Il terrorista mancante

Io non ho nulla a favore del calcio, e quindi non ho nulla contro chi devasta uno stadio.

Ciò premesso, le violenze dell’altro giorno allo stadio di Genova dimostrano alcune cose interessanti sulla famosa Guerra al Terrorismo in cui saremmo immersi ormai da quasi un decennio.

Poniamo che io sia un musulmano di quelli che si immagina Magdi Allam o Carlo Panella. Decido di fare una grande strage di italiani. O perché odio la Vostra Libertà, oppure perché dico, sono corresponsabili di ciò che sta succedendo in Afghanistan-Egitto-Tunisia-Palestina-Yemen-Arabia Saudita-Niger-Somalia-Kashmir-Iraq-Libano, fate voi.

Non vado certamente a buttare giù la Torre di Pisa o il Colosseo.

Vado in un posto molto affollato. Una discoteca, uno stadio o una metropolitana.

Quello che è successo a Genova dimostra che almeno allo stadio, se è possibile far entrare interi cartelli stradali divelti, è possibile anche far entrare una discreta quantità di esplosivo, alla faccia di tutte le misure di sicurezza. Come ovviamente io riesco a entrare in qualunque stazione ferroviaria o della metropolitana con grossi zaini.

E quindi quello che è successo a Genova dimostra che  su oltre un milione di musulmani in Italia, nessuno di loro ha mai pensato in dieci anni di fare una cosa del genere.

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31 risposte a Il terrorista mancante

  1. Grazia scrive:

    Sono perfettamente d’accordo. Pensa che qui a Londra dove, a parte gli attentati molto sospetti della metro, non e’ successo mai nulla i musulmani saranno dieci volte piu’ numerosi che in Italia.

  2. Rock & Troll scrive:

    La “discreta quantità di esplosivo” non la trovi certo per strada.
    E tra il percorso che ti porta dal cominciare a cercarlo all’averlo e al portarlo dentro lo stadio pronto per farlo esplodere, sta’ sicuro che una buona quantità di sorveglianza poliziesca te la sei tirata addosso.

  3. Pingback: Il terrorismo suicida « Tutto in 30 secondi

  4. Andrea Di Vita scrive:

    Per Martinez

    Come sai, concordo con te da sempre sull’islamofobia dilagante.

    Pero’ il tuo ragionamento (non ci sono stati attentati isalmici in Italia quindi non c’e’ da preoccuparsi del terrorismo islamico) è sbagliato.

    Te lo dico perchè usare un argomento sbagliato a favore di una causa giusta indebolisce la causa, non la rafforza.

    Nel caso in esame, ammettendo per amor di discussione la frequenza di un attentato all’anno, quando tu giustamente scrivi ”su oltre un milione di musulmani in Italia, nessuno di loro ha mai pensato in dieci anni di fare una cosa del genere” dimostri che il rapporto fra il numero dei terroristi islamici e il numero dei musulmani non è superiore a uno su dieci milioni.

    Ma non dimostri che non ci sono terroristi.

    Semmai, un corollario del tuo ragionamento è che la ‘guerra al terrorismo’ condotta in Afghanistan ecc. funziona benissimo, visto che in concomitanza di quella guerra il numero degli attentati islamici in Italia è così basso.

    E non è una questione solamente di statistica.

    Posso ben rinuciare a comprare abitualmente la schedina del superenalotto perchè so bene che la probabilità di una vittoria miliardaria è inferiore a quella di essere ucciso da un meteorite (anche se in effetti qualche vincita miliardaria ogni tanto si verifica, e qualche anno fa una donna in Polonia è stata appunto uccisa da un meteorite).

    Ma se all’espressione ‘vincita milionaria’ si sostituisse l’espressione ‘strage in una metropolitana’ si capirebbe bene chi proponesse l’assoluto divieto di vendita dei biglietti di una lotteria tanto nefasta.

    Si deve condannare l’islamofobia perchè è sbagliata, non perchè non ci sono attentatori islamici.

    L’islamofobia sarebbe sbagliata anche se avessimo una metropolitana distrutta a ogni Capodanno.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

    • Francesco scrive:

      concordo al 100% con Andrea

      e la cosa mi impressiona

      ciao

      “usare un argomento sbagliato a favore di una causa giusta indebolisce la causa, non la rafforza”: parole sante.

  5. Marcello Teofilatto scrive:

    Per ADV:
    >Semmai, un corollario del tuo ragionamento è che la ‘guerra al terrorismo’ condotta in Afghanistan ecc. funziona benissimo, visto che in concomitanza di quella guerra il numero degli attentati islamici in Italia è così basso.
    Spacchiamo un po’ il capello in quattro :-). Anche questa conclusione non mi pare del tutto corretta. Dovremmo infatti: 1) paragonare gli attentati subiti da chi fa e da chi non fa la ‘guerra al terrorismo’; 2) paragonare la situazione dell’Italia prima e dopo che ha cominciato a fare quella guerra. Solo allora potremmo concludere in maniera ragionevolmente certa che funziona o non funziona.
    Un saluto da Marcello Teofilatto, che nell’occasione recupera il suo ruolo di insegnante di scienze sociali 🙂

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Marcello Teofilatto

      ”paragonare”

      Come dice De Andrè nel Testamento di Tito, ”un ladro non muore di meno” (di uno che non è ladro). Gli attentati sono paragonabili nello strazio che provocano. Tra l’altro, è per questo che l’unico modo per giustificare i bombardamenti di USA e ascari in Afghanistan è quello di non parlarne.

      ”paragonare la situazione dell’Italia prima e dopo che ha cominciato a fare quella guerra.”

      La storia non si fa coi se. Possiamo solo speculare sulla condizione Italiana in una storia alternativa nella quale il berlusca non manda soldati Italiani in Afghanistan, ecc. Il dilemma non è su qyello che sarebbe potuto accadere, ma su quello che potrà accadere stante la nostra posizione attuale.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  6. Miguel Martinez scrive:

    Per Andrea

    Oltre alle precisazioni di Marcello…

    Io non ho mai negato che ci fosse la possibilità che una, due o tre persone potessero organizzare un attentato, anche con strumenti casalinghi, e fare una strage come quella di Londra (quella di Madrid, se ben ricordo, aveva un’organizzazione più seria e quindi più difficile).

    La stessa persona (o due o tre) potrebbero molto più probabilmente saltare per aria mentre stanno preparando l’attentato e non fare male a nessun altro.

    E’ bene comunque prevedere mezzi di protezione, pur nell’improbabilità dell’evento.

    Ciò che io contesto è la traduzione di una simile ipotesi su un piano sociale.

    Perché una persona che fa saltare una metropolitana – o perché vuole esaltare Bin Laden, o perché ha litigato con la fidanzata – non è un fenomeno sociale.

    Il confronto andrebbe fatto con i nostri anni Settanta, dove le stragi sono state forse poche, ma c’era una violenza quotidiana, incessante, diffusa in tutto il paese. Fatta magari anche di qualcuno che strappava semplicemente i manifesti dell’altra parte. Che so oggi un musulmano strappasse un manifesto della Lega, la notizia sarebbe in prima pagina.

    Ecco, una violenza diffusa, come quella degli anni Settanta, è un problema sociale reale, anche se consiste solo in pestaggi e catenate.

    Il pazzo su un milione che fa saltare in aria tutti i passeggeri di una metropolitana è una tragedia enorme, ma non è un problema sociale.

    E finora non abbiamo avuto, qui, nemmeno un pazzo su un milione.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Martinez

      ”Il confronto andrebbe fatto con i nostri anni Settanta”

      Come diceva Orwell, la guerra percepita non è meno irreale di quella combattuta, ed è senza dubbio vantaggiosa perchè non la si puo’ perdere e la si puo’ quindi trascinare all’infinito, con tutti gli annessi e connessi di controllo sociale ecc.

      La ‘guerra al terrorismo’ è senza dubbio mani e piedi dentro questa categoria.

      A differenza degli anni Settanta, essa giunge da un nemico percepito come esterno. I gambizzatori brigatisti e fascisti degli anni ’70 erano (e sono ancora oggi) a tutti gli effetti figli delle ideologie nate e cresciute all’interno dell’Europa. Ideologie queste che tutto inclusero fuorchè l’Islam.

      Sicuramente per un questurino di Milano era più facile parlare con Pinelli (magari anche solo per buttarlo dalla finestra) che non con un islamista d’oggi.

      Cio’ non toglie che il ‘terrorismo islamista’ esista. O quantomeno esiste qualcuno (CIA, ‘ndrangheta, FSB, MI5, governi vari, giornalisti in cerca di scoop, precari del SISDE in cerca di riconferma della busta paga…) che se ne approfitta per fare saltare ogni tanto qualche metropolitana.

      Una volta ammesso questo fatto, poi possiamo discutere se si tratta di cieco fanatismo islamista o se si tratta di ‘backlash’, contraccolpo all’imperialismo USA. Ma è interesse nostro non saltare per aria.

      Ed è qui che si vede quanto sia pericolosa l’islamofobia. Essa è sbagliata in sè, perchè è l’ennesimo caso di violazione del relativismo, cioè della radicale indifferenza di fatto fra principi religiosi diversi. Essendo sbagliata, la sua pratica porta a conseguenze nefaste.

      Nel caso specifico, l’islamofobia ci distoglie dal vero nemico, che è il fanatico, non l’islamico o il cristiano o il liberale o il radicale o il Rom (cito ancora, a costo di ripetermi: ‘il nemico è la mente del grammofono, non conta il disco di cui suona la musica’).

      Fino all’assurdo per cui per collegarsi col WiFi ci vuole la carta d’identità, e si smantellano le squadre antimafia delle questure per fornire personale agli uffici stranieri oberati da una demente legge sull’immigrazione.

      L’islamofobia danneggia precisamente la lotta al terrorismo che predica di sostenere. E’ sbagliata, dunque non funziona per lo scopo che si prefigge (quelo di difenderci). Funziona al più come tecnica di dominio (e allora lo scopo è quello di difendere il sistema di dominio, come appunto in Orwell).

      ”Ciò che io contesto è la traduzione di una simile ipotesi su un piano sociale.”

      L’islamofobia ci distrae proprio quando avremmo tutti bisogno di ricordare la distinzione fra le diverse funzioni dello Stato: ordine pubblico, difesa, politica internazionale. Esse vanno coordinate, non confuse.

      A differenza della politica internazionale (e della sua difesa che ne è la propaggine), per l’ordine pubblico poco conta che un fenomeno sia sociale o no.

      Un pazzo su un milione che ammazza cento persone su un treno è tanto rilevante quanto cento automobilisti sani di mente su un milione che ammazzano ciascuno una vecchietta sulla strisce pedonali perchè non rispettano le regole del Codice.

      Il pazzo non è un fenomeno sociale, gli automobilisti sì. Ma entrambi sono o dovrebbero essere oggetto delle attenzioni delle Forze dell’Ordine, attenzioni che implicano sempre l’esistenza di una prevenzione.

      Un po’ come quando fino a poco tempo fa si adoperava l’Esercito per fare Protezione Civile, nascono infiniti disguidi e sprechi. Molto meglio che la Protezione Civile faccia il suo mestiere, e gli Alpini il loro. E prevenire, costruendo le case lontano dalle fiumare e dalle frane.

      Se tutte queste cose si confondono, allora si mandano gli Alpini a fare i pattuglioni nelle strade, e magari domani si lanciano i carri armati contro gli hooligans.

      E si mandano i Carabinieri a fare gli ascari in Afghanistan.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      • Francesco scrive:

        >> l’islamofobia ci distoglie dal vero nemico, che è il fanatico,

        questa è mia, tu hai sempre sostenuto che basta essere cristiano o islamico o comunque osare avere una idea una, non essere “perinde ac cadaver” un tollerante epicureo, per essere il vero nemico

        ti sei convertito di recente?

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per Francesco

          Non mi sono convertito 🙂

          Il fatto è che la coerenza spinge verso il fanatismo i credenti. E’ difficile diventare fanatici se si cerca di essere coerentemente agnostici. Ecco perchè ritengo preferibile l’agnosticismo alla fede.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

          • Francesco scrive:

            >> E’ difficile diventare fanatici se si cerca di essere coerentemente agnostici.

            1) te lo ha già spiegato Orwell che ti sbalgi
            2) tu sei un ottimo contro-esempio

            ciao

            • Andrea Di Vita scrive:

              Per Francesco

              Lascia perdere me, ché su me stesso posso essere difficilmente obiettivo. Ma adesso tu mi mostri in quale passo di quale opera Orwell sostiene quello che dici tu.

              Ciao!

              Andrea Di Vita

              • Facciamo pulizia coi termini.
                L’agnostico è colui che non prende posizione sul fenomeno religioso. Ed è ovvio che chi non pensa non può trasformare il suo non-pensiero in azione, nè positiva nè negativa.
                Poi c’è l’ateo, che allora è uno che ha una sua idea e – come il credente – può trasformare le sue idee in fatti concreti.
                Poi c’è il deista, che non crede in una divinità immanente, ma per cui vale la stessa considerazione fatta per l’ateo.
                Tutti siamo dei potenziali terroristi…

              • Francesco scrive:

                Ma in quello che citi ogni due tuoi interventi!!!

                “Il problema non è la musica (che sia religiosa o politica o agnostica), è che ci sia un grammofono …”

                Più chiaro di così, devo farti un disegnino?

                Ciao

              • Andrea Di Vita scrive:

                Per Francesco

                Ti stai dando la zappa sui piedi.

                Come ricorda Mauricius Tarvisii, è l’agnostico colui che non prende posizione sul fenomeno religioso.

                Seguendo Wittgenstein, l’agnostico non parla di cio’ di cui non ha senso parlare.

                Così facendo evita di suonare il grammofono.

                Ciao!

                Andrea Di Vita

              • Francesco scrive:

                Bugia, e poco innocente.
                L’agnostico non solo suona il suo grammofono, ma pretende che sia il solo a suonare.
                E lo chiama “tolleranza”.
                Un ateo ipocrita, tutto qui.

              • Andrea Di Vita scrive:

                Per Francesco

                ”ateo ipocrita”

                E ridàje. Potrei dire allo stesso modo che un Cattolico che non brucia le streghe è un Cattolico ipocrita. A dàrsi botte di ‘ipocrita’ non ne usciamo più.

                Ciao!

                Andrea Di Vita

  7. roberto scrive:

    sono (purtroppo) anni che non vado allo stadio ma da quel che mi dicono è impossibile entrare da soli con un bengala. bisogna piuttosto radunare un bel gruppone di teste del migliore amico dell’uomo, fare un macello e convincere la polizia/security che se non ti fanno entrare ci sarà un macello ancora peggiore, che sembrerebbe la tecnica utilizzata dal gentiluomo incappucciato

  8. Miguel Martinez scrive:

    Per Andrea

    Non so bene cosa si possa fare per impedire all’isolato di agire.

    Un isolato che non vedo tanto come un fanatico di qualche ideologia, quanto come uno che ribolle dentro e che abbia un minimo di inventiva tecnologica.

    Prendiamo il caso di Timothy McVeigh, che non aveva nemmeno un’ideologia ben definita – non era affatto un “neonazista” come lo descrivevano i media, non era razzista e nemmeno un fanatico religioso.

    Era una persona di scarsa cultura e di grande intelligenza, per nulla matto, un ottimo soldato – e quindi bravo con tutto ciò che questo comporta – che in breve tempo, a causa della sua esperienza in Iraq, aveva scoperto che viveva sotto un sistema criminale e aveva deciso di affrontare questo fatto con mezzi del tutto individuali, a parte uno sfigatissimo complice che probabilmente non ha capito nemmen ciò che stava succedendo.

    I vari giri di secessionisti statali che McVeigh frequentava con distacco non erano certamente intenzionati a compiere gesti del genere, e non si sono resi conto nemmeno loro di ciò che bolliva in pentola.

    Come fermi uno così, non sapendo chi cercare e non sapendo dove vuole colpire in tutto il vasto continente nordamericano?

    Allora si deve controllare tutto… ma il sistema in cui viviamo è talmente complesso, ha un tale bisogno di movimento costante delle persone, che un controllo efficace è impossibile.

    E comunque un controllo totale avrebbe costi insostenibili.

    Alla mia partenza da New York, pochi anni dopo l’11 settembre, la sicurezza era in buona parte in mano a due simpaticissime ragazze brasiliane, che quasi non parlavano una parola d’inglese: chi sa a quale cooperativa sottopagata per lavoratori semiclandestini appartenevano. Insomma, si risparmiava all’osso anche lì.

    Forse ha ragione Roberto a proposito degli stadi; ma io, che non sono un ragazzino e passo per un bianco, ho girato innumerevoli volte per stazioni di treni e metropolitane con enormi borsoni, che volendo avrebbero potuto contenere chi sa quante cose.

    Certo, un’attività molto sensata sarebbe il controllo dei materiali che possono essere utilizzati per produrre esplosivi, un controllo che mi pare sia mancato in Spagna.

    Non ne so nulla, ma mi sembra di capire però che è possibile produrre esplosivi adoperando sostanze di facile reperibilità. E anche qui, la soluzione potrebbe essere solo il controllo totale.

    Per dire, se mescolando farina, alcol e inchiostro per stampanti, riesco a fare un esplosivo, l’unica azione preventiva sensata consisterebbe nel controllare che fine fa tutto l’acol, tutta la farina e tutto l’inchiostro per stampanti nel paese, e intervenire quando si scopre che qualcuno ha tutti e tre.

    Ma non mi sembra molto fattibile e forse nemmeno auspicabile.

    Chiaramente, l’islamofobia produce schiere di giovani, non necessariamente religiosi ma molto offesi e molto arrabbiati. E quindi aumenta la possibilità che un isolato dia sfogo alle proprie emozioni.

    Ovviamente mi posso auspicare che venga scoperto per caso e fermato in tempo, per tutti – anche per lui. Ma non saprei concretamente come.

  9. Miguel Martinez scrive:

    Riguardo agli anni Settanta, non mi riferivo affatto ai brigatisti, che sono tutto ciò che i media ricordano di quegli anni.

    Mi riferisco alla normalità della violenza quotidiana, di ogni sorta, tra studenti nelle scuole, tra i ragazzi ai giardinetti (quelli rossi o quelli neri) dei quartieri, agli agguati sotto casa, alle molotov contro le sedi, ai mucchi di sassi accumulati per la bisogna, alle migliaia di persone che appartenevano a qualche servizio d’ordine con chiavi inglesi, malinpeggio o altre armi abbastanza improvvisate, ai cortei in cui era normale che si finisse a martellate.

    Era uno stato perenne di violenza, che non coinvolgeva certamente la maggioranza dei giovani, ma una discreta minoranza sì.

    E che spesso non si distingueva da altre forme di violenza nei quartieri (mi riferisco soprattutto a Roma) – le porte tra la violenza politica di massa e la delinquenza erano sempre aperte in tutti e due i sensi.

    Su questo argomento, raccomando i preziosi studi di Giulio Salierno. Che a leggerli oggi, sembra di sentir parlare di un altro pianeta.

    Questa è la violenza sociale. Che ci potrebbe benissimo essere tra qualche anno o decennio, con la nascita di banlieues anche da noi. E una delle bandiere potrebbe benissimo essere un’appartenenza etnica/di classe all’Islam, perché no? Come dall’altra parte ci potrebbero essere giovani “bianchi” in miseria.

    Ma non è il caso oggi.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Martinez

      Proprio il caso di Veigh mi veniva in mente, prima di risponderti. Casca a fagiolo. 🙂

      Un efficace prevenzione non implica nè la guerra oltremare nè il controllo della privacy. (Chi rinuncia alla libertà per la sicurezza non merita nè l’una nè l’altra).

      Evitare i fatti tipo quello di Veigh lo si puo’ fare in molti casi eliminando la libertò di portarsi dietro le armi da fuoco. Credo sia in ‘Bowling the columbine’ che viene mostrata la differenza fra due cittadine simili, una in USA e una in Canada, dove la libera circolazione delle armi da fuoco rende la sicurezza pubblica un incubo in USA e dove lo stesso problema non vige in Canada, dove tale libertà manca. In Italia alcune stragi sono state commesse da persone in cura psichiatrica cui non era nemmeno stato revocato il porto d’armi.

      Evitare le situazioni tipo quella che denunci all’aeroporto (io l’ho riscontrata sui traghetti della Tirrenia) lo si puo’ fare spendendo una piccola frazione di quello che costa ogni anno la guerra in Afghanistan, e obbligando chi sale su treni, navi, aerei ecc, a passare davanti a rivelatori portatili di armi ed esplosivi. Ormai ce ne sono di efficienti, sicuri ed economici, dai più semplici come quelli ad onde millimetriche a quelli più sosfisticati come le sorgenti pulsate di neutroni. Non lo si fa perchè la dominante politica di provatizzazioni nel trasporto pubblico esclude investimenti sulla sicurezza, investimenti che nessuno copre a fine anno fiscale quando si presenta il bilancio d’esercizio agli azionisti.

      Evitare il diffondersi di atteggiamenti estremisti lo si puo’ fare combattendo l’islamofobia che attizza quegli atteggiamenti.

      Già Locke diceva che la prima difesa della comunità contro la violenza era la sorveglianza dei vicini. Se uno viene scippato e urla, basta che uno solo si affacci alla finestra e veda l’aggressore e puo’ identificarlo, se vuole. Il recente diffondersi dell’omertà, testimoniato dagli ultimi fatti di cronaca a Milano e Roma, va nella direzione opposta. Il rispetto delle regole va dunque di nuovo inculcato a livello di mezzi di comunicazione dimassa. Come diceva -mi ripeto- la Bonino, la strage delle persone è preceduta dalla strage della legalità.

      In nessun caso è corretto addurre ragioni di ordine pubblico per giustificare l’islamofobia, la zingarofobia o altre simili ‘fobie’.

      Salierno, di cui ho molto apprezzato l’ ”Autobiografia di un picchiatore fascista”, è davvero di un altro pianeta oggi. Il suo corretto analizzare le dinamiche classiste alla radice dell’emarginazione oggi ne farebbe un novello Biagi da censurare fra fumi di zolfo ed anatemi all’incenso.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  10. Miguel Martinez scrive:

    Assolutamente OT, ma è un documento interessante – cioè come la Sinistra insegue la Destra, ma offre di meno, per cui perde.

    Non voglio fare il solito discorso sui cattivi dirigenti che tradiscono il buon popolo di Sinistra. Piuttosto, è importante cogliere come oggi tutti o quasi siano costretti ad andare in una certa direzione. E la Destra è strutturalmente molto più attrezzata per andare da quella parte.

    Immigrati a punti ovvero vestire i panni della destra

    di Annamaria Rivera

    L’uso strumentale del tema immigrazione è una costante della politica, italiana e non solo, da almeno un ventennio. Gli immigrati sono utili a gettare fumo negli occhi, a placare le ansie popolari indicando falsi bersagli, a mostrare i muscoli, solo verso i deboli, per dissimulare l’inettitudine colpevole di una politica che ignora i diritti e i bisogni dei cittadini non benestanti. Ma servono anche, sul versante della “opposizione”, a risolvere meschine questioni interne di egemonia e potere, e a coltivare l’illusione che indossare i panni logori degli avversari valga a conquistare l’elettorato.

    E’ il caso dell’ultima sortita della corrente veltroniana, un lungo testo allegato al documento finale sull’immigrazione approvato all’assemblea nazionale del Pd. Vi si propone, in sostanza, l’immigrazione a punteggio, cioè una selezione degli aspiranti-immigrati in base a punti corrispondenti a variabili quali età, sesso, stato civile, istruzione, specializzazione, conoscenza della lingua, della cultura e dell’ordinamento del Paese. Oltre tutto, i “promossi” dovrebbero pagarsi il munifico welfare state all’italiana contribuendo a un Fondo Impatto Immigrazione (si noti il linguaggio).

    Qual è dunque, nella testa dei veltroniani, il candidato-migrante ideale? Un maschio giovane, celibe, meglio se di bell’aspetto, addottorato in ingegneria o in informatica al Mit di Cambridge, e con un master in lingua, letteratura e istituzioni italiane? E dove si troverebbero poi i braccianti, i manovali e gli operai nonché le colf e le “badanti” che reggono rispettivamente il sistema produttivo italiano e lo spaghetti-welfare?

    Insomma, nient’altro che una variante del vecchio mito reazionario dell’immigration choisie/intégration réussie, rispolverato a suo tempo da quel campione di perspicacia e buongoverno che è Nicolas Sarkozy.

    Una tale illusione dirigista applicata non alla Francia, ma a un paese ove tutto quel che è pubblico è alla deriva (e il privato non brilla per moralità e nobiltà di atti e sentimenti), ove si impiegano fino a due anni per rilasciare un normale permesso di soggiorno, farebbe ancor più ridere se non facesse piangere calde lacrime sullo stato della “opposizione”.

    E a tal proposito torniamo al documento piddino approvato all’unanimità, insieme con l’allegato veltroniano. Vi si precisa che quel che accomuna tutti, veltroniani e non, “è la necessità di prendere in carico le paure degli italiani, di selezionare l’immigrazione secondo criteri di qualità, introducendo anche in Italia il sistema della selezione a punti”.

    Che non vi venga in mente che a preoccuparci, dicono implicitamente i nostri, sia la difesa dei diritti di tutti, nativi e migranti, o la lotta contro lo sfruttamento schiavile dei lavoratori immigrati e contro il dilagare del razzismo! Questa è roba sovversiva, ohibò, che non si addice punto alla svolta perbenista e rassicurante (per chi, poi?) che abbiamo intrapreso.

    Un ipotetico osservatore, estraneo alle vicende del trasformismo italiano, potrebbe trovare stupefacente che a ispirare una proposta tanto crudele quanto irrealistica sia stato il buon Veltroni, il filo-africano che esordì come sindaco di Roma compiendo il nobile gesto di accogliere e onorare con esequie pubbliche solenni le salme dei profughi somali rifiutate dal sindaco di Lampedusa.

    A quell’osservatore si dovrebbe rivelare che da allora molta acqua è passata sotto i ponti: quel che resta oggi è il rivolo putrescente che va dalle costanti vessazioni, sgomberi, persecuzioni dei rom della Capitale alla cinica strumentalizzazione dell’omicidio Reggiani, quando il Nostro pretese e ottenne dal governo centrosinistro la convocazione urgente di un Consiglio dei ministri onde varare un decreto-legge per l’espulsione dei rumeni.

    A stupire noi, invece, e ancor più a dispiacerci, è il fatto che quell’infelice proposta sia stata sottoscritta anche da Jean-Leonard Touadi e Paola Concia, le cui biografie e i cui interessi dovrebbero ispirare loro più generosità politica ed umana verso i dannati della terra e maggiore lungimiranza: e se un giorno qualche mente perversa proponesse che il sacro suolo patrio può essere calpestato solo da bianchi eterosessuali?

    http://www.liberazione.it/rubrica-file/Immigrati-a-punti-ovvero-vestire-i-panni-della-destra—LIBERAZIONE-IT.htm

  11. Miguel Martinez scrive:

    Al costo di beccarci Ritvan per una settimana, vi presento un documento che può essere d’interesse:

    Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – onlus
    http://www.cnj.it

    COMUNICATO STAMPA

    Hooligans serbi? Sgombriamo il campo dagli equivoci

    Gli incidenti provocati da elementi che ostentano simbologie e slogan “ultranazionalisti serbi”, sia a Belgrado lo scorso 10 ottobre (manifestazione contro il “gay pride” svoltosi in contemporanea) sia a Genova ieri sera 12 ottobre (in occasione della partita Italia-Serbia, che perciò non si è potuta svolgere) contribuiscono ad accentuare l’immagine già negativa che è stata appiccicata addosso alla Serbia e ai serbi negli ultimi 20 anni.

    Addirittura il presidente del Senato Renato Schifani ha dichiarato: “Quello che è accaduto ieri allo stadio di Genova (…) mostra il volto peggiore di un’Europa ancora troppe volte attraversata dalla violenza di chi rifiuta la civiltà, la dignità, il rispetto della persona”. (1) Non ci vuole una particolare fantasia per associare tale “volto peggiore” alla Serbia e ai serbi, attribuendo così a tutto un popolo (etnia? razza?) il rifiuto della superiore “civiltà” di Schifani. Su questa linea si pone esplicitamente la associazione revanscista degli esuli istro-dalmati, che titola di “follia serba” e collega la violenza da stadio a “quell’odio di matrice balcanica” di cui sarebbero stati vittime le “comunità degli italiani” durante la Resistenza antifascista. (2)

    Di fatto, tanti in Italia in queste ore si stanno sbizzarrendo a collegare, in buona o cattiva fede ma comunque impropriamente, le violenze degli “hooligans” con le presunte crudeltà dei partigiani jugoslavi, riassunte con la parolina in codice “foibe”. Prima dunque di entrare nel merito della questione “hooligans serbi”, è necessario sgombrare il campo dal primo e più penoso equivoco: tra i due argomenti – quello delle “foibe” e quello degli “hooligans” – non esiste alcun collegamento possibile se non quello dettato dal ben noto sillogismo razzista italiano, per cui slavi = barbari = infoibatori. (3)

    Si pone tuttavia certamente la questione di quale significato dare, in termini sociali e politici, a questo fenomeno degli “hooligans serbi”. Chi osserva le cose in superficie nota che gli “hooligans” agitano la questione del Kosovo – con striscioni, slogan, e richiami al 1389, anno della battaglia di Campo dei Merli. La questione è tuttavia sollevata in termini meramente “etnici” (“il Kosovo è serbo e non è albanese”), in maniera del tutto incongruente e contraddittoria dal punto di vista storico-politico. Infatti chi abbia voglia di informarsi e conoscere un po’ di storia di quella regione scoprirà che un Kosovo completamente albanizzato – come è tornato ad essere oggi – fu il progetto, realizzato nel corso della II Guerra Mondiale, proprio del Fascismo e del Nazismo. (4) Dunque da un punto di vista storico-politico rigoroso, porre la questione del Kosovo in Serbia non è cosa priva di contraddizioni per chi si professa nazifascista e/o cetnico.

    Ovviamente, chiedere rigore ideologico-storico-politico a degli “hooligans” può essere una pretesa eccessiva. Ma alla destra che è attualmente al potere in Serbia tale richiesta dovrebbe essere formulata, oppure no?

    Questo è in effetti il problema che sussiste sicuramente. Con il golpe anti-jugoslavo, di cui proprio in questi giorni ricorreva il decimo anniversario, in Serbia è salita al potere una classe dirigente non solamente ultraliberista ed alleata del FMI, della NATO e della UE: a prendere il potere sono stati anche i diretti eredi di quella tradizione cetnica oscillante tra fedeltà alla integrità nazionale e fedeltà ai propri mentori e padroni stranieri. L’atteggiamento dei cetnici di allora non è diverso da quello dei cetnici di oggi (intendiamo quelli veri, dall’ex Ministro Vuk Draskovic in poi, e non gli “hooligans”): oggi come allora i collaborazionisti dell’occupante straniero hanno accettato lo squartamento della Jugoslavia e la secessione del Montenegro e del Kosovo (5) proprio mentre si gongolano tra simbologie reazionarie e nostalgiche, revisionismo storico anti-partigiano, e sciovinismo anti-islamico. (6)

    Certamente, negli stadi e nelle piazze l’estremismo teppista trova anche alimento nei settori sociali sconfitti, delusi ed impoveriti dagli eventi balcanici degli ultimi 20 anni – inclusi ovviamente i profughi dallo stesso Kosovo. Ma non ci sembra questa la componente determinante, quanto piuttosto quella costituita dai numerosissimi provocatori infiltrati dai “servizi di sicurezza” che esistono in tutte le tifoserie, calcistiche o meno, e svolgono un ruolo ben preciso e prevedibile. (7)

    Quale potrebbe essere la strategia provocatoria in questo caso? Ci sono almeno due funzioni “utili” che questi “hooligans” stanno svolgendo.

    Innanzitutto, gli incidenti non sono affatto “destabilizzanti” per il governo serbo. Viceversa, con essi la stessa questione del Kosovo viene relegata a questione “di ordine pubblico” e definitivamente sepolta – assieme ai serbi-kosovari, che sono oggi o profughi oppure prigionieri nei “bantustan” della provincia.

    L’unica destabilizzazione possibile che gli incidenti di Genova possono arrecare è quella dei rapporti tra Berlusconi e Tadic, il cui incontro previsto in questi giorni, in occasione di un summit bilaterale, era già stato rimandato. Ma se di questo si tratta, cioè di una strategia internazionale (degli USA) per allontanare la Serbia dai paesi “amici” continuando ad isolarla, allora bisognerebbe pure avere il coraggio di parlarne apertamente, in Serbia ma soprattutto in Italia, dove invece non sappiamo far altro che professare disprezzo verso i nostri vicini jugoslavi – di tutte le nazionalità.

    Per CNJ- onlus, il Consiglio Direttivo
    13 ottobre 2010

    Note:
    (1) http://www.repubblica.it/sport/calcio/nazionale/2010/10/13/news/arresti_italia_serbia-7997211/index.html?ref=search
    (2) http://www.anvgd.it/index.php?option=com_content&task=view&id=10010&Itemid=111 . Razzista è stata anche la prima risposta “di massa” alle violenze che gli “hooligans” stavano scatenando nello stadio di Genova: dalla gradinata nord sono partiti cori << Zingari, zingari di merda >>: http://www.anvgd.it/index.php?option=com_content&task=view&id=10009&Itemid=111 .
    (3) In questo caso il primo termine di paragone è stato semplicemente “allungato”: serbi = slavi, e dunque serbi = infoibatori. Il sillogismo non è solamente razzista e bugiardo nel merito delle “foibe” (si veda tutta la documentazione raccolta o citata alla nostra pagina: http://www.cnj.it/documentazione/paginafoibe.htm ), ma è insostenibile anche dal punto di vista strettamente storico e politico. Infatti, tra le popolazioni jugoslave, non sono i serbi ad essere stanziati al confine orientale italiano e dunque ad essere stati lì coinvolti nella Resistenza partigiana, ma casomai sloveni e croati. Gli “hooligans” di Belgrado e di Genova, per simbologia ed argomenti ostentati non possono essere da nessun punto di vista intesi come eredi dei partigiani. Ovunque sono visibili le foto del capo dei teppisti di Genova con il braccio teso nel saluto nazifascista e gli elementi grafici celtico-nazisti tatuati sul corpo; inoltre, tutti i commentatori parlano di “estremisti di destra” per quanto riguarda questi “hooligans”, sia quelli di Belgrado che quelli di Genova.
    (4) http://www.cnj.it/documentazione/KOSMET/foto.htm . L’opzione “nazionalista serba” in campo nazifascista fu a quel tempo minoritaria e perdente: i collaborazionisti serbi degli italiani e dei tedeschi (Nedic, Ljotic) *accettarono* l’amputazione del Kosovo dalla Serbia ed anzi contribuirono a metterla in atto. Sul fronte antifascista c’erano inizialmente gli ufficiali monarchici di Draza Mihajlovic – i cosiddetti cetnici – i quali però erano molto più ostili ai comunisti che non ai nazifascisti: cosicchè si mossero con tanta ambiguità da essere ben presto “scaricati” dagli Alleati angloamericani, che trovarono più affidabile appoggiarsi al patriottismo internazionalista jugoslavo dei partigiani di Tito. Nella fase finale della II Guerra Mondiale, quelli tra i cetnici che non si erano già sbandati combattevano al fianco dei nazifascisti.
    (5) Si veda: http://www.cnj.it/POLITICA/serimo2003.htm , http://www.cnj.it/POLITICA/cnj2008.htm .
    (6) Abolita nel 2001 la festa nazionale della Jugoslavia multinazionale – il 29 Novembre -, il nuovo inno nazionale della Serbia è oggi la litania bigotta “Boze Pravde” (“La giustizia divina”), le immagini di Draza Mihajlovic campeggiano ovunque ed il fatto che i giocatori in campo usino la simbologia delle “tre dita” è un qualcosa che ai tempi del tanto vituperato Milosevic era inconcepibile.
    (7) << Il Pd chiede al ministro degli interni "di capire come sia stato possibile che questo gruppo di violenti sia potuto giungere in Italia, a Genova e dentro allo stadio con tutto il corredo di armi improprie senza che nessuno sia stato in grado nè di fermarli, nè di isolarli e nè di disarmarli. (...) "Non erano venuti soli a Genova", ha osservato da parte sua il presidente della Federcalcio serba, Tomislav Karadzic, confermando in sostanza quanto da lui detto ieri sera a Genova subito dopo la sospensione della partita: per Karadzic infatti si sarebbe trattato di un piano preordinato della tifoseria ultras per creare incidenti e far saltare l'incontro. (...) "Mi domando una cosa: chi ha permesso a questi disgraziati di entrare in Italia?". E' quanto si chiede il sindaco di Genova, Marta Vincenzi. (...) La Vincenzi rivela tra l'altro che (...) si era anche messo in contatto con la questura "e mi sono sentita dire che gli agenti erano lì ma che quelli erano dei delinquenti e si doveva evitare che finisse in tragedia. Ho capito che c'era una linea morbida per evitare la tragedia" >>. Sulla strana dinamica degli avvenimenti a Genova si veda: http://www.repubblica.it/sport/calcio/nazionale/2010/10/13/news/arresti_italia_serbia-7997211/?ref=HREA-1 , http://www.repubblica.it/sport/calcio/nazionale/2010/10/13/news/polemica_maroni-8010519 .

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Martinez

      Ritvan potrà rispondere certamente meglio di me.

      Per quanto mi riguarda, questo testo appare come un guazzabuglio terrificante.

      O, per dirla con un noto mio concittadino, ”una cagata pazzesca”.

      Cominciamo dalla fine. Il governo di Roma ha nelle sue file un ministro e capo di partito, umberto bossi, che ancora ieri non ha mancato di professare la sua stima per l’ ”eroico popolo Serbo”, e che già visito’ amichevolmente milosevic prima che le sberle della NATO glifacessero mollare l’osso del Kosova.

      Neanche una settimana fa il governo di Belgrado ha ripetutamente fatto manganellare gli estremisti Serbi anti-gay che recitavano le stesse fesserie dei teppisti che hanno devastato lo stadio della mia città. (OT Nota da Genovese: il berlusca chiederà i danni? No, perchè stadio a parte hanno insozzato pure il monumento a Cristoforo Colombo che si era appena finito di pulire l’anno scorso FINE OT)

      Come si fa a parlare di destabilizzazione?

      E poi. Prima della guerra io ho visto il Kosova abitato da una maggioranza di Albanesi emarginati e una minoranza di Serbi relativamente benestanti, più altre etnie che Martinez ben conosce. Da allora mi faccio un punto d’onore di usare per il Kosova solamente toponimi Albanesi. Coi propri macelli, i Serbi si sono giocati il diritto di governare il Kosova, non diversamente da come i Tedeschi si sono giocati in Polonia il diritto di governare la Slesia. Ecco perchè oggi si dice Wroclaw e non più Breslavia.

      Cosa c’entrano i piani dei nazisti e i fascisti di settant’anni fa? O si vuol forse dire che gli hooligans di oggi sono puramente e semplicemente una Hitlerjugend rediviva? Per chi si picca di voler discuter di storia e di politica, è pretesa non da poco che va giustificata.

      Posso anche capire il figlio di profughi Giuliani che confonde Serbi e Sloveni (anche se due miei colleghi, che hanno appunto tale origine, si guardano bene dal fare una confusione simile).

      Ma cosa c’entrano le parole di schifani? Lui ha parlato di ‘violenza che rifiuta la dignità della persona’. Non ha detto che questa èuna carateristica dei Serbi n quanto tsli. Ho poca simpatia per schifani, ma non posso accusarlo senza prove di dire una castroneria che non ha detto.

      Insomma, questi del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia non sembrano essere una onlus che merita il mio 5 per mille, nella prossima dichiarazioe dei redditi.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      P.S. E poi scusatemi, na quanno ce vo’ ce vo’. Leggo: ”Certamente, negli stadi e nelle piazze l’estremismo teppista trova anche alimento nei settori sociali sconfitti, delusi ed impoveriti dagli eventi balcanici degli ultimi 20 anni” Vabbè, ma quegli eventi balcanici chi li ha scatenati? La CIA? Il Mossad? Ante Pavelic da qualche girone infernale?

      • Ritvan scrive:

        Caro ADV, non posso rispondere “meglio di te”, posso solo affiancarti nel definire altrettanto fantozzianamente il documento stilato da “compagni (di Milosevic?) che sbagliano”:-) una “cagata pazzesca”. Gente che FALSIFICA in modo così spudorato il significato delle parole di Schifani – come nemmeno il peggior nemico personale/politico di Schifani avrebbe avuto, a mio avviso, l’ardire di farlo – per dar loro una connotazione razzista antiserba si meriterebbe una bella querela milionaria da parte di Schifani, così non solo si scordano il tuo 5×1000 ma si perdono anche i soldi che qualche sprovveduto o trinariciuto avrà attribuito loro.
        Inoltre, non posso che ripetere e sottoscrivere quello che tu hai già scritto:”Coi propri macelli, i Serbi si sono giocati il diritto di governare il Kosova, non diversamente da come i Tedeschi si sono giocati in Polonia il diritto di governare la Slesia. Ecco perchè oggi si dice Wroclaw e non più Breslavia.”
        Ciao
        Ritvan
        P.S. Concordo anche con Athanasius che parla di “noioso vittimismo (filo)serbo, una litania ripetuta già mille volte: “poveracci serbi ‘demonizzati’ dai media occidentali ecc ecc”. “.

  12. mirkhond scrive:

    Ne accennai in un altro forum, i Serbi furono ostili verso l’Italia solo nel periodo 1918-1941, al tempo della prima Jugoslavia che in realtà non fu che una Serbia allargata.
    In epoca asburgica tra il 1861 e il 1918 i Serbi furono alleati del Piemonte/Italia nelle comuni rivendicazioni antiasburgiche e in Dalmazia i Serbi appoggiarono le amministrazioni “italiane” e il partito della minoranza filoitaliana contro la maggioranza croata.
    Nel 1941-43, dopo un’iniziale, ambigua ostilità, i Serbi delle kraine occidentali e della stessa Dalmazia, anche per gratitudine verso le truppe italiane che nell’agosto 1941 li avevano salvati dalle stragi degli Ustascia, alleati del Fascismo, i Serbi dicevo passarono ad una più franca collaborazione con l’Italia in funzione anticomunista e furono create alcune unità militari per inquadrare questi cetnici serbo-dalmati come ausiliari del Regio Esercito.
    Fu ricreato, in forme nuove un nuovo grenzraum, una nuova frontiera militare, e dove i Serbi questa volta erano a guardia delle nuove frontiere orientali italiane, non più contro gli Ottomani ma contro i Titini.
    Per cui il risentimento degli irredentisti istriani e dalmati può trovare qualche debolissima ragione solo nel periodo 1918-1941, quando alle porte di Trieste e nell’entroterra giuliano e istriano si scatenò una lotta anti-italiana che non di rado assunse tratti terroristici ad opera di organizzazioni come l’Orjuna (organizzazione del popolo jugoslavo), Borba (Lotta), Tigra (per Trst-Istra-Gorica-Rijeka= Trieste-Istria-Gorizia-Fiume), Mlada Istra (Giovane Istria), organizzazioni irredentiste slovene e croate, ma finanziate e appoggiate da Belgrado che veniva a colmare il vuoto lasciato dalla scomparsa dell’Austria e per rispondere con metodi violenti all’altrettanto violenta politica di italianizzazione forzata di queste terre da parte del governo italiano, liberale e poi fascista.
    Oltrechè a rintuzzare l’appoggio dato dall’Italia al movimento irredentista croato degli Ustascia (i Ribelli) di Ante Pavelic’ nel 1929-1941.

  13. athanasius scrive:

    “”Gli incidenti provocati da elementi che ostentano simbologie e slogan “ultranazionalisti serbi”, sia a Belgrado lo scorso 10 ottobre (manifestazione contro il “gay pride” svoltosi in contemporanea) sia a Genova ieri sera 12 ottobre (in occasione della partita Italia-Serbia, che perciò non si è potuta svolgere) contribuiscono ad accentuare l’immagine già negativa che è stata appiccicata addosso alla Serbia e ai serbi negli ultimi 20 anni.””

    Già noioso vittimismo (filo)serbo, una litania ripetuta già mille volte: “poveracci serbi ‘demonizzati’ dai media occidentali ecc ecc”.

    Dall’altra parte, il fatto sta che i tifosi di calcio (o gli hooligans, se preferite) sono molto simili, che siano serbi, inglesi, polacchi, italiani, ecc. Hanno gli stessi rituali, qualche volta le stesse canzoni (tradotte in varie lingue), gli stessi slogan ed altro. Sono uno dei prodotti della globalizzazione, del flusso mediatico, del consumerismo. Non c’è niente di specificamente “serbo” in questi hooligans.

  14. nic scrive:

    Per analogia:

    Non vado certo a buttar giú il WTC o il pentagono (con un improbabile piano da “Pinky and the Brain”) per poi sparire nel nulla e lasciare discoteche, ponti, stadi e metropolitane indenni (mentre mi bombardano persino i greggi di capre).

    E quindi quello che è successo a NY dimostra che su oltre un miliardo di musulmani nel Mondo, nessuno di loro (neppure un nababbo in una grotta) ha mai pensato in dieci anni di fare una cosa del genere.

    dai Miguel, che forse ci arrivi….

  15. nic scrive:

    non perdo mai la speranza, perché per il resto, a parte qualche palla spirintellettual al di sopra delle mie misere conoscenze e del mio bieco e squallido materialismo, sei il mio scrittore vivente favorito….

  16. Pingback: Il terrorismo suicida

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