Jos, le stragi in Nigeria e le mistificazioni neocon

Ieri un commentatore, un po’ provocatoriamente, chiedeva:

“non essendo un esperto di flusso mediatico, non capisco come mai “annunciare di voler bruciare il Corano” fa notizia, “bruciare i convertiti al cristianesimo” e “sgozzare i volontari cristiani” non fa neppure un’increspatura superficiale.”

E’ una di quelle domande a cui occorre stare attenti, perché è facile cadere immediatamente nel gioco di dire, “no, è il contrario!” e citare tutte le volte che i media hanno parlato invece di cristiani uccisi da musulmani. Non fu certo un’increspatura superficiale quella che si mosse nel flusso mediatico ai tempi dell’omicidio in Turchia di Don Andrea Santoro, tanto per citare un caso.

Però se ci si mette in questo genere di polemica, si finisce per accettare un quadro totalmente falsato della realtà. Da una parte e dall’altra, si accetta che esisterebbe uno scontro tra “musulmani” e “cristiani”, e che i media, per qualche motivo, starebbero “dalla parte del nemico”.

Insomma, quel misto di tifoseria calcistica e paranoia che è la norma nelle discussioni politiche. Ci manca solo di finire cercando la motivazione del comportamento dei media grugnendo, “lo fanno perché li paga il Vaticano” oppure “perché sono al soldo dei petrolieri arabi”.

Piuttosto, c’è il semplice fatto che ovunque nel mondo, comunità umane si scontrano con altre comunità.

Quanto hanno a che fare questi conflitti con quello mitico-mediatico, tra la Civiltà Occidentale – fallacianamente, un misto di Madonne, minigonne e cognacchino- e l’Islam con il suo latte di cammella, dove l’Occidente deve salvare il mondo e l’Islam lo deve soggiogare?

In questi giorni, leggiamo che continuano i massacri tra “cristiani e musulmani” a Jos in Nigeria, dove una strage di musulmani a gennaio è stata seguita da una strage di cristiani a maggio; ma gli omicidi proseguono tutti i giorni.

Carlo Panella, furibondo islamofobo recentemente promosso al Comitato per l’Islam Italiano del ministero degli Interni, ci spiega come sono andate le cose. Partendo dal fatto che il Marocco [sic!] avrebbe rimesso sull’aereo alcuni missionari evangelici, Panella dice:

“Questa è l’origine profonda, del massacro di Jos, così come degli eccidi che colpiscono i cristiani maroniti in Egitto e delle persecuzioni dei cristiani in tutto il mondo musulmano. L’Islam di oggi, anche quello “moderato” anche quello “laico” non tollera, combatte ferocemente e punisce, anche con la forca, la libertà di religione, la libertà della persona di lasciare l’Islam per un altro credo.”

E prosegue:

“Il massacro di Jos, come tutti quelli che l’hanno preceduto facendo migliaia di vittime negli ultimi anni in Nigeria, nasce dalla pretesa dei musulmani del nord di imporre l’osservanza della sharia anche ai non musulmani.”

A parte il fatto che Panella vede solo i morti cristiani mentre i maroniti in Egitto ci andranno al massimo per fare i turisti, la shari’ah e il governo marocchino  non c’entrano assolutamente nulla con quello che sta succedendo a Jos.

Da 16 anni si scontrano i Hausa-Fulani e i Berom. [1] I primi, in origine – e spesso ancora oggi – pastori, sono musulmani. I secondi, prevalentemente contadini, appartengono a un gran numero di chiese cristiane, anche se qualcuno è musulmano (e si schiera ovviamente con i Berom cristiani).

La lotta tra le due etnie è per il possesso dell'”indigene certification“: la legge nigeriana, in base alla costituzione del 1979, assegna fondi alle autorità locali – i miseri resti delle immense e corruttrici rendite petrolifere – che distribuiscono questi attestati di autoctonicità.

Il possesso di tale certificazione permette di accedere a posti statali, modesti ma sicuri; di ricevere assistenza medica o borse di studio.

E quindi il controllo con qualunque mezzo dell’autorità locale diventa una questione di vita o di morte. E per averlo, occorre associarsi in qualche gruppo etnico o religioso – in Nigeria si parlano circa 500 lingue mutuamente incomprensibili, per cui le basi non mancano.

Ma chi è “indigene” in una città di immigrati fondata nel 1915 dagli inglesi, un acronimo di Jesus Our Saviour, “Gesù nostro salvatore”?

Spetta ai governi locali definirlo, e i Berom, guidati da una successione di combattivi governatori, non hanno alcuna intenzione ad ammettere i Hausa-Fulani allo status di “indigene”. E i Hausa-Fulani, che vivono a Jos da generazioni, non possono ottenere la certificazione da nessun’altra parte.[2]

Per dimostrare la propria indigenicità, i Berom hanno messo in piedi un eccellente museo storico e hanno creato tutto un sistema storico-mitologico attorno a feste tradizionali ricostruite.

I Fulani continuano ad arrivare, sfuggendo alla desertificazione. Provocato in parte da un consumo eccessivo dei pascoli, ma soprattutto dal generale cambiamento climatico che, come sappiamo, deve molto a cause umane, cioè alla società energivora in cui viviamo.

E se noi lo notiamo poco, il cambiamento climatico colpisce terribilmente le fragili zone attorno al Sahara: il lago Ciad, centro delle zone più fertili, è diminuito del 90% dal 1960. [3]

A nord-est, la desertificazione ha scagliato i nomadi del Darfur (neri e musulmani) contro i sedentari (neri e musulmani), con i risultati che tutti conoscono.

Nella Repubblica dell’Africa Centrale, un milione di profughi sono in fuga dai razziatori provenienti dal Sudan e dal Ciad, nonché da banditi interni che utilizzano varie pretenziose sigle, come Armée Populaire pour la Restauration de la République et la Démocratie.

Anche nel Niger, dove il caldo quest’anno ha stroncato i raccolti, i Fulani sono entrati in conflitto con gli agricoltori Zarma, musulmani, ma queste sono storie che non vanno di moda.

In Nigeria, dove il 38% del paese è colpito dalla desertificazione, ne soffrono sia i nomadi – come i Fulani – che i sedentari: infatti, il cibo consumato nel paese viene prodotto nella zona più esposta alla siccità, perché il sud tropicale è interamente votato alle colture industriali da esportazione. In queste condizioni, saltano tutti i delicati compromessi tra contadini e sedentari, basati sullo scambio dell’uso di terre fertili e la produzione di concimi da parte degli animali. Ed ecco che i problemi si scaricano attorno alla ricca zona agricola di Jos. Dove gli organizzatissimi Berom tengono testa da tempo ai nomadi musulmani: questi ultimi, paradossalmente, importati in origine dai cristiani inglesi per lavorare nelle miniere di stagno. Gli inglesi arrivarono persino a imporre dei re musulmani sui Berom.

L’analisi che abbiamo fatto è noiosa. Come fu noiosa la ricerca per scoprire cosa ci fosse dietro i titoli dei giornali che proclamavano in prima pagina, “Fucilati in Indonesia perché cattolici“.

Ma quanto è più eccitante fantasticare di eserciti di fanatici che in nome di Allah cospirano per sgozzarci tutti. Non per avere un indigene certification, ma per godersi il paradiso dei guerrieri.

Invece di riempire il testo di immagini di morti ammazzati, preferisco presentare un leggerissimo video Hausa, che vi dà un’idea gradevolmente kitsch di almeno una delle parti in conflitto.

I cadaveri sono tutti uguali, e puzzano di giornalista. I vivi, no.

Note:

[1] I Hausa e i Fulani sono in realtà due gruppi etnici diversi e le loro lingue appartengono a famiglie completamente diverse; ma a Jos si sono integrati inseparabilmente tra di loro.

[2] Non ci siamo improvvisati esperti di cose nigeriane: è che abbiamo trovato in rete un eccellente studio su tutta la faccenda: Philip Ostien, Jonah Jang and the Jasawa: Ethno-Religious Conflict in Jos, Nigeria. Siamo certi che anche Carlo Panella potrebbe trarre profitto dalla sua lettura. Per le parole difficili, lo aiutiamo noi.

[3] L’area storica dei conflitti tra sedentari e nomadi, nel Sahel, coincide con la fascia di piovosità tra i 500 e 750 mm annui.

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39 risposte a Jos, le stragi in Nigeria e le mistificazioni neocon

  1. mirkhond scrive:

    L’amara verità è che spesso all’origine di tragedie religiose o ideologiche, vi sono ragioni economiche, spesso di fame, e climatiche.
    La desertificazione dell’immensa area sahariana comincia nell’8000 a.C. con la fine dell’ultima era glaciale, e fu probabilmente la causa di una immigrazione preistorica verso la penisola iberica e gran parte dell’Europa occidentale. Alcuni studi ritengono, ad esempio, che i Liguri preromani fossero originari appunto dal Sahara.
    E tuttavia,il surriscaldamento provocato da attività umane, ma sul punto sappiamo che vi è una disputa accanita, ha drammaticamente fatto avanzare questa desertificazione.
    Ammetterlo però, vorrebbe dire ridimensionare i nostri appetiti e si sa purtroppo, che a parole la natura l’amiamo tutti, ma a costo di goderci anche il ricavato dal suo intenso sfruttamento.
    Quando si sente dire : ma che vogliono? perchè vengono qui? riferito agli immigrati, pochi associano queste tragedie all’immigrazione, ma anche se se ne fosse pienamente consapevoli, dubito che ciò genererebbe maggiore comprensione.
    L’interconnessione globale dei problemi oggi è tale, che trovare una soluzione è difficilissimo se non impossibile, almeno a viste umane.
    Siamo andati troppo avanti, ma asimmetricamente purtroppo e la lotta per la preservazione dell’ambiente è difficile da concilare con quella per il progresso.
    Il problema è sempre lo stesso, di fronte a tanta sofferenza, Dio tace e gli uomini litigano, litigano sul dolore….
    La sofferenza rende cattivi…..

  2. mirkhond scrive:

    Errata corrige

    Volevo dire che pochi associano la tragedia dell’immigrazione alla fame provocata dalla desertificazione e dal crollo delle economie delle aree da cui provengono gli immigrati.

  3. maria scrive:

    oggi vorrei ricordare l’11 settembre 1973

    maria

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Maria

      Leggo solo ora il tuo post. Non penso sia casuale se di Allende oggi ci si ricordi in pochi (e quei pochi pure male: come quella ma collega che mi chuiedeva chi fosse Pinochet).

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  4. PinoMamet scrive:

    I britannici
    sono grandi viaggiatori, e, quando si sono messi in testa di interessarsi alle culture altrui, in genere mi pare lo abbiano fatto meglio degli italiani;
    hanno una più distaccata simpatia che non ha bisogno del continuo raffronto con se stessi degli italiani (e che riconosco come abbastanza mio, essendo io un perfetto “integrato”: “vabbè, c’è anche a Campobasso, uguale!”);
    loro no, non pretendono di essere sempre fratelli “stessa faccia stessa razza”, e la loro curiosità, quando ce l’hanno, dà perciò frutti più interessanti, scoprendo cose che a noi resterebbero nascoste, perché ce le veliamo da soli con le nostre presunte somiglianze e parentele “all’amatriciana”
    (i pregiudizi positivi sono comunque pregiudizi).

    Tra l’altro, a differenza degli americani (e dei francesi e forse anche di noialtri) raramente danno l’impressione di considerare il loro sistema come il migliore in assoluto:
    è il migliore per loro, punto, gli altri facciano pure come hanno sempre fatto.

    Però qualche pregiudizio ce l’hanno anche loro, per esempio un certo gusto elitarista (esiste come parola?) e tradizionalista che li spinge a considerare che, appunto, il “come si è sempre fatto” vada automaticamente bene;
    e a ricrearsi nella testa un modello di “come si è sempre fatto” che poi, alla prova dei fatti, non corrisponde proprio alla realtà dei variatissimi popoli che hanno conosciuto nell’avventura coloniale, ma a una qualche proiezione della “Merry England”, con nobilotti di campagna sostanzialmente benvoluti e classi ereditariamente subalterne i cui singoli membri meritevoli potevano essere graziosamente cooptati nella classe superiore.

    Un pensiero in fondo feudale (non più germanico che celtico, ma divagheremmo troppo) che assomiglia solo superficialmente al nostro clientelarismo e familismo.

    Così la loro idea di “classe dominante” se la sono fatta rispecchiando le convenzioni inglesi, e cercando nei vari paesi qualcuno, per comandare, che non fosse un “contadino”: ecco quindi che si sono appoggiati ai vari clan di pastori, immaginandoseli come i corrispondenti degli Ariani primitivi (quelli che ci si figurava nell’Ottocento, non i parlanti Proto-Indoeuropeo, che dovevano essere tutt’altro paio di maniche) e perciò automaticamente “nobili”.
    Penso che in alcuni casi le differenze siano state acuite (gli Ndebele in Rhodesia, ai quali va l’anglosassone simpatia dello scrittore commerciale di bestseller Wilbur Smoth perchè contemporaneamente “nobili pastori”, e “più fedeli all’Impero Britannico”, rispetto agli Shona; che poi in realtà pare siano assai meno divisi tra loro e condividano clan totemici, parentele, e spesso lingua, alla faccia di quello che dice lui) o create ex novo (le “warrior races” in India) per rispettare questo sistema, mentale prima che politico.

    E così forse si spiega che gli immigrati minatori e piccoli commercianti Fulani abbiano dato, per volontà dei colonizzatori, dei “re” agli stanziali Berom.
    Avrebbero forse fatto lo stesso casino anche in Senegal, dove presso gli Wolof la classe più potente è quella di chi ha i campi di arachidi, non quella dei “nobili”(secondo gli europei) mandriani, ma dove l’amministrazione francese, sostanzialmente ugualitaria, ha funzionato meglio che altrove.

    Ciao!!

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per PinoMamet

      ”viaggiatori”

      Oggi gli Inglesi sono, credo, uno dei pochi esempi di aristocrazia funzionante. Cioè, c’e’ una massa di buzzurri quasi-hooligans il cui unico contatto ccn l’estero è la vacanza estiva passata a Marbella ad ubriacarsi, e c’e’ una ristretta minoranza di ricconi che trova molto interessante la cultura e spende fortune per mantenerla. (A Oxford c’e l’Ashmolean, un bel mueso creato dallo Earl di Ashmol, e una cartolina per turisti lo raffigura con la dicitura: ‘questo mueso NON è stato creato da Napoleone’). Poi c’e’ la quasi tragica upper lower middle class, quella del’Ispettore Barnaby, che vorrebbe fare come l’upper class ma scivola progressivamente nella lower (penso a quel bel film, ‘L’erba di Grace’), e che finisce per sfogare la frustrazione in un crescente sciovinismo. La loro vera superiorità è che non soltanto sono consci di questa disuguaglianza, ma ne vanno orgogliosi: non esiste la pauperofilia alla Pasolini. E sì, sono convinti che il loro sistema sia il migliore. Nella cultura umanistica, cfr. ad es. http://www.carmillaonline.com/archives/2010/09/003609.html. Per la cultura tecnica, un mio collega, anni fa, ha fatto il PhD in ingegneria a Cambridge. Tutti a ripetergli che era col sistema metrico inglese, non con quello decimale, che era stato progettato lo Shuttle. Fino al giorno incui lo Shuttle esplose. (Io personalmente l’ho vendicato costringendo una obesa commessa di pasticceria di Oxford a pesarmi duecentocinquanta grammi di cioccolatini, invece della mezza libbra che voleva darmi lei…:-) )

      ”Merry England”

      La Contea degli Hobbit di Tolkien è un esempio di questo Medioevo da burletta: una Tradizione da album di fumetti, una falsità tanto più pericolosa perchè suggestiva.

      Ciao!

      • PinoMamet scrive:

        Peggio degli inglesi però sono gli anglofili nostrani…

        ho appena letto il libro di P. Leigh Fermor sulla penisola del Mani; c’è grande simpatia per i greci di là e per i greci in genere, ma aleggia il sospetto che in fondo gli piacciano i manioti (o magnoti… credo antenati dell’insospettabile popolarissimo bidello Magnotta recentemente scomparso) soprattutto perchè, caso strano nella Grecia moderna, avevano una struttura sociale più o meno aristocratica (a modo loro).

        (a proposito per Mirkhond: nega recisamente, a parer suo, che l’elemento slavo abbia lasciato tracce significative in Grecia; secondo lui sono stati assoribiti totalmente, più o meno come i Longobardi in Italia;
        altra aggiunta: avevi confusi i manioti con gli tzakones, che sono un’altra roba anche se entrambi vantano origini spartane, mi ero scordato di dirtelo)

        Comunque la sua simpatia è di tipo quasi completamente diverso da quella che proverebbe il viaggiatore italiano tipo;
        nessuna “stessa faccia stessa razza”, anzi, penso che veda delel differenze tra la Grecia e l’Europa “moderna” anche dove proprio non c’erano.

        Ciao!!

  5. Francesco scrive:

    Miguel

    eppure quel tuo commentatore era stato attento a non citare la Nigeria (che pure ha anche problemi di tipo religioso) ma a focalizzarsi sui problemi che si incontrano in India, Pakistan, mondo arabo e Turchia.

    In effetti, l’uccisione del prete ITALIANO ha fatto parlare in ITALIA. Ma io rimango dell’opinione che un cristiano morto perchè cristiano in una terra in cui non c’erano altri motivi per ammazzarlo non faccia notizia.

    Ciao

    Francesco

    PS aspetto un tuo post sul referendum turco, avremo un liberismo islamico? impareranno a creare valore aggiunto? c’è speranza?

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Francesco

      Si vede che non leggi la stampa Genovese 🙂

      Oggi sul Secolo XIX c’e’ il titolo ‘Bruciata scuola cattolica in India. 14 morti’. Uno penserebbe a 14 martiri della fede di Roma, tipo Quo Vadis. Macchè: i morti sono Kashmiri musulmani schiacciati nella calca menre la polizia sparava e caricava una manifestazione di protesta contro il possibile rogo del Corano in USA. Il rogo della chiesa cattolica non ha fatto vittime e non c’entra con quei morti, ma il titolo faceva capire l’esatto contrario.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  6. PinoMamet scrive:

    “Ma io rimango dell’opinione che un cristiano morto perchè cristiano in una terra in cui non c’erano altri motivi per ammazzarlo non faccia notizia.”

    Non so di preciso cosa faccia notizia per te, Francesco, ma di uccisioni di cristiani e anche di soprusi ai loro danni (giusto ieri sera in TV parlavano del Pakistan) se ne sente parlare continuamente.

  7. mirkhond scrive:

    Per Pino Mamet

    Sui Maniates/Mainotti, leggiti una serie di articoli in internet : Mani A Guide and History di John Chapman, che credo che pure lui sia inglese.
    Lì troverai, soprattutto nella sezione History le prove che Mr. Chapman porta a FAVORE dell’origine meticcia e del lunghissimo bilinguismo dei Maniates durato fino al XV secolo.
    E’ chiaro che da quella data i Maniates divennero greci monoglotti, e tuttavia una delle loro cittadine principali, Areopolis, fino al 1830 si chiamava Tsimova!
    Le radici a senso unico, sono più un frutto del nazionalismo ottocentesco.
    ciao

  8. mirkhond scrive:

    ps. chi aveva confuso i Maniates con gli Tzakones?
    Comunque se leggiamo la cronaca di San Willibaldo di Eichstatt, vescovo franco in pellegrinaggio in Terra Santa negli anni 723-728, giunto a Monemvasia afferma che era “circondata da terra SLAVA”!
    ciao

    • PinoMamet scrive:

      Non so, pensavo fossi tu…
      ricordo che avevo citato il dialetto tzakoniko come sopravvivenza del dorico e tu (?) mi avevi risposto parlandomi degli insediamenti Slavi nel Mani, visto che l’argomento era interessante mi ero poi scordato la precisazione.
      Leggerò Chapman, tu dà un’occhiata alle argomentazioni di Fermor che una qualche validità a me pare la abbiano.

      Da lui ho scoperto che i maniati o manioti o appunto magnotti sono emigrati anche in Toscana (completamente assorbiti dalla popolazione locale senza lasciare traccia, una volta costretti a lasciare l’ortodossia) e a Genova e da lì in Corsica, dove Cargese mantiene una qualche identità greca e fino a metà xx sec. alcuni (pochissimi) vecchi ancora parlavano il dialetto del Mani con influenze cretesi.
      Oltre all’insediamento di cui mi dicevi tu, a fianco degli albanesi (non ricordo il nome del paese!)

      Ciao!! 🙂

  9. mirkhond scrive:

    Quanto al paragone con i Longobardi, se è vero che nell’VIII-X secolo la loro lingua germanica si estinse, è altrettanto vero però che pur assorbendo la lingua, o meglio i diversi volgari dei dominati (non credo che a Benevento e a Pavia si capissero se non per mezzo del latino), i Longobardi modificarono l’identità etnica dei popoli assogettati e con cui si fusero.
    Da quel periodo il termine longobardo designò alcune aree italiche come la Longobardia maior che comprendeva gran parte dell’Italia del nord, area molto più estesa dell’attuale Lombardia. Ad es, i coloni del Monferrato, dell’entroterra di Savona, di Parma e di Lucca che Normanni e Svevi chiamarono per colonizzare la Sicilia e darle un carattere franco-cattolico nell’XI-XIII secolo, chiamavano se stessi ed erano designati come “Lombardi”.
    Ma anche l’area dove sono nato e vivo io in epoca bizantina e almeno fino a Federico II era chiamata Longobardia minor.
    La scrittice romea Anna Comnena (1083-1153) per designare il Mezzogiorno continentale infatti, usa il termine Longobardia e Longobardi per designarne gli abitanti, cioè noi.
    Lo stesso fa Niceta Coniata (1150-55c.-1217).
    In epoca normanno-sveva i termini Longobardia e Puglia si equivalevano per designare quello che dall’epoca angioina sarebbe stato il Regno di Napoli, e cioè il Mezzogiorno continentale.
    Ciò quindi, indica più che un semplice assorbimento, una profonda fusione e compenetrazione tale da modificare l’onomastica etnico-regionale di intere aree italiane.
    ciao

  10. mirkhond scrive:

    Per Pino Mamet

    Nel Regno di Napoli i Maniates/Mainotti si insediarono nei comuni albanesi di Maschito e Barile nel Vulture in Basilicata, nel 1647 o 1675.
    Qui si assimilarono alla popolazione albanese e almeno a Barile, diventarono cattolici latini in quanto qui il rito greco-bizantino era stato soppresso nel 1630.
    Se stiamo però a quanto afferma lo scrittore Carlo Alianello nel suo romanzo L’Eredità della Priora, ambientato nel 1861-62, e molto accurato nella ricostruzione storica di quel periodo, a Barile gli Albanesi di origine mainotta non avevano ancora perso la memoria della loro origine, che Alianello, qui dando credito alle favole neoelleniche, crede puri greci antichi di stirpe spartana.
    Il personaggio mainotto del romanzo infatti, la contadina Maria Palumba parla poco e il suo compagno, un partigiano borbonico, attribuisce la laconicità di lei alle sue origini…laconiche!
    ciao

  11. PinoMamet scrive:

    Vabbè,
    aldilà dei romanzi in effetti qualche legame con gli Spartani i Mainoti pare ce l’abbiano davvero (con Nabide e la Lega dei Liberi Laconi più che Leonida, per intenderci);
    anche se tutto sommato è come quando si chiama un abruzzese “Sannita”; sì, c’è anche quella componente, ma è logico che popoli e discendenze pure non esistono.
    Altrimenti, che palle! 😉

    Lo stesso Fermor dice che, stante la libertà vera o presunta che i manioti hanno sempre proclamato di aver ottenuto dai turchi, si aspettava nel loro dialetto un minor numero di prestiti turchi; ma invano, il loro greco aveva infatti le stesse parole turche e veneziani degli altri
    (molti manioti hanno anche origini cretesi, comunque).

    Io resto comunque dell’avviso che nell’identità di un popolo la lingua, gli usi, le superstizioni ecc. siano più indicative di qualunque contributo genetico.

    Ciao! 🙂

  12. mirkhond scrive:

    Per Pino Mamet

    Lingua, usi, superstizioni e soprattutto ciò che uno CREDE di essere, come affermava Ernesto Sestan.
    ciao
    ps. forse lo sai, Micene o meglio il villaggio che ne continua l’insediamento antico, fino al 1830 si chiamava Charvati, cioè la forma più arcaica di Croati!

    • PinoMamet scrive:

      Sì, il numero di toponimi slavi in Grecia (poi ri-grecizzati) era davvero alto, e a conti fatti non penso sia stato solo un mero cambiamento di nome, come la mette giù Fermor (che cita i vari cambiamenti di toponimi inglesi): è probabile anzi che una popolazione che lasci così tanti toponimi non sparisca senza lasciare tracce anche negli usi, nelle credenze ecc. ecc.
      Specificamente al Mani, si sa che la popolazione slava visse a lungo a fianco di quella ellenofona, e probabilmente furono l’ortodossia e la pura e semplice sopravvivenza a farle perdere la lingua.

      Nonostante Fermor sia decisamente filelleno (e anzi, nella sua smania di mostrare la continuità dei greci di oggi con quelli antichi, si “stupisce” per la sopravvivenza presso di loro di superstizioni antiche; che però si trovano identiche in tutta Europa, dal Portogallo al Galles…) non può fare a meno di notare che gli abitanti dell’Eubea meridionale erano accusati di essere kallikantzaroi (dei “centauri”, insomma) forse perchè fino a non troppo tempo prima erano di lingua albanese…

      Un’altra nota sull’autoidentificazione dei greci di oggi con quelli antichi: parlando con un popolano a proposito dei canti funebri del Mani, il popolano gli risponde con noncuranza “sì, è l’antico tetrametro trocaico acatalettico…”

      Allora: sì, sarà l’antico tetrametro, e quindi la continuità “vera” c’è;

      e no, di solito i popolani non si occupano di metrica, neanche se sono greci. Il fatto è che la Grecia è stata invasa, dal Settecento in poi, da una serie di appassionatissimi filelleni dell’Europa occidentale, che tanto l’hanno menata con la bellezza della cultura greca classica, che alla fine hanno convinto anche i greci stessi… 😉
      che si sono immediatamente omologati.

      Ciao!

  13. mirkhond scrive:

    Sempre per Pino Mamet

    Il termine Morea che dal medioevo indica l’antico Peloponneso, secondo la storiografia “greca” moderna deriverebbe da un tipo di gelso di color scuro, mentre per il bizantinista rumeno Nicolae Jorga deriverebbe dal termine slavo meridionale More cioè mare.
    Quindi la Morea sarebbe il luogo circondato dal mare come effettivamente è.
    ciao

  14. mirkhond scrive:

    Nel repertorio Die Slaven in Griechenland, il linguista Max Vasmer ha elencato per la sola Morea 429 toponimi di villaggi, montagne e fiumi di matrice slava.
    es. Charvati (Micene) già citata, Goritsa presso Mantinea, Nikli che prese il posto di Tegea, Veligosti presso Megalopoli, e ancora Tsimova (Areopolis) già citata, Miniakova sempre nel Mani, Akova ecc.
    Nel greco moderno pare che vi siano circa 300 vocaboli di origine slava; sono termini relativi alla sfera domestica, rurale, agricola e pastorale e ciò indica che si trattava di gente umile.
    Riguardo all’assimilazione degli Slavi, questa iniziò nel X secolo e nel Mani come già detto, il bilinguismo durò fino al XV secolo.
    Perchè quest’assimilazione fu possibile?
    Probabilmente perchè, dopo l’invasione slava del VI-VII secolo, almeno le coste e alcune zone interne come parte dell’Arcadia, erano rimaste grecofone e quindi si dovette ben presto formare una popolazione imbarbarita e (ri)paganizzata, ma bilingue e ciò forse consentì al clero ortodosso di poter (ri)evangelizzare queste aree DIRETTAMENTE in una qualche forma di demotico, senza ricorrere ad una qualche forma di glagolitico o cirillico come per le altre aree slave.
    Alcuni studiosi come Toynbee ipotizzano invece l’invio massiccio di coloni anatolici da parte degli imperatori romei e costoro avrebbero “rigrecizzato” la “Grecia” dopo la sottomissione degli Slavi nel IX-X secolo.
    Tuttavia questa teoria non tiene conto che i coloni anatolici erano spesso armeni e siri ortodossi, e stando alle fonti, vennero stanziati soprattutto in Tracia.
    L’unico esempio di colonia anatolica che conosco, fu un insediamento di Mardaiti, popolazione presumibilmente semitica del Monte Amano tra Cilicia e Antiochia e forse collegabili agli attuali Maroniti libanesi, che l’imperatore Giustiniano II (685-695 e 705-711), stanziò a Monemvasia, proprio a guardia dell’entroterra in mano slava.
    Per cui senza escludere naturalmente apporti coloniali anatolici, ritengo che l’ipotesi del bilinguismo sia quella più giusta per spiegare l’assorbimento degli Slavi nell’ethnos “greco”.
    ciao

  15. PinoMamet scrive:

    Riguardo alla Morea,
    il gelso qua si chiama in dialetto, più o meno, “mor”, e ho sempre saputo che prendesse il nome dalla regione geografica di provenienza (non è autoctono, ma impiantato in epoca ormai remota per favorire tentativi di allevamento del baco da seta, se ricordo bene, poi “naturalizzato”; tant’è vero che lo si trova- più spesso in passato- allineato in lunghe file lunghe le strade o i canali di irrigazione);
    forse i greci di oggi avranno pensato bene di fare un’inversione a U dell’etimologia per evitare uno sgradito nome slavo per il Peloponneso…

    per Nikli- Tegea, è proprio la città di provenienza dei primi “aristocratici” del Mani, poi sempre chiamati “nikliani” (anche quando si era persa coscienza dell’origine del nome).

    Per massicce che fossero le migrazioni degli Slavi, credo tuttavia che la maggioranza della popolazione restasse ellenofona, più o meno come anche nella Longobardia (o nelle Longobardie) italiana la maggioranza della popolazione restò latinofona, tant’è vero che noialtri si parla italiano, e non qualche lingua germanica; certo i prestiti germanici ci sono eccome, ci mancherebbe.

    Ma se la maggioranza della popolazione avesse parlato slavo, penso sarebbero stati evangelizzati in slavo, come i Bulgari; tanto più che la lingua e la cultura ellenica erano ormai legate inscindibilmente alle memorie pagane.

    E in Romania, dove pure i nobili spesso erano “greci” fanarioti (li virgoletto perchè molte volte non erano affatto greci di origine, ma erano da tutti riconosciuti come tali) la popolazione restò comunque latinofona

    (semmai diede un ulteriore repulisti alla terminologia slava nell’Ottocento, per essere più vicina all’Europa occidentale e mettere in evidenza la più prestigiosa origine latina, prendendo a modello il francese e l’italiano… e questo è in effetti un parallelo con la situazione greca).

    Sempre un piacere parlare con te 🙂

    Ciao!

  16. mirkhond scrive:

    Per Pino Mamet

    Anche per me è un piacere parlare con te e con altri qui nel forum, di argomenti così affascinanti….
    Riguardo ai Longobardi, ricordo che Messori (ancora lui!), anni fa in un suo libro, Pensare la Storia, riferì di una considerazione del grande studioso settecentesco Ludovico Antonio Muratori, corregionale tuo e di Messori stesso, autore di quelle monumentali raccolte di documenti ancora oggi insostituibili per la storia d’Italia che furono le Antiquitates Italicae Medii Aevi e gli Annali d’Italia, e che anch’io ho consultato per la mia tesi di laurea.
    Muratori, secondo Messori, era convinto che se l’Italia non fosse stata la sede del Papa, avrebbe conosciuto una storia etno-linguistico-religiosa molto diversa, e cioè l’Italia a nord di Roma sarebbe diventato un paese germanofono, magari longobardofono oppure svevo-walser o bavarese meridionale, mentre l’Italia a sud di Roma sarebbe divenuto un paese arabo-magrebino e a maggioranza musulmano.
    Messori, a sostegno della sua in parte molto discutibile tesi, si è appoggiato al fatto che fin dal V-VI secolo dopo Cristo vi è stata una lenta ma costante germanizzazione di terre latinofone dal Danubio alle Alpi.
    Infatti nel Norico Ripense (la regione di Vienna) vi erano infatti gruppi latinofoni ancora nel IX secolo, o il Tirolo che fino al XIII secolo era prevalentemente ladino (nella Val Venosta questo idioma si estinse agli inizi del XIX), o ancora il Grigioni, la Rezia come veniva ancora chiamata in epoca carolingia, che a partire dal 1280 ha conosciuto una lenta ma inesorabile germanizzazione (Maienfeld, la cittadina al centro della storia di Heidi si chiama Maiavilla in romancio; gli antenati della mitica bambina alpina dicevano al loro nonno bun dì e buna saira e non guten morgen o guten abend!).
    Ancora, sempre dal XIII secolo compaiono nuclei di tedeschi anche sul versante alpino italiano, come i Walser (Vallesi) svevi in Val Formazza, a Macugnaga, in Val Sesia e persino in Val d’Aosta (Gressoney, Issime), così come i Cimbri in Trentino e alle porte di Verona.
    Ora, secondo Messori, la presenza permanente del Papato a Roma, avrebbe impedito questo drang nach suden, così come la magrebinizzazione di al-Ankabarda, la Longobardia minor, la mia terra.
    Che ne pensi?
    ciao

  17. PinoMamet scrive:

    Beh,
    sulla progressiva germanizzazione di terre latinofone è difficile dargli torto perché è un dato di fatto;
    le conclusioni che ne trae però sono un po’ affrettate e penso eccessive.

    Del resto non sono state le volkerwanderung dei Goti o dei Longobardi a portare il tedesco (o meglio i dialetti alemanni) alle porte di Verona, ma più pacifiche (e più tarde) lente e continue infiltrazioni di comunità agricole, che hanno mantenuto la lingua tanto a lungo quanto hanno potuto mantenere uno stile di vita sostanzialmente autonomo.

    Logico che a nord delle Alpi, a contatto con una maggioranza di popolazioni germaniche siano stati i latini, perolopiù, a uniformarsi a loro;
    qui in Italia è avvenuto in genere il contrario.

    Ma soprattutto non vedo come in tutto questo c’entri il Papato: i gruppi di agricoltori tedeschi che si spostavano al Sud lo facevano per motivi che non avevano nulla a che fare con la religione, e mi pare che la gerarchia cattolica fosse abbastanza indifferente alla lingua quotidiana dei fedeli: parlassero veneto o dialetto tedesco, poco cambiava per il vescovo.

    Casomai ci sarebbe stata una germanizzazione del nord Italia se queste migrazioni fossero state assai più massicce.

    Ancora più campata per aria mi sembra la prospettata “arabizzazione” del Sud Italia; potrei immaginarmi un fenomeno simile ai Mozarabi spagnoli solo se il dominio arabo della Sicilia e di altre parti del Meridione fosse durato più a lungo.

    La popolazione araba (o berbera) o arabizzata della Sicilia (ma anche della Puglia) è di sicuro in parte rimasta in loco (dove ha lasciato nomi di oggetti e toponimi, ma anche nomi di quartieri o villaggi ricordati come abitati da “saraceni” ben dopo la fine del dominio arabo) ma è finita assorbita dal resto dei latinofoni senza troppi problemi.

    Insomma, Messori esagera un po’ per tirare l’acqua al suo mulino 😉

  18. mirkhond scrive:

    Per Pino Mamet

    A quale altro gruppo non “greco” appartenevano i Fanarioti di Istanbul? Vlachi?Albanesi ortodossi?
    ciao e grazie per le delucidazioni.

  19. PinoMamet scrive:

    Penso che il popolino di lingua greca fosse semplicemente il discendente dei “romei” di Bisanzio, quindi, quanto alle origini, va a sapere…

    per le famiglie nobili, i Cantemir erano moldavi di origine, i Callimachi anche moldavi (o valacchi, non saprei dirti con precisione ora, comunque “romeni”), i Ghica albanesi, gli Ypsilanti greci del Mar Nero… e sono quasi sicuro di ricordare almeno una famgilia che avesse o vantasse origini italiane (o forse mi confondo)…

    insomma, in vero stile bizantino/romano le radici etniche contavano decisamente poco.

    Ciao!

  20. PinoMamet scrive:

    Penso che il popolino di lingua greca fosse semplicemente il discendente dei \"romei\" di Bisanzio, quindi, quanto alle origini, va a sapere…

    per le famiglie nobili, i Cantemir erano moldavi di origine, i Callimachi anche moldavi (o valacchi, non saprei dirti con precisione ora, comunque \"romeni\"), i Ghica albanesi, gli Ypsilanti greci del Mar Nero… e sono quasi sicuro di ricordare almeno una famgilia che avesse o vantasse origini italiane (o forse mi confondo)…

    insomma, in vero stile bizantino/romano le radici etniche contavano decisamente poco.

    Ciao!

  21. mirkhond scrive:

    Per Pino Mamet

    Credo che i Cantemir fossero di origine tatara o cumana (Khan Temir), e in Russia esiste il cognome Temirkhanov che credo abbia la stessa origine.
    Ciao e grazie ancora!

  22. mirkhond scrive:

    Sempre per Pino Mamet

    A quel che mi risulta, il governo dei romei fanarioti in Valacchia e Moldavia si fece più consistente agli inizi del XVIII secolo, quando, a seguito della perdita dell’Ungheria presa dagli Asburgo e dall’avanzata della Russia di Pietro il Grande, il sultano non si fidava più dell’aristocrazia moldava e valacca, a cui i Cantemir erano legati. Infatti l’ultimo gospodaro di questa famiglia, Dimitrie fuggì in Russia in esilio nel 1711 e la sua famiglia non ebbe più alcun ruolo nel governo dei principati rumeni.
    Fu tra il 1711 e il 1821 che il governo dei fanarioti raggiunse l’acme, e terminò perchè alcuni di essi come Michail Sutsòs (Michele Sutu in Rumeno) nel 1821 aderirono all’Eteria e aiutarono l’insurrezione antiottomana, appoggiata dalla Russia, di due altri fanarioti, i fratelli Ypsilanti oriundi di Trebisonda come hai giustamente ricordato.
    Insurrezione fallita in Valacchia e Moldavia, ma che portò il Sultano a servirsi di gospodari rumeni come il principe Alessandro Cuza che nel 1861-62, riunì nelle sue mani il governo dei due principati creando il nucleo dell’attuale stato rumeno.
    Ah, inoltre i gospodari fanarioti erano scortati da truppe albanesi, anche musulmani, e furono questa specie di “guardie svizzere” ad innalzare per primi il vessillo romano-bizantino della rivolta del 1821 che non iniziò a Patrasso il 25 marzo, ma a Bucarest e a Jasi.
    ciao

  23. PinoMamet scrive:

    Mo’ che mi ci fai pensare,

    ricordo un racconto di Pushkin, di cui mi sfugge il protagonista ma di certo si parlava di uno degli Ypsilanti e delle lotte in Bessarabia tra turchi e “arnauti”.

    Ciao!! 🙂

  24. mirkhond scrive:

    Per Pino Mamet

    Il racconto di Pushkin si chiamo Lo Sparo del 1830, ed il suo protagonista, Silvio, combatte per Alessandro Ypsilanti nel 1821.
    ciao

  25. PinoMamet scrive:

    Aspetta,
    Lo Sparo lo ricordo (è quella dove c’è un tale che torna dopo anni per continuare un duello interrotto?), solo non mi ricordavo che c’entrasse Ypsilanti anche lì!
    Grazie per avermi rinfrescato la memoria! 🙂

    Quella che dico io è un’altra e ha un nome un po’ “etnico”… dovrò andare a cercare il libro, mi sa! 🙂

  26. PinoMamet scrive:

    Trovata, banalmente su Wikipedia:

    Kirdjali, o Kirdzali. 🙂

  27. mirkhond scrive:

    Per Pino Mamet

    Cercherò di procurarmi Kirdzali (allusione al multietnico mucchio selvaggio brigantesco che devastò i Balcani ottomani nel 1792-1804?).
    Sull’insurrezione del 1821 ti consiglio Alì Pascià di Tepelena Edizioni Argo, in cui questi moti sono visti da una prospettiva albanese e quindi ottomana.
    ciao

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  29. mirkhond scrive:

    Dimenticavo
    l’autore del libro su Alì Pascià è Sabri Godo, storico e uomo politico albanese, che Ritvan conosce bene.
    ciao

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