-632 d.C.
    Lo stesso Corano fu messo per iscritto solo nel 650 d.C., per ordine del Califfo Othman, dopo che i compagni e i testimoni oculari della vita e del messaggio del Profeta cominciavano a morire, e quindi era necessario preservarne gli insegnamenti (un pò come, secoli prima con i Vangeli, scritti da discepoli e da discepoli dei discepoli nella loro redazione definitiva, in quanto Gesù non aveva scritto niente e il suo messaggio era stato solo orale).
    Secondo aspetto, gli Arabi, anche i più colti e raffinati, conservavano in gran parte una struttura beduina tribale che non consentiva di amministrare direttamente il sempre più vasto e variegato impero. Da qui la necessità fatta virtù, di inglobare quanto di meglio c’era per intelligenza, cultura, scienza, diritto, amministrazione, medicina ecc., delle capacità e delle menti dei sudditi non musulmani, ma appartenenti a civiltà più antiche e più colte.
    Insomma la saggezza e la concretezza dei “nani sulle spalle dei giganti” per citare un filosofo cristiano medievale sul rapporto tra il Verbo Cristiano e la sapienza pagana precedente….
    Ma allora come si giunse alla diffusione del Verbo Musulmano, alle grandi masse?
    La storiografia non musulmana, ma non islamofoba (vedi Bernard Lewis citato da Ritvan), è ormai concorde che agli inizi, nel vastissimo Califfato, l’Islam era pressochè la fede solo dei nuovi dominatori arabi, i quali vivevano nei loro accampamenti-città come Qufa e Basra (Bassora), per citare un esempio.
    Essere musulmani comportava degli oneri ma anche dei privilegi, soprattutto fiscali e allargare il giro” significava perdere preziosi contribuenti.
    Le prime conversioni di massa, furono il frutto o di campagne militari contro popolaziosi riottose a sottomettersi, come gli Afariq (latini d’Africa) e i Berberi dell’Ifriqiyya, nel 670-710 d.C. (lo storico tunisino ibn Khaldun afferma che i Berberi si convertirono e apostatarono 12 volte!), gli Albani caucasici (attuale Azerbaigian ex sovietico), nel 640-705 d.C., e gli Iranici dell’Asia Centrale nel 705-751 d.C.
    In tutti e tre i casi citati, i califfi Omayyadi (661-750 d.C.), succeduti ai Rashidun, dovettero combattere lunghe guerre e la conversione (in questo caso forzata) all’Islam, diventava uno strumento per spezzare la resistenza di popolazioni fiere.
    Un altra via fu costituita da Mawali, i clienti di patron e tribù arabe, ex schiavi e non, forti soprattutto nell’Iraq e nell’Iran ex sasanidi. Costoro però, rifiutati dagli Omayyadi per i suddetti motivi fiscali, finirono per ingrossare e sviluppare la nascente Shiah.
    Infatti Alì, il quarto califfo (656-661 d.C.), non fu accettato da tutta la Umma, e dopo una serie di lotte di successione, fu assassinato da suoi ex seguaci kharigiti a Qufa.
    E nel basso Iraq, che si stabilirono gli Imam suoi discendenti e successori, i quali per cercare di riottenere il califfato contro gli Omayyadi stabilitisi a Damasco, accolsero a braccia aperte i primi convertiti iracheni e iranici.
    Costoro, aumentando di numero, aumentarono anche di peso, e trattandosi di ex manichei, ex cristiani nestoriani, ex zoroastriani e così via, contribuirono all’elaborazione delle dottrine shiite, trasformando in uno scisma ciò che all’inizio era soltanto un conflitto di successione per il Califfato!
    La Shiah Imamita, gli Zayditi e l’Ismaelismo, con tutte le sue declinazioni, sarebbero inconcepibili senza i crescenti apporti teologici dei nuovi convertiti.
    E così la Shiah, divenne sempre più il partito degli oppressi. Gli Omayyadi per scongiurare il pericolo, si servirono della forza: nel 676, Muawiyya deportò nel Khorasan 50000 Arabi shiiti del Golfo Persico, per allontanarli dalle loro roccaforti e farne l’avanguardia per la penetrazione islamica nell’Asia Centrale. Questi Shiiti fecero molte conversioni tra gli indigeni iranici, e sarà tra questi gruppi che abul’Abbas, avrebbe scatenato, proprio da Merv la rivoluzione che avrebbe abbattuto gli Omayyadi (747-750 d.C.)
    Uscito vittorioso dal conflitto, grazie all’apporto dell’Iran, sia dei neoconvertiti shiiti sia degli Arabi anch’essi Shiiti del Khorasan, ma anche degli Zoroastriani e dei Manichei, in sostanza dall’intero Iran, Abul’Abbas as Saffah (750-754) e successori, dovettero arrendersi alla realtà: se la Umma doveva sopravvivere, doveva diventare universale, e doveva diventare universale, se voleva restare sunnita, come erano gli Abbasidi, nonostante i supporti shiiti e non musulmani.
    Questo processo fu ulteriormente accelerato, dalle rivolte degli ex sostenitori iranici, shiiti e non, delusi per esser ancora una volta considerati musulmani di serie B.
    Da qui le rivolte di Sindbadh il Mago (755-756), di Ustadh Sis (766-768) dalle tue parti nel Tokharistan, e quella molto più pericolosa di Muqanna (777-784) a Merv e a nord dell’Amu Darya.
    Per cui, a Baghdad, la nuova capitale, di cultura persiana e ricca di reminiscenze sasanidi, i Califfi Abbasidi, aiutati dai vizir iranici Barmecidi (762-803), convertiti di Balkh dal Buddismo, riformarono le istituzioni e allargarono il giro, facendo cadere via via le discriminazioni fiscali tra vecchi e nuovi musulmani, l’apporto degli ultimi, sempre più prezioso nello sviluppo della splendida civiltà musulmana, sviluppo in cui, come detto più volte l’Iran ebbe un ruolo notevole nel portare l’austero Verbo semitico del Deserto a diventare una fede più raffinata, più spirituale e universale di cui tutti sappiamo.
    Del resto i Sufi, quasi tutti iranici, dopo aspre persecuzioni, finirono, almeno in parte, per essere sdoganati e canonizzati da al-Ghazzali (1058-1111), anche lui iranico.
    Il Sufismo salvò l’universalismo musulmano, e paradossalmente la stessa Sunna, dandogli quel nutrimento spirituale che, diversamente, avrebbe soffocato l’Islam nel legalismo normativo e giuridico, oppure avrebbe portato al trionfo della Shiah più eterodossa. Ma questa è storia che conosci meglio di me….
    ciao

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