Akdamar, una croce sul Novecento

Con un certo ritardo – scusatemi, ma devo lavorare e non mi paga nessuno per occuparmi delle faccende del mondo -, una nota sulla riapertura della chiesa armena di Akhtamar (Akdamar, Aght’amar), in Turchia, che segue di un mese la messa ortodossa al Un evento piccolo, ma di enorme significato. Nell’Ottocento e Novecento (ma in Inghilterra, anche prima), il capitalismo e i sistemi liberali si sono imposti con tutta la forza degli Stati Nazionali, che hanno soppresso sistematicamente le diversità al proprio interno, in nome di bandiere e di unità etniche artificiali: è il mondo dei Geometri, di cui abbiamo già parlato. E dei cui esiti catastrofici, noi messicani siamo ben coscienti.

I Giovani Turchi e il kemalismo sono stati insieme una sacrosanta reazione alla violenza esterna, e l’imposizione della stessa violenza dall’interno. Uno stato, un popolo, un mercato… E’ un fatto poco noto che le successive deportazioni di interi popoli, all’interno dell’Europa, hanno ricalcato coscientemente il modello turco, in particolare lo “scambio di popolazioni” del 1923 con la Grecia.

Il grande rivolgimento in corso in Turchia ha colpito il cuore simbolico di questo sistema, semplicemente restituendo questa chiesa ai suoi detentori storici. E lentamente, i discendenti segreti delle comunità armene iniziano a chiedere che sia riconosciuta la loro identità, anche religiosa, come racconta un bell’articolo (in inglese) sul quotidiano Hürriyet.

L’impatto emotivo di un simile gesto, che colpisce tutto il sistema  del laicismo kemalista – economico, militare, ideologico – è enorme, e quindi poteva essere compiuto solo da un governo che gode di una fiorente situazione economica e del prestigio che ha guadagnato affrontando Israele. E comunque il governo  è stato costretto a procedere con grande cautela anche qui, tra non poche proteste.

Riprendo un articolo di Giuseppe Mancini sul tema. Giuseppe Mancini è uno dei pochi osservatori lucidi di cose turche, che abbiamo già avuto occasione di citare.

Con qualche dubbio sul titolo (non sul contenuto): il nuovo governo turco segue una politica di mediazione ovunque, anche verso l’Europa; ma l’apertura della chiesa di Akhtamar rientra a mio aovviso in una politica molto più ampia di superamento del Novecento: a Bruxelles, degli armeni poco gliene importa.

Bruxelles val bene una messa. Anzi, due.

E infatti, nelle ultime settimane la Turchia ha compiuto un duplice gesto di storica apertura verso le minoranze non-musulmane, segnalando all’Europa una fattiva disponibilità ad affrontare in modo risolutivo il problema della libertà di culto.

Già il 15 agosto, nella ricorrenza della Dormizione di Maria, le autorità di Ankara hanno consentito alla comunità ortodossa di celebrare una messa nell’antico monastero di Sumela, nei pressi di Trebisonda – per la prima volta dal 1922.

Circa duemila i presenti, provenienti anche da Grecia, Russia e Georgia: e con in testa il patriarca ecumenico Bartolomeo I proveniente da Istanbul, accompagnato dal clero metropolita. «Oggi la Vergine Maria ha smesso di piangere», sono state le sue più emozionate parole: ma il patriarca ha anche reso grazie a Dio e poi al ministro della cultura e del turismo Ertugrul Gunay (che ha autorizzato una richiesta locale per la liturgia) e ha rivendicato la centralità di una cultura della coesistenza – radicata nel defunto impero Ottomano – come antidoto a ogni forma di discriminazione e di violenza.

Un evento sì religioso, ma la cui enorme valenza politica è palese: e che anzi nasconde una soprendente densità simbolica. Il 15 agosto è infatti l’anniversario della caduta dell’impero greco di Trebisonda, sul mar Nero, espugnata nel 1461 da Mehmet II “il Conquistatore”: città portuale e mercantile sulla via della seta, in passato cosmopolita per eccellenza non meno di Istanbul; oggi diventata Trabzon, ancora abitata da piccole comunità superstiti (greci pontici compresi, oltre ai lazi di origini georgiane e ai nuovi immigrati dall’ex Unione sovietica), in preda alle pulsioni nazionaliste più estreme.

Non è infatti un caso che a Trabzon è stato ucciso don Andrea Santoro (nel 2006) e che di Trabzon è originario l’assassino del giornalista e intellettuale turco-armeno Hrant Dink (nel 2007): entrambi freddati da adolescenti legati ai circoli più oltranzisti, probabile manovalanza dello “Stato profondo” antidemocratico. Si temevano infatti incidenti, qualcuno ha organizzato l’immancabile protesta su Facebook: ma per una volta il clima di cordialità ha trionfato, senza particolari tensioni. E se il 15 agosto a Trabzon pioveva, il sole brillava su Sumela, lì a 50 chilometri: sul famoso monastero oggi trasformato in museo che si erge su una roccia a strapiombo, dagli affreschi altrettanto luminosi perché da poco restaurati, fondato nel 386 dopo la scoperta miracolosa di un’icona della Vergine, protetto dai sultani e abbandonato per molti decenni ai vandali in età repubblicana. Anche le autorità diplomatiche greche e il premier Papandreou hanno apprezzato.

Domenica 19 settembre l’esperienza è stata ripetuta, con la stessa commozione ma stavolta con qualche polemica. A essere prescelto è stato un altro luogo storico, la piccola chiesa della Santa croce sull’isola di Akhtamar, nel lago di Van all’estremità orientale della Turchia: una chiesa armena, che risale al X secolo e rappresenta uno dei più fulgidi esempi architettonici e artistici arrivati ai nostri giorni. La messa è stata celebrata per la prima volta dal 1915, quando tra operazioni belliche e di pulizia etnica la comunità armena venne praticamente annientata: in una chiesa riaperta solo nel 2007, come museo, dopo pesanti restauri alle strutture, agli affreschi, ai celebri altorilievi di ispirazione biblica. I presenti erano due o tremila, armeni della Turchia o provenienti dalla diaspora, ma anche rappresentanze diplomatiche e autorità locali: per i quali la pacificazione con gli armeni e l’apertura del vicino confine con l’Armenia è un’occasione di sviluppo turistico ed economico.

Il clero non era però al gran completo. Lo stesso Catholicos di tutti gli armeni Karekin II si è rimangiato la promessa di inviare due suoi alti rappresentanti, la messa è stata celebrata dall’arcivescovo Aram Atesyan in vece del patriarca di Costantinopoli, la partecipazione è stata del 50% rispetto alle stime iniziali e alle prenotazioni. Un mezzo boicottaggio, insomma. Perché la comunità armena ha lamentato l’assenza della croce sulla sommità della caratteristica cupola a cono della chiesa, giustificata dalle autorità turche per motivi tecnici: per problemi di peso eccessivo – e la croce è stata infatti esibita all’esterno, dove ha catalizzato preghiere e lacrime – che hanno promesso di risolvere quanto prima.

Forse un pretesto, visto il clima di ostilità creato da chi – a Yerevan come nella diaspora – ha parlato di una trappola propagandistica, della concessione di un giorno per cancellare le responsabilità dei massacri del 1915, il Negazionismo  e la mancanza di diritti culturali e religiosi di oggi.

Ovviamente non basta una messa all’anno, in luoghi solo simbolici, per assicurare le libertà che sono invece pratica quotidiana: ai non-musulmani – cattolici, ortodossi, armeni – ma anche agli alevi.

Sumela e Akhtamar sono però un gesto importante, perché indicano la via che Erdogan  e il governo dell’Akp vogliono seguire: non solo per fare bella figura con l’Europa, ma per trasformare la Turchia in un paese pienamente democratico, che riconosce i diritti e le specificità di tutti. Il primo ministro ha offerto la cittadinanza turca agli arcivescovi stranieri che siederanno nel Sacro sinodo ortodosso: così da ovviare, almeno nell’immediato, al problema della formazione dei sacerdoti causato dalla chiusura nel 1971 dell’unico seminario sull’isola di Heybeliada nel mare di Marmara – occasionalmente riaperto in questi giorni per una mostra; mentre Ali Bardakoglu, a capo del Direttorato per gli affari religiosi, ha dichiarato che non c’è nessuna preclusione all‘utilizzo per riti religiosi persino di Santa Sofia a Istanbul – anche se attualmente non in agenda – e ha auspicato la riapertura della chiesa di San Paolo a Tarso. Altri importanti segnali: in attesa della nuova costituzione, di nuove libertà, di nuove garanzie.

22 settembre 2010

akdamar

La chiesa armena di Akdamar

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17 risposte a Akdamar, una croce sul Novecento

  1. Peucezio scrive:

    Erdogan mi piace sempre di più.

  2. Miguel Martinez scrive:

    Non c’entra molto, ma è curioso perché conferma qualcosa che i visitatori a Costantinopoli già notavano secoli fa…
    ______________

    I gatti di Istanbul star…….

    Mercoledì, Agosto 25, 2010
    ISTANBUL – Virgilio Apcom/Nuova Europa

    Ci voleva Obama per fare scoprire al mondo quello impara in poche ore chi visita Istanbul: nella megalopoli sul Bosforo I gatti vengono trattati alla stregua degli esseri umani, con punte di civiltà da fare impallidire anche la più moderna delle metropoli occidentali.
    La gattomania degli abitanti di Istanbul è salita alla ribalta durante la visita del presidente americano Obama alla Basilica di Santa Sofia, quando il numero uno della Casa Bianca vide un bel micione passeggiare indisturbato per navate e gallerie millenarie, sotto l’occhio divertito, ma non sorpreso del premier Recep Tayyip Erdogan. Nel solo monumento bizantino infatti pare abiti una colonia di circa 20 felini. Sta di fatto che da quel momento il gatto è stato eletto a simbolo della città da tutti gli stranieri, davanti allo stupore dei turchi. E dal quel momento si è cominciato ad accorgersi che i mici a Istanbul sono ovunque, persino nelle vetrine dei gioiellieri al Gran Bazar.
    Così qualcuno ha pensato di trasformare la passione per i gatti in un vero e proprio brand. Come gli organizzatori del campionato mondiale di basket, che si sta svolgendo a Istanbul, e che hanno scelto come mascotte l’immagine di un bel gattone chiamato Bascat.
    In realtà in Turchia l’amore per i felini trova radici nella notte dei tempi e secondo alcuni avrebbe anche una motivazione religiosa. L’Islam predica l’amore e il rispetto per gli animali e sembra in particolare che il Profeta Maometto fosse un gattofilo da competizione.
    Sarà per questo che i cortili delle principali moschee della città sono territorio incontrastato di questi simpatici amici e quatto zampe, che vivono dignitosamente grazie alla proverbiale generosità dei turchi, che non solo li ricoprono di cibo, ma addirittura li aiutano a partorire e si occupano della loro igiene. Motivo questo per cui i gatti che si vedono in giro a Istanbul sono quasi sempre ben educati, per nulla selvatici, abituati al contatto con l’uomo e anche straordinariamente puliti.
    In alcuni quartieri poi la cura dei mici diventa un fenomeno di organizzazione sociale, anche per supllire alla scarsità dei fondi per gli animali randagi con cui devono fare i conti le varie municipalità. Ne sa qualcosa il quartiere di Nisantasi, dove nel centro dei giardini ci sono una serie di casette che servono da alloggio per gli amici a quattro zampe. Nel recinto possono entrare solo i membri di una ong del quartiere, che coordina le donazioni degli abitanti, l’aspetto igienico delle casette, le condizioni di salute dei mici ed eventuali adozioni dei più piccoli.
    Un rapporto quasi simbiotico, che per il presidente Obama e il resto del mondo è straordinario. E che per i turchi rientra nella normalità.

    http://www.e-turchia.com/articolo.asp?idCat=21&idArt=4650

  3. GM scrive:

    ‘hanno scelto come mascotte l’immagine di un bel gattone chiamato Bascat’

    beh, ‘gattone’ e’ riduttivo e fuorviante! si tratta, invece, di un gatto estremamente speciale, che tra l’altro con Istanbul ha molto poco a che vedere: perche’ Bascat, guarda caso, e’ un gatto di Van. un gatto che, come tutti i gatti di Van, ha pelo bianco e gli occhi spesso di due colori diversi: uno celeste, l’altro ambra. ne sono rimasti molto pochi, vengono protetti e studiati all’università di Van (avrei qualche foto esclusiva, per interposta persona).

    pero’ che disastro, questi corrispondenti di agenzia: che ci stanno a fare in loco se poi gli sfuggono i particolari piu’ interessanti…

  4. Francesco scrive:

    Speriamo bene ma il dubbio, se si tratti di graziose concessioni o del riconoscimento di un diritto, rimane.

    In Amerika, chi sostiene la costruzione della “moschea” a Ground Zero lo fa in base alla Costituzione, invocando il diritto alla propria fede di qualsiasi cittadino.

    Noi italioti non facciamo testo.

    Ciao

  5. PinoMamet scrive:

    “Noi italioti non facciamo testo.”

    Questa è la più elegante glissata cattolica che abbia letto 😉
    e visto che a me l’eleganza piace, rinuncio a ribattere.

    Ciao! 🙂

  6. Miguel Martinez scrive:

    Per Francesco,

    Veramente nessuno ha mai proposto né una “moschea” né qualcosa “a Ground Zero”.

    Un imprenditore privato ha detto che sulla sua proprietà a qualche isolato di distanza da Ground Zero, ci farà quello che gli pare. Cioè un centro multinonsocosa (in Italia lo chiamerebbero un Polo, sono sicuro) con dentro una sala di preghiera per musulmani.

    Secondo la religione americana è teologicamente perfetto: ha firme di notai, geometri e affini.

    La chiesa sul lago di Van credo che sia demanio dello stato turco e prima probabilmente non aveva nemmeno delle carte; o se le aveva, saranno state fatte accuratamente sparire quasi un secolo fa.

    Ma per fortuna degli armeni, non siamo negli Stati Uniti.

    • Francesco scrive:

      posso scommettere che negli USA ci sono un milione di chiese degli armeni e che non devono contare sulla bontà del Sultano (pardon, Presidente) per andarci quando vogliono?

      • Miguel Martinez scrive:

        per Francesco

        Beh, se vogliamo fare una scommessa sul numero di “un milione”, mi ci lancio subito!

        Comunque, perché mai non dovrebbero esserci chiese armene negli Stati Uniti?

        • Francesco scrive:

          Furbetto che non sei altro!

          lascio perdere il milione (ma non il punto) e rilancio: “per fortuna degli armeni, non siamo negli Stati Uniti.” Che vuol dire?

          Saluti

  7. Miguel Martinez scrive:

    Dunque, la fatidica domanda, Dio esiste o no? E se esiste, la verità per la mia salvezza è quella offerta dalla Chiesa cattolica?

    Tutto questo sembra secondario, rispetto all’altra domanda, “chi fermerà i musulmani”.

    Ecco qualche illuminato parere in giro in rete:

    BellumSacrum | 25 luglio 2010

    Solo lo Stato Cattolico salverà l’Italia e l’Europa dall’islam. I governi secolari occidentali sono solo contro il terrorismo e l’estremismo islamico – non contro una pacifica acquisizione demografico dall’Islam! Già l’Europa perde fino al 40% della popolazione, con ogni generazione che passa sotto genocida governo laico! Un flusso costante di immigrazione islamica è quindi usato per sostituire il calo della popolazione occidentale. Lo Stato cattolico non avrebbe mai permesso un simile processo perverso e malvagio. I governi secolari hanno bisogno dell’immigrazione islamica per rafforzare le loro nazioni contro la Cina – e il piano di islamizzazione è piuttosto quello di abrogare l’aborto e il divieto del controllo delle nascite.
    http://www.youtube.com/watch?v=Kng7YEATgEI

    E invece:

    Tutte le iniziative e battaglie per la laicità vengono oggi etichettate dai Cristicoli come laiciste o anticattoliche in quanto minano i privilegi secolari che di cui i feticisti di Cristo della Chiesa Cattolica hanno sempre goduto per lunghi secoli a danno di tutti gli altri.

    Tacciarli di scarsa lungimiranza è il minimo, un vero auto-goal.

    Quando i musulmani avranno il diritto di voto (sono 1 milione e mezzo in Italia) e senz’altro non voteranno il PDL o la Lega, i Cristicoli rimpiangeranno organismi come il UAAR o certi giudici solitari che hanno tentato inutilmente di far valere il principio della laicità.

    Che poi secondo me gli immigrati in Italia – di qualunque origine – voterebbero a maggioranza schiacciante per il centrodestra, se non ci fosse la xenofobia: “valori della famiglia”, “spirito imprenditoriale”, “meno delinquenti” e cose simili piacerebbero a tanti, che magari non si aspettano nemmeno la pensione o servizi pubblici. Ma questo è un altro paio di maniche.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per martinez

      ”Che poi secondo me gli immigrati in Italia – di qualunque origine – voterebbero a maggioranza schiacciante per il centrodestra, se non ci fosse la xenofobia”

      Questo è certo.

      Ricordo ancora Speroni -sì, proprio lui- che all’ennesimo dibattito televisivo giustificazionista del solito quasipogrom legaiolo accusava il suo interlocutore -un ambulante africano regolarmente in Italia da anni- di essere stato al suo stesso fianco l’anno prima in una fiaccolata contro la criminalità.

      Se diventa ricco, chi ha sempre dovuto vendere tappeti di nascosto è più facile che diventi bottegaio evasore: non ce lo vedo a diventare lavoratore dipendente col suo bravo 730.

      Solo l’immarcescibile ottusità legaiola salverà l’Italia. Siano rese grazie a Darwin.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  8. mirkhond scrive:

    Per Miguel Martinez

    Grazie per questo bellissimo articolo.

  9. mirkhond scrive:

    Ricordiamo che oltre ai criptocristiani del Ponto e a quelli armeni, vi sono gli ancor più sconosciuti Mhallami, aramei che ancor oggi vivono nell’area tra Turchia, Siria e Kurdistan che fu iracheno.
    Questi Mhallami erano in origine siro-giacobiti, convertiti all’Islam, secondo sir Mark, per poter mangiare carne in periodo di quaresima, durante una carestia.
    Nell’anno 1900, sir Mark Sykes, diplomatico inglese (e corresponsabile dei famigerati accordi Sykes-Picot del 1916 che sono la causa di tante tragedie ancora attuali nel Medio Oriente); sir Mark dicevo, compì un viaggio per l’Impero Ottomano.
    Giunse anche nell’alta Mesopotamia, la Jezirah, e fino ai contrafforti del Tauro Armeno.
    Qui, giunse a conoscenza di questi aramei “musulmani”, ma lo sceicco che lo accompagnava come guida, gli rivelò che molti Mhallami in segreto erano RIMASTI cristiani e di cui sir Mark scrisse nel suo The Caliph’s Last Heritage. A Short History of the Turkish Empire.
    ciao

  10. Miguel Martinez scrive:

    Voglio ringraziare Mirkhond per i suoi notevoli interventi. Non mi ricordo se già lo avevo detto, comunque non li commento quasi mai perché c’è solo da ascoltare e riflettere.

  11. mirkhond scrive:

    Per Miguel Martinez

    Sono io che debbo ringraziarla per l’opportunità che mi offre di poter parlare di argomenti che interessano ben pochi.

    Mirkhond

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