Quindici missili al giorno

Dopo mesi che i palestinesi hanno proclamato una tregua unilaterale, questa è la vita che si fa in Palestina.

Se qualcuno osa commentare che questo articolo è "di parte", gli cancellerò il commento: certo che è di parte. E’ dalla parte che non ha i missili, non ha i media, non ha ambasciatori petulanti, non ha editorialisti che diventano isterici per un fischio o un pezzo di carta che viene bruciato.

Simona Masini non scrive con il mio distacco.  E fa bene.

Miguel Martinez

http://www.piazzaliberazione.it
 

Pubblicato: 22 aprile 2006

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Soluzione finale: Gaza

(di fame, di sete, sotto i bombardamenti, non importa come: l’importante è che muoiano)

 
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di Simona Masini Per Piazza Liberazione.it
proprietà dell’autore
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SOLUZIONE FINALE: GAZA (di fame, di sete, sotto i bombardamenti, non importa come: l’importante è che muoiano)

di Simona Masini

 

A Gaza manca l’acqua. In particolare tutto il nord della Striscia (Beit Hanoun, Beit Lahiya, Al Sakkah, Zemmo, Al Magheir, Al Sifa, AL Anatra, Al Qarya, Umm Al Maser) è senz’acqua, senza elettricità e senza linee telefoniche da una settimana, e nel resto della Striscia le cose non vanno certo meglio.

Tutte le infrastrutture sono state distrutte dai bombardamenti e quelle che potrebbero essere ripristinate non è possibile ripararle a causa dei continui bombardamenti e anche perché manca il materiale necessario poiché i valici sono chiusi.

Gaza come il ghetto di Varsavia. Gli israeliani come i nazisti. La storia non solo si ripete ma si ribalta.

Manca il cibo, i pescatori non possono pescare perché le navi israeliane gli sparano addosso, migliaia di polli sono stati uccisi per paura dell’aviaria che, il mese scorso, ha contagiato 11.000 tacchini in un kibbuz vicino a Gaza. Le merci marciscono nell’attesa che vengano aperti i passaggi di confine che rimangono chiusi.

Mancano le medicine. 

E’ crisi umanitaria.

Non si mangia, non si beve, non si dorme per le bombe o gli attacchi sonori.

Il milione e quattrocentomila palestinesi di Gaza vivono al di sotto della soglia di povertà.

La disoccupazione è salita al 45-48% e chi lavora non riceve salario a causa del blocco imposto da Israele, Usa e Ue.

Nelle ultime 3 settimane l’escalation militare ha causato decine e decine di morti e centinaia di feriti. Gli ospedali sono pieni ma non si sa come curare i feriti o i malati cronici perché non ci sono medicine.

L’unione dei medici algerini ha inviato, pochi giorni fa, 20 tonnellate di materiale medico: speriamo che gli israeliani non li requisiscano, non sarebbe la prima volta.

Gli obitori sono pieni, ma per Gaza non è una novità: già nel Maggio 2004, durante "l’operazione arcobaleno", c’erano stati così tanti morti che i cadaveri venivano adagiati sui pavimenti o nei contenitori per le patate e i pomodori.

Molti cadaveri rimangono all’aperto, molti feriti non vengono soccorsi perché sparano alle ambulanze. Si sta rischiando l’epidemia.

A Rafah, il 7 Aprile scorso, pioveva un missile ogni 10 secondi. 3 missili hanno colpito un’auto civile parcheggiata di fronte agli uffici dei Comitati di Resistenza Popolare.

Eyad Adu El-Einen, uno dei capi dei comitati, è rimasto ucciso all’istante insieme al figlioletto Bilal, 5 anni. Con loro sono morte altre 4 persone e i feriti erano 15.

Dico "erano" perché nei giorni seguenti sono deceduti. I loro corpi presentavano mutilazioni tali che il riconoscimento è stato difficilissimo.

Il giorno seguente sono rimasti uccisi 8 palestinesi.

In 2 giorni hanno sganciato su Gaza più di 900 missili.

In una settimana, solo i tank posizionati nella zona cuscinetto a nord della Striscia, hanno lanciato più di 2300 razzi.

La Resistenza Palestinese ha scagliato 10 Qassam e 1 Katyusha senza provocare danni a cose o persone (lasciatemelo dire: PURTROPPO).

Bombardare le aree più densamente popolate è un preciso ordine di Mofaz, il ministro della guerra israeliano.

Nulla accade per caso, né la distruzione di infrastrutture civili (luce, acqua…case!) né il ridurre un popolo alla fame: punizioni collettive progettate a tavolino per punire chi ha scelto da chi farsi governare.

Hanno distrutto le serre, raso al suolo i campi coltivati, bersagliato le case, le officine, i negozi, le scuole, le sedi governative, persino un campo da calcio.

Hanno ucciso il bestiame, in un giorno 43 vacche.

Stanno bombardando per terra, per mare, per aria. Se esistesse qualche altro elemento bombarderebbero pure da quello.

Nella notte dell’11 Aprile, a Beit Lahyia, è stata colpita e distrutta un’abitazione civile dove viveva una famiglia di 15 persone.

Una bambina di 8 anni è morta, si chiamava Rahil Ghaban. Altri 13 membri della famiglia sono rimasti gravemente feriti: la madre incinta e i 12 figli dagli 1 ai 19 anni.

Il suo fratellino, Ahmed, 10 anni, ha perso un occhio.

Si è salvato solo il padre che è stato contattato da un funzionario dell’esercito israeliano che gli ha fatto una proposta: per compensare l’omicidio della piccola e la distruzione della sua casa gli ha offerto un lavoro in Israele.

L’uomo ha rifiutato. Ha risposto che il sangue di sua figlia non è barattabile.

Quel giorno ci sono stati altri 10 morti e molti, moltissimi feriti, in varie zone della Striscia.

Pacifisti israeliani, in particolare il gruppo Gush-Shalom di Ury Avnery, hanno manifestato in segno di protesta a Jaffa vicino alla Moschea Hassam Bek e a Tel Aviv davanti all’ambasciata degli Stati Uniti (immagini della manifestazione: http://gush-shalom.org/pics/demo-12-4-06/ ).

I quotidiani israeliani si sono occupati molto marginalmente dell’omicidio di Rahil e del genocidio di Gaza. L’edizione di "Yediot Ahronot" del 12 Aprile ha raccontato la storia di Nelly, morta nel kibbuz Zmiin probabilmente per un infarto causato dal frastuono dei continui bombardamenti a Gaza. Con tutto il rispetto e l’incondizionato amore che provo per la sua razza…..Nelly era un cane.

Nei giorni seguenti – anche ora, mentre sto scrivendo – i bombardamenti non si sono mai fermati.

Non è stata – e non è – la solita rappresaglia dopo l’attentato suicida del 17 Aprile scorso, Gaza è sotto assedio da settimane.

La media è di 15 missili sganciati al minuto.

La Palestina è sempre più sola, sempre più abbandonata a se stessa.

Persino Amnesty International ha avuto il coraggio di condannare l’attentato suicida di Tel Aviv ma sono mesi e mesi che non spende una parola per i crimini di Israele.

 

 

…NEANCHE IN CISGIORDANIA SI SCHERZA!

Di Simona Masini

 

Nablus, il campo profughi e i villaggi vicini sono sotto assedio e completamente isolati da oltre 2 settimane.

Un’intera famiglia di 3 adulti – tra cui una donna al quinto mese di gravidanza – e 11 bambini tra i 2 e i 12 anni sono stati sequestrati dall’esercito israeliano e trascinati al nono piano di un edificio occupato e utilizzato come postazione militare.

2 di loro erano feriti ma è stato impedito alle ambulanze e agli attivisti internazionali qualunque tipo di soccorso. Tutti e 14 sono rimasti senza cure né cibo per 2 giorni; giorni durante i quali i soldati sparavano dalle finestre sul campo profughi, e gli intimavano il silenzio sotto la minaccia delle armi.

Una notte, Nazra Zuhi ha sentito arrivare l’esercito. Spaventata, ha chiamato il fratello Fathallah chiedendo aiuto. Fathallah è subito corso dalla sorella con la sua auto insieme ad un nipote e ai suoi 3 figli. Non appena giunti vicino alla casa, i soldati li hanno accolti sparando e colpendoli tutti.

Uno dei figli, Wafa Ya’is 22 anni, è uscito dall’auto sperando di riuscire a portare in salvo i feriti. Un militare l’ha freddato con un colpo al cuore. Era ferito e disarmato.

In 3 settimane ci sono state oltre 300 incursioni in tutta la Cisgiordania.

Circa 30 palestinesi sono stati uccisi, tra questi un ragazzo di 15 anni, Mohammed Hassan di un campo profughi vicino Qalqiliya.

Mohammed era insieme ad un gruppo di coetanei quando hanno sentito arrivare le jeep e sono scappati. I militari hanno sparato colpendo Mohammed con 5 colpi alla schiena, uccidendolo.

Sempre a Nablus, è stato ucciso un 13enne palestinese che lanciava pietre: è stato preso e giustiziato con un colpo alla nuca. Di questo episodio ha parlato persino il "Washington Post".

I feriti sono quasi 300, tra cui un cameraman del "French Press" che ha testimoniato come gli israeliani sparassero alle ambulanze per impedire i soccorsi; 4 giornalisti dell’ "Associated Press", rimasti feriti dopo che l’esercito israeliano ha sparato contro la loro auto che recava ben visibile il contrassegno "PRESS". Gli sono state confiscate le telecamere; un giornalista statunitense.

Al villaggio di Sabastia (Nablus) il 2 Aprile scorso, è stato imposto il coprifuoco perché i coloni ebrei potessero celebrare un matrimonio in un sito archeologico del villaggio risalente al periodo romano (del quale, naturalmente, rivendicano la proprietà).

E’ impossibile contare gli arresti perché è iniziata una campagna volta ad arrestare le madri e le mogli dei palestinesi ricercati da Israele. Si tratta, comunque, di oltre 300 persone.

Le città maggiormente colpite sono Nablus, Jenin, Hebron, Ramallah, Qalqiliya, Tubas, Tulkarem e tutti i villaggi e i campi profughi vicini a queste città.

Non fanno eccezione Betlemme e i villaggi e campi profughi vicini.

Ai cristiani di Betlemme e ai pellegrini giunti a migliaia da ogni parte del mondo, è stato proibito raggiungere Gerusalemme. Hanno celebrato la passione, la morte e la resurrezione di Cristo nel bantustan Betlemme.

Non è stata permessa neppure la tradizionale processione per la domenica delle palme perché, proprio in quella data, gli studenti di un’università ebraica avevano programmato un weekend di studi sul giudaismo.

Oltre alle grandi manovre "dell’esercito di Dio", anche i "coloni eletti da Dio" hanno fatto gli straordinari.

2 attivisti dell’EAPPI (un’associazione internazionale che si occupa di accompagnare a scuola i bambini palestinesi proprio per difenderli dagli attacchi dei coloni) Karin Leier, tedesca, e Tore Ottersen, norvegese, e 3 volontari del Christian Pacemaker Team sono stati aggrediti da 15 giovani coloni che si sono diretti verso di loro urlando: "Vi ammazziamo!", quindi li hanno colpiti con pietre e bottiglie. Solo pochi giorni prima, Silvana Hogg, cittadina svizzera, dell’EAPPI, era rimasta ferita alla testa da una bottiglia di vetro lanciatale da un colono.

Questi coloni fanno parte dell’insediamento ebraico "beit haddassah", vicino Hebron.

In entrambi i casi l’esercito israeliano era presente e non è intervenuto.

Una decina di coloni dell’insediamento ebraico "kiryat arba" ha sradicato 60 piante di ulivo che erano state piantate solo il giorno precedente da palestinesi e volontari internazionali. Si sono portati via le piante e le hanno ripiantate nella loro colonia.

E’ accaduto in un villaggio vicino Hebron.

Un gruppo di coloni dell’insediamento ebraico "manoha" ha aggredito un ragazzo palestinese di 18 anni che stava portando le sue pecore al pascolo in un villaggio vicino Nablus. Il ragazzo è stato pestato a sangue e il suo gregge ucciso a coltellate.

Coloni dell’insediamento ebraico "sousia" hanno aggredito Ibrahim al-Nawaj’a e suo figlio Amal di 6 anni. Stavolta l’IOf è intervenuto……ma per dare man forte ai coloni!

Li hanno picchiati a sangue e gli hanno confiscato la terra coltivata, 2 Kmq.

E’ accaduto a Yatta, vicino Hebron.

Nella Valle del Giordano, coloni dell’insediamento "roatam" si sono appropriati di altra terra palestinese e l’hanno circondata con il filo spinato.

A Tel Rumeida, vicino Hebron, un ragazzo palestinese stava andando a scuola quando è stato aggredito da 5 coloni e ferito gravemente al torace con un oggetto metallico appuntito, una sorta di trapano.

Sempre a Tel Rumeida una colona ebrea ha aggredito un bambino, gli ha aperto la bocca con la forza e gli ha spaccato i denti con una pietra; una donna incinta (palestinese, ovviamente) è stata aggredita dai coloni e ha perso il figlio che stava attendendo. L’esercito era presente, la donna ha chiesto aiuto disperatamente ma non soltanto non è intervenuto ma ha impedito l’intervento degli attivisti internazionali.

In California sono in corso seminari sulla violenza dei coloni ebrei nei confronti dei palestinesi e delle associazioni di solidarietà internazionali.

 

 

ISMAIL HANEYYA SI CONGRATULA CON PRODI

Di Simona Masini (testo e traduzione)

 

Ieri (19 Aprile, ndr) Ismail Haneyya, Primo Ministro palestinese che risiede a Gaza e non può muoversi da lì – insieme ad altri 9 ministri residenti anch’essi nella Striscia – neppure per le attività parlamentari (sono ricorsi alla videoconferenza persino quando è stata votata la fiducia al nuovo governo e quando hanno giurato fedeltà) perché Israele non glielo permette, ha telefonato a Prodi per congratularsi per la vittoria alle elezioni.

Lo ha ringraziato per gli appelli di Prodi a rispettare le democratiche decisioni prese dal popolo palestinese e per aver rimarcato i diritti dei palestinesi e della Palestina. Lo ha ringraziato per il suo lavoro di mediazione all’interno dell’Ue e con gli Stati Uniti per porre fine al blocco economico.

Haneyya  ha manifestato a Prodi la volontà di pace del popolo palestinese, pace che potrà essere raggiunta solo con la fine dell’occupazione militare israeliana e con il riconoscimento, da parte di Israele, dei diritti dei palestinesi affermati anche dalle risoluzioni del consiglio di sicurezza dell’Onu.

Prodi si è dichiarato dalla parte dei palestinesi e ha affermato di appellarsi alla comunità internazionale perchè i diritti inalienabili del popolo palestinese vengano finalmente rispettati, come il diritto ad un governo eletto democraticamente.

Prodi, nel ringraziare Haneyya, ha assicurato che l’Italia avrà un ruolo determinante nella risoluzione della questione palestinese.

 NB: questa è soltanto una traduzione di quanto riportato da un sito palestinese. In realtà le cose sono ben diverse! O sono le prime balle del governo Prodi, o di vero c’è soltanto la telefonata di Haneyya. Non mi ricordo una sola parola di Prodi a favore della Palestina e tantomeno contro la politica di sterminio israeliana. In compenso, mi ricordo perfettamente della visita di cortesia che Prodi (il maggio dell’anno scorso) voleva fare a Sharon insieme a Fassino e Veltroni, e che è saltata grazie ad un’importante manifestazione fatta davanti alla sede dell’Unione dai vari gruppi di solidarietà con la Palestina (e che per questo, Diliberto è stato linciato dalla stampa, in particolare dal quotidiano della margherita), poi a Sharon è venuto un coccolone quindi non se n’è fatto nulla. Ricordo anche le affermazioni entusiastiche di fronte al "ritiro" di Israele da Gaza, la riabilitazione di un mondo volontariamente cieco di Sharon, che da criminale di guerra qual è è diventato improvvisamente la colomba della pace. Come persone che si occupano di politica per professione possano aver creduto a questa favoletta resta un mistero. Ricordo la paradossale fiaccolata pro-Israele alla quale (a parte il PdCI in toto e   il PRC tranne Folena) ha partecipato TUTTA l’Unione; ricordo dell’adesione di Fassino e dei DS a "sinistra per Israele", movimento dichiaratamente sionista. Insomma: mi sono persa qualche puntata della fiction Italia, o c’è qualcun altro che ci piglia per coglioni senza dichiararlo apertamente?

L’Europa, checchè ne dica Prodi, ha di fatto delegittimato la democrazia e legittimato il terrorismo di stato. Siamo "servi dei servi" perché servi degli Usa che sono servi di Israele e delle lobbies ebraiche. Non è un mistero che tutte le guerre si decidano a Gerusalemme.  

 

Territori Palestinesi: MSF rifiuta il ruolo di "palliativo sociale" delle politiche USA e UE.
COMUNICATO STAMPA DEL 13/4/2006

 

Gerusalemme/Roma, 13 Aprile 2006 – Canada e Stati Uniti, seguiti dall’Unione Europea, hanno deciso di sospendere gli aiuti finanziari all’Autorità Nazionale Palestinese in seguito alla vittoria di Hamas alle elezioni legislative, tenutesi lo scorso gennaio nei territori palestinesi. Nonostante ciò i governi hanno promesso, per continuare ad aiutare la popolazione a soddisfare i bisogni essenziali, di ridistribuire parte di questi fondi alle Nazioni Unite o ad altri organismi di aiuto internazionale compensando così le conseguenze umane e sociali di queste sanzioni. Medici Senza Frontiere (MSF) considera questa proposta inaccettabile.

MSF è preoccupata per il futuro socio-economico di questa popolazione già estremamente provata da anni di conflitto e occupazione. Esiste il pericolo reale che la situazione peggiori soprattutto nella Striscia di Gaza dove circa 1,4 milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà. I bombardamenti dell’esercito israeliano sono intensi (da venerdì scorso si registrano dai 100 ai 300 attacchi al giorno) e causano molte vittime tra i civili. Inoltre a causa della chiusura frequente di Karni, il principale punto di transito per le merci, si registra la scarsezza di alcuni beni di base.

Se la decisione di sospendere l’aiuto spetta agli stati, gli attori umanitari non possono diventare un "palliativo sociale" di quelle misure ritorsive che danneggiano l’intera popolazione. Inoltre gli attori umanitari non hanno né la competenza, né le risorse o la responsabilità di sostituirsi all’Autorità Palestinese per assicurare l’erogazione dei servizi sociali, amministrare ministeri e organi pubblici o per pagare i salari dei funzionari. Non spetta alle agenzie umanitarie assicurare che i bisogni base della popolazione che vive nei Territori Palestinesi siano coperti. Questa responsabilità, in accordo con la quarta Convenzione di Ginevra, deve essere presa in carico totalmente dalla forza di occupazione ovvero lo Stato di Israele.

La "strumentalizzazione" e la confusione dei ruoli e delle responsabilità mettono in pericolo l’indipendenza delle organizzazioni non governative in un contesto già estremamente instabile. Il deterioramento delle condizioni di sicurezza, così come i recenti rapimenti di personale internazionale, hanno già costretto MSF ad evacuare diverse volte le équipes dai programmi di Nablus, Hebron e Gaza.

MSF ha deciso di rivedere ed adattare le sue operazioni nei Territori Palestinesi nel timore di un drastico peggioramento delle condizioni di vita della popolazione,. MSF riafferma a tutti i governi la sua indipendenza finanziaria ed operativa. L’organizzazione si aspetta che l’Autorità Nazionale Palestinese e gli altri attori, politici o militari, garantiscano la sicurezza di tutto il personale, internazionale e palestinese, delle équipes di MSF.

MSF lavora nei territori Palestinesi dal 1989 per rispondere alle violente conseguenze del conflitto. Dal 2000 MSF ha concentrato gli sforzi per fornire assistenza psicologica , oltre alle cure mediche e sociali, alle famiglie vittime di traumi gravi che non hanno accesso alle cure. MSF lavora oggi a Nablus, Hebron e Gaza.

 
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23 risposte a Quindici missili al giorno

  1. utente anonimo scrive:

    Solo una domanda:

    i lanci di Qassam sono considerati nomali in una tregua?

    JZ

  2. utente anonimo scrive:

    Eh, no Miguel, melodrammatici e logorroici polpettoni cucinati da altri e servitici col copia-incolla no, ti prego! Sìì pure di parte:-), ci mancherebbe, ma almeno fallo con stile, almeno sintetizzali e sforbiciali un po’, per pietà: sembra il seguito posticcio delle opere di Enver Hoxha!:-)

    Ciao

    Ritvan

  3. utente anonimo scrive:

    fretta, tanta fretta ha l’israele di concludere il progetto della palestinizzazione dell’intero medioriente ma di fronte ai loro occhi vi è un mondo islamico che con tanta saggezza e tanta pazienza, si sta organizzando di liberarsi dal sionismo.

    i musulmani non hanno le armi che ha l’israele il quale può far uscire le sue bracce anche dalle maniche occidentali ma hanno fede, tanta fede, la questione è solo del tempo necessario a riunirlie chi li guida sulla strada della unione è l’Iran, che però è inattaccabile.

    quanto sta succedendo lo puoi giudicare da solo e nessuno potrà dire in futuro che difendere il Popolo palestinese dai crimini dell’israele è “terrorismo”, specialmente se si inizia a sapere, in ogni parte del mondo, che dietro al terrorismo vero, sia quello applicato palesemente nei confronti dei palestinesi in Palestina, sia quello a livello internazionale; dall’11 settembre, a Madrid e Londra, cé il mussad israeliano.

    se credi che siamo ancora alla fase in cui le sofferenze toccano solo i palestinesi o gli iracheni e gli afghani, beh, è meglio che dai una bella occhiata in giro e a chiederti il perché di tanti avvenimenti, politici, economici e sociali, nell’occidente, creatore e sostenitore dell’israele, ma attento a non cadere nella trapola della propaganda sionista il quale cerca di attribuire tutto questo a quel bambino palestinese che uccide dieci volte al giorno.

    reza

  4. utente anonimo scrive:

    C’è una svista. Nell’articolo di Simona Masini c’è scritto che “La media è di 15 missili sganciati al minuto.” mentre nel titolo c’è “Quindici missili al giorno”.

    In ogni caso 15 missili al minuto per 60 minuti per 24 ore fa 21600 missili al giorno. Spero per i palestinesi che sia corretto il titolo… Non che la situazione sia rosea, in ogni caso.

    Gia Lam

  5. kelebek scrive:

    Non sono ammessi commenti monolinea di sole offese verso altri partecipanti a questo forum.

    Miguel Martinez

  6. kelebek scrive:

    Per Gia Lam e Ritvan,

    Il calcolo del numero dei missili è certamente sbagliato, sia nel mio titolo che nell’articolo della Masini.

    L’ho detto che lo stile non era il mio, e l’articolo non è perfetto.

    Ma è veramente ingiusto dare della “Enver Hoxha” a una persona che cerca disperatamente di comunicare la realtà che vede, urlando a squarciagola.

    Quello che è estremamente importante di questo articolo, il motivo per cui l’ho ripreso per intero, è che ci riporta alla realtà di ciò che stanno vivendo i palestinesi in questo periodo.

    Che è una realtà di continuo bombardamento, boicottaggio, omicidi, sequestri, che dura ormai da sei anni (ma per molti versi da quaranta anni).

    Pensate semplicemente a cosa vogliano dire gli attacchi sonori, quando tutte le notti, mese dopo mese, la gente viene svegliata continuamente dal rumore di esplosioni fortissime.

    Lasciamo perdere i dettagli, che si possono criticare una volta che si coglie il quadro generale.

    Perché se non si coglie il quadro generale della vita palestinese oggi, non si capisce nulla di quello che sta succedendo da quelle parti.

    Miguel Martinez

  7. utente anonimo scrive:

    Il commento era al post, non alla persona

    JZ

  8. kelebek scrive:

    Anche la cancellazione era rivolta al post, non alla persona.

    🙂

    Miguel Martinez

  9. utente anonimo scrive:

    >Lasciamo perdere i dettagli, che si possono criticare una volta che si coglie il quadro generale…MM<
    Miguel, un “quadro generale” per essere chiamata “foresta” dev’essere composto di molti “dettagli” chiamati “alberi”. Se quei “dettagli” sono solo arbusti oppure sono solamente 3 o 4, allora il “quadro generale” chiamato foresta va a farsi benedire. Non so se mi spiego…

    Ciao

    Ritvan

  10. utente anonimo scrive:

    >Ma è veramente ingiusto dare della “Enver Hoxha” a una persona che cerca disperatamente di comunicare la realtà che vede, urlando a squarciagola. MM<
    Lo stile è quello, l’ideologia pure, le cifre sono parzialmente false…caro mio, che ci posso fare se l’unico paragone che mi viene in mente è Hoxha? Quello conosco, a quello somiglia il papiro, con quello lo paragono. Sarà pure ingiusto, ma chi ha detto che questo porco mondo (Palestina inclusa, of course) è un concentrato di giustizia?

    Ciao

    Ritvan

  11. utente anonimo scrive:

    Segnalazioncina X Ritvan

    http://www.enverhoxha.info/index.asp

    …dipende da “quale Hoxha” di quale propaganda !

    >Davide

  12. utente anonimo scrive:

    Eh, Davide, lo so che in rete c’è anche della spazzatura che glorifica Enver Hoxha e il suo regime. Fa parte della democrazia.

    Ciao

    Ritvan

  13. utente anonimo scrive:

    Scusa Ritvan,quand’ero bambino/ragazzino,(tardi’80) lessi su una rivista scandalistica tipo “Gente” che Enver attirava giovani studenti di sinistra (maschi)dall’estero in Albania,con la scusa di volergli far conoscere il suo paradiso socialista,per poi farseli . Una volta sbrigata la faccenda,faceva eliminare gli studenti dai suoi gorilla per non lasciare testimoni del suo “vizietto”.La cosa mi lasciò sempre un pò perplesso,perchè il dittatore avrebbe potuto accontentarsi di giovani albanesi,e perchè la sparizione di giovani stranieri avrebbe potuto attirare su di lui l’attenzione dei servizi segreti occidentali,rendendolo ricattabile. La storia à almeno un fondo di verità,o sono stato vittima della propaganda capitalista/imperialista. Franz

  14. utente anonimo scrive:

    Miguel, ammettiamo pure che i coloni ebraici siano (tutti?) il concentrato di odio, sopraffazione e violenza che emerge “dal quadro generale”.

    E che le forze armate di Israele siano spudoratamente parziali a favori dei coloni e abbiano il grilletto MOLTO facile coi palestinesi.

    La signorina esagitata che riporti NASCONDE questi fatti con la sua imprecisione, la sua esagitazione, la sua visuale parzialissima. Per non parlare delle accuse al Mossad di essere dietro gli attentati di Madrid e Londra di un interlocutore.

    Non so se conosci il calcio, ma questo è un autogol, di quelli pesanti, alla Materazzi.

    E’ difficile credere ad una sola delle cose dette dalla tizia, visto tutto il contorno che ci mette. E poichè a te sta molto a cuore la pietanza, dovresti capire che devi agire in primis sulla comunicazione; che gli ebrei sono ancora molto poco popolari in occidente e quindi la verità non sarebbe così inefficace.

    Ciao

    Francesco

  15. utente anonimo scrive:

    Ammazza che memoria che hai, caro Franz! Sì, è vero, il nostro beneamato:-) dittatore era un po’…ehm, come posso dire….un po’ PecoraroScanio, ecco. Lo so che per nosotros evoluti occidentali del XXI secolo questo potrebbe costituire addirittura un titolo di merito:-), ma capirai che in uno dei paesi dalla morale più conservatrice d’Europa, a cui si sovrappose la non meno rigida “morale comunista” (la quale condannava l’omossessualità ad anni di galera) il “vizietto” del nostro doveve restare un segreto gelosamente custodito. Però, si sa che tali segreti non esistono. I suoi antichi compagni dell’Università di Montpellier (i cui studi il nostro abbandonò al primo anno, senza aver dato nemmeno un esame) che erano rimasti all’estero parlavano e da essi la voce è giunta probabilmente anche ai giornali scandalistici stranieri. Pare che il nostro a Montpellier e, dopo, a Parigi, ne abbia fatto più di Carlo in Francia:-). Bellissimo di corpo e viso, ha fatto di volta in volta il “femminiello” e il gigolò. Il vizietto non lo perse nemmeno quando tornò in Albania; ultimamente sono usciti i nomi di due ricchi (e depravati) mercanti della capitale albanese che pagavano profumatamente il nostro per poter usufruire delle sue “grazie”. Ovviamente, una volta al potere i due furono arrestati come “sanguisughe”, ma subito fucilati senza processo mentre venivano trasferiti in un’altra prigione. Fatto molto strano, poiché le “sanguisughe” non venivano mai giustiziate dal regime, “onore” che veniva riservato solo ai “nemici del popolo”.

    Personalmente ho saputo le insolite abitudini sessuali del “custode della morale comunista” origliando le conversazioni a bassa voce di mio padre con un ex-avvocato di cognome Shkupi, il quale era stato a Montpellier insieme al nostro e per il fatto di averlo aiutato a quel tempo era sfuggito alle persecuzioni. Fra di loro, parlando di politica, usavana il termine “il pederasta”. Siccome non ero scemo, dopo chiesi a mio padre perché chiamavano così il tiranno; lui prima si arrabbiò un po’, poi mi disse:”Se riferisci a qualcuno quel che hai sentito ci ammazzano tutti”.

    Non ho sentito in Albania di giovani stranieri che abbiano servito gli appetiti del tiranno, ma la cosa non mi sorprenderebbe affatto. Di studenti “marxisti-leninisti” da tutto il mondo ce n’erano un sacco; p.es. Kabila, il defunto dittatore congolese ha fatto l’Università da noi. Inoltre, venivano da noi ogni genere di rifiuti terroristici rossi; credo tu sappia che il mitra con cui Audisio si vantava di aver ammazzato Mussolini si trova al museo di Tirana, dono dell’Audisio al nostro dittatore. Non credo che i servizi occidentali si sarebbero messi a piangere se un po’ di quei spurghi dell’occidente fossero spariti senza lasciare traccia nel feudo impenetrabile di Hoxha.

    Ciao

    Ritvan

  16. utente anonimo scrive:

    Bene Ritvan,era da quasi due decenni che la presunta omosessualità del beneamato Enver mi assillava.Risolta questa questione rimane quella degli studentelli “abusa e getta” .In effetti più che l’articolo ,che forse non lessi nemmeno limitandomi a titolo e didascalie,ricordo i commenti di mio padre ,roba come: quel pervertito comunista,pederasta,pure i ragazzini,il comunismo è la fucina di tutte le perversioni…..quindi aggiunse la storia degli studenti,forse inventata nella foga, che comunque definì,pure loro,pervertiti comunisti.Roba,in effetti,difficile da dimenticare,anche se avevo solo 10/12 anni. La storia del mitra di Audisio/Valerio non la conoscevo,ma immagino che donò la storica reliquia al Beneamato prima della rottura di questi con l’Urss nel ’61.Alle volte sono tentato di studiare meglio la storia del Comunismo Internazionale,ma la noia, l’à sempre spuntata.In effetti affermare che il comunismo morì di noia più che d’altro non mi sembra un esagerazione.Per questo focalizzo la mia attenzione su singoli ,gustosi episodi, come questo di Enver.Grazie della risposta. Franz

  17. utente anonimo scrive:

    Chiamata a raccolta

    di Ilan Pappe

    ———————————-

    Da sinistra a destra, i manifesti di tutti i partiti sionisti durante la recente campagna elettorale in Israele contenevano politiche sul contenimento del “problema demografico” posto dalla presenza palestinese in Israele. Ariel Sharon propose il ritiro da Gaza come la migliore soluzione per esso; i leader del partito laburista sostennero il muro perché credevano che fosse il modo migliore per limitare il numero di Palestinesi entro Israele. Anche gruppi extraparlamentari, come il movimento Accordo di Ginevra, Peace Now, il Consiglio per la Pace e la Sicurezza, Ami Ayalon’s Census Group, e il Mizrachi Democratic Rainbow affermano di avere le soluzioni per contrastarlo.

    A parte i dieci membri dei partiti palestinesi e i due eccentrici Ebrei Askenaziti ultraortodossi, tutti i membri della nuova Knesset (120 in tutto) arrivarono promettendo che le loro formule magiche avrebbero risolto il “problema demografico”. I mezzi variano dal ridurre il controllo di Israele sui Territori occupati — di fatto i piani proposti dal Labour, da Kadima, dallo Shas (il partito ortodosso sefardita) e dallo Gil (il partito dei pensionati) implicherebbero il ritiro israeliano da solo il 50% di questi territori — fino ad un’azione più drastica. I partiti di destra come Yisrael Beytenu, il partito etnico russo di Avigdor Liberman, e i partiti religiosi hanno sostenuto che un volontario trasferimento dei Palestinesi nella West Bank. In breve, la risposta sionista è ridurre il problema o cedendo territorio o diminuendo il gruppo “problematico” di popolazione.

    In questo non c’è niente di nuovo. Il problema della popolazione fu identificato come il principale ostacolo sulla via del progetto sionista alla fine del 19esimo secolo, e David Ben-Gurion disse nel Dicembre 1947 che “non può esserci stabile e forte stato ebraico se c’è una maggioranza ebraica del solo 60 per cento”. Israele, avvertì per l’occasione, doveva affrontare questo “serio” problema con un “nuovo approccio”, L’anno seguente, la pulizia etnica significò che il numero di Palestinesi cadde sotto il 20 per cento della popolazione complessiva dello stato ebraico (nell’area assegnata ad Israele dalle Nazioni Unite più l’area che esso occupò nel 1948, i Palestinesi sarebbero stati attorno al 60% della popolazione). Ciò che è interessante, ma non sorprendente, nel Dicembre 2003 Binyamin Netanyahu riciclò il numero magico di Ben-Gurion — il 60 per cento di indesiderabili. “Se gli Arabi in Israele costituiscono il 40 per cento della popolazione”, disse Netanyahu, “questa è la fine dello stato ebraico.” “Ma il 20 per cento è anch’esso un problema,” aggiunse. “Se la relazione con questo 20 per cento è problematica, lo stato ha diritto ad impiegare misure estreme.” Non precisò cosa intendesse.

    Israele spinse in alto la sua popolazione con due massicce immigrazioni ebraiche, ognuna di circa un milione di persone, nel 1949 e negli anni 80. Questo mantenne bassa la proporzione della popolazione palestinese e oggi i Palestinesi assommano a circa il 20 per cento della popolazione di Israele (senza contare i Territori Occupati). Ehud Olmert, il leader di Kadima e facente funzioni di primo ministro, pensa che se Israele rimane nei Territori Occupati e i suoi abitanti vengono inclusi nella popolazione israeliana, in quindici anni i Palestinesi saranno più degli Ebrei. Dunque egli sostiene l’ hitkansut — che significa “convergenza” o, meglio, “chiamata a raccolta” — una politica che lascerebbe diverse popolose aree Palestinesi fuori dal diretto controllo israeliano. Ma anche se questo consolidamento avesse luogo, ci sarebbe ancora una porzione molto ampia di popolazione palestinese nell’ 88 per cento di Palestina nella quale Olmert spera di costruire il futuro, stabile stato ebraico. Quanto grande esattamente non sappiamo: i demografi in Israele appartenenti al centro o alla sinistra forniscono una stima bassa, che fa sembrare il disimpegno una soluzione razionale, mentre quelli della destra tendono ad esagerare la cifra. Ma tutti sembrano d’accordo che l’equilibrio demografico non rimarrà lo stesso, considerato il più alto tasso di natalità dei Palestinesi in rapporto agli Ebrei. Pertanto Olmert può ben arrivare alla conclusione che i ritiri non sono la soluzione.

    Una volta che gli “Arabi” in Israele e i Palestinesi nei Territori Occupati vennero ad essere pensati in occidente come “musulmani ” fu facile ottenere appoggio alle politiche demografiche di Israele, almeno dove la cosa contava: a Capitol Hill. Ma anche in Europa non ci fu bisogno, dopo l’11 Settembre, di spiegare perché Israele avesse una “problema demografico”. Il 2 Febbraio, 2003 il quotidiano popolare Maariv aveva un tipico titolo: “Un quarto dei bambini in Israele sono musulmani”. L’articolo andava avanti descrivendo questo fatto come…

  18. utente anonimo scrive:

    Ilan Pappè

    Chiamata a raccolta

    …………Una volta che gli “Arabi” in Israele e i Palestinesi nei Territori Occupati vennero ad essere pensati in occidente come “musulmani ” fu facile ottenere appoggio alle politiche demografiche di Israele, almeno dove la cosa contava: a Capitol Hill. Ma anche in Europa non ci fu bisogno, dopo l’11 Settembre, di spiegare perché Israele avesse una “problema demografico”. Il 2 Febbraio, 2003 il quotidiano popolare Maariv aveva un tipico titolo: “Un quarto dei bambini in Israele sono musulmani”. L’articolo andava avanti descrivendo questo fatto come la prossima “bomba ad orologeria” di Israele. L’aumento nella popolazione “musulmana” — 2,4 per cento all’anno — non era più un problema, ma un “pericolo”.

    Nella corsa alle elezioni, gli intellettuali discussero questo argomento usando un linguaggio affine a quello impiegato in Europa o negli Stati Uniti nei dibattiti sull’immigrazione. Qui, comunque, è la comunità di immigrati che decide il futuro della popolazione indigena, non vice versa. Il 7 Febbraio, 1948, dopo essersi diretti a Gerusalemme da Tel Aviv e vedendo i primi villaggi che erano stati svuotati dai Palestinesi nelle periferie occidentali di Gerusalemme, un giubilante Ben-Gurion disse ad una riunione di leader sionisti: “Quando sono arrivato a Gerusalemme in questi giorni, ho sentito che è una città ebraica. Era un sentimento che io avevo avuto solo nelle fattorie di Tel Aviv. Non tutta Gerusalemme è ebraica ma ci sono già un grosso quartiere ebraico — nessun Arabo lì. Un undici per cento di Ebrei. Se riusciamo a perseverare”, aggiunse Ben-Gurion, questo miracolo avrà luogo ovunque.

    Ma a dispetto della perseveranza una considerevole comunità di palestinese rimase. Sono studenti alla mia università, dove frequentano lezioni di professori che gli parlano del grave problema demografico. Gli studenti di legge palestinesi — i fortunati che costituiscono una quota informale — nell’Università Ebraica possono bene incrociare Ruth Gabison, una ex dirigente dell’Associazione per i Diritti Civili e un candidato alla Corte Suprema che ha recentemente maturato forti opinioni sulla materia, opinioni che sembrano accattivarle un certo consenso. “Israele ha diritto a controllare la crescita naturale palestinese,” ha dichiarato.

    Fuori dalle università questi studenti non possono evitare la conoscenza del fatto che essi sono visti come un problema. Sia dalla sinistra alla estrema destra sionista, sentono ogni giorno che la società ebraica desidera liberarsi di loro. E loro si preoccuperanno, giustamente, quando sentiranno di essere diventati un “pericolo”. Mentre sono ancora solo un problema esso sono ancora protetti da una certa pretesa di democrazia e liberalismo. Quando costituiranno un pericolo, comunque, potrebbero affrontare politiche di emergenza basate sui regolamenti di emergenza del mandato britannico. Le case potrebbero essere demolite, i giornali messi a tacere e la gente espulsa sotto un simile regime.

    Le elezioni 2006 avevano portato alla Knesset una solida coalizione determinata ad affrontare il problema demografico: prima di tutto, disimpegnandosi maggiormente dalla West Bank; e poi, completando la rete di muri attorno al resto delle aree palestinesi. La frontiera tra Israele e la West Bank è lunga 370 chilometri, ma il muro serpentiforme sarà lungo il doppio, e strangolerà ampie comunità palestinesi. Nelle aree palestinesi entro Israele, la segregazione è assicurata da programmi di costruzione approvati quando Sharon era ministro alle infrastrutture nazionali: gli insediamenti ebraici dominano e circondano ampie aree palestinesi come Wari Ara e Lower Galilee.

    Il 31 Giugno, 2003, la Knesset approvò una legge che proibiva ai Palestinesi di ottenere la cittadinanza, la residenza permanente o perfino il permesso di soggiorno temporaneo quando sposano cittadini israeliani. L’ispiratore della legge fu un sionista liberale, Avraham Poraz del partito centrista Shinui. Egli la descrisse come una “misura difensiva”. Solo 24 membri della Knesset si opposero e Poraz dichiarò che quelli già sposati e con famiglie “avrebbero dovuto andarsene nella West Bank”, senza riguardo per quanto tempo avevano vissuto in Israele.

    I membri arabi della Knesset furono tra quelli che si appellarono alla Corte Suprema contro questa legge razzista. Quando la Corte Suprema respinse l’appello, la loro energia venne meno. I membri arabi appartengono a tre partiti: il Partito Comunista (Hadash), il National Party di Azmi Bishara (Balad) e la Lista Araba Unita composta da un ramo più pragmatico del movimento islamico. La Corte Suprema chiarì la loro irrilevanza, agli occhi sia del parlamento che del sistema giudiziario. Ci viene sempre detto che i Palestinesi dovrebbero essere lieti di vivere nella sola democrazia della regione, di avere diritto di votare, ma a quei voti non è…

  19. utente anonimo scrive:

    ……..I membri arabi della Knesset furono tra quelli che si appellarono alla Corte Suprema contro questa legge razzista. Quando la Corte Suprema respinse l’appello, la loro energia venne meno. I membri arabi appartengono a tre partiti: il Partito Comunista (Hadash), il National Party di Azmi Bishara (Balad) e la Lista Araba Unita composta da un ramo più pragmatico del movimento islamico. La Corte Suprema chiarì la loro irrilevanza, agli occhi sia del parlamento che del sistema giudiziario. Ci viene sempre detto che i Palestinesi dovrebbero essere lieti di vivere nella sola democrazia della regione, di avere diritto di votare, ma a quei voti non è legato nessun potere.

    Nel cuore della notte del 24 Gennaio di quest’anno, una unità di elite della polizia di frontiera perquisì il villaggi palestinese israeliano di Jaljulya. I soldati irruppero nelle case, trassero fuori 36 donne e alla fine deportarono otto di esse. Alle donne fu ordinato di andarsene alle loro vecchie case nella West Bank. Alcune erano state sposate per anni con palestinesi a Jaljulya, alcune erano incinte, molte avevano bambini, ma i soldati stavano dimostrando all’opinione pubblica israeliana che quando il problema demografico diventa un pericolo, lo stato agirà rapidamente e senza esitazione. Un membro palestinese della Knesset protestò, ma l’azione fu supportata dal governo, i tribunali e i media.

    I dieci membri della Knesset provenienti da partiti palestinesi non saranno inclusi in nessuna coalizione e saranno probabilmente emarginati e dimenticati, come lo erano nella precedente legislatura (ci sono altri due membri arabi e due membri drusi dal Labour e da Kadima). Haaretz mandò un giornalista a vivere per pochi giorni nelle “aree arabe” per scrivere — come un turista antropologo — sulla reazione dei Palestinesi alle elezioni. Escludendo questo reportage, i media israeliani non hanno avuto niente da dire su come i Palestinesi hanno votato. Dopo tutto, loro sono il problema, non la soluzione. E se il disimpegno non “ferma” la crescita del loro numero l’operazione Jaljulya mostra quale potrebbe essere il futuro.

    Nessuna meraviglia che molti Palestinesi ora vogliono che la comunità internazionale intervenga. Ma Israele ha ignorato la sentenza della corte internazionale sul muro, ed è improbabile che si commuova da ciò che vedrà come un’interferenza nei suoi affari interni. C’è un altro appello in arrivo, ancora esitante, sebbene crescerà in volume: la proposta per la creazione di un parlamento autonomo per i Palestinesi di Israele. In un mondo che ha marginalizzato due volte questa comunità — sia nella politica palestinese che nella società ebraica — i 1.300.000 cittadini palestinesi di Israele ha molto poco da perdere dall’uscire dalla Knesset ed optare per l’autonomia. Chissà, potrebbero persino convincere la maggioranza ebraica che sono “solo” un problema e non un pericolo.

  20. utente anonimo scrive:

    credo sarebbe proprio il contrario, “proverebbe” che non possono essere cittadini di Israele e incoraggerebbe che li vuole espellere.

    Francesco

  21. utente anonimo scrive:

    Chi è il terrorista?

    Gideon Levy

    Le scene da Gaza sono strazianti. Strazianti? Non è certo. Lo spettacolo della famiglia Aben da Beit Lahiya che piange la sua bambina di 12 anni, Hadil, la scorsa settimana non ha suscitato alcuno shock particolare in Israele. Né qualcuno è sceso per le strade a protestare alla vista della sua madre ferita e il suoi fratellino riverso e in shock sul pavimento della loro baracca a Gaza.

    Il giorno che Hadil Aben è stata uccisa, Yedioth Aharonot pubblicò una storia su Nelly, il cane del Kibbutz Zikim che era morto di attacco cardiaco per il rumore del fuoco di artiglieria su Gaza.

    Invece di espressioni di dolore alla morte di una bambina, gli alti papaveri della difesa se ne uscirono con un fiume di stridenti affermazioni. Il ministro della difesa disse che la sola cosa da fare era aumentare la pressione sui Palestinesi. Il vice capo di stato maggiore parlò di una possibile invasione di Gaza e il capo delle operazioni dell’esercito aggiunse, “quello che abbiamo visto finora è solo l’anteprima.” IDF annunciò che avrebbe ulteriormente ridotto il “raggio di sicurezza” necessario per evitare che le granate colpiscano la popolazione civile.

    Era un coro raggelante e all’unisono. Israele sta gettando migliaia di bombe su città e villaggi, sui “blocchi di lancio” dei Qassam — un altro termine dubbio creato dalla difesa e ciecamente accettato dalla stampa — e solo i Palestinesi, i cui razzi Qassam non hanno ucciso nessuno dal disimpegno, sono chiamati “terroristi”.

    Né ci fu alcun significativo dibattito dopo una possibile svista del ministro degli esteri Tzipi Livni, in un’intervista alla BBC, nella quale disse che c’era differenza tra l’attaccare civili e l’attaccare soldati. Sebbene non mantenne il suo punto di vista in un intervista a Channel 10, Livni osò dire la verità: se colpire i civili è terrorismo, allora Israele è uno stato terrorista. Con 18 persone uccise nella sola Gaza in 12 giorni, tre dei quali bambini, l’assenza dell’intento non è sufficiente a giustificarci. Chi usa l’artiglieria per colpire centri abitati e dice con orrenda indifferenza che “questa è solo l’anteprima”, come se fosse un altro reality show in tv, non può affermare che non intende uccidere bambini.

    I responsabili di questi bombardamenti altrove nel mondo sono giustamente considerati criminali di guerra. Questo è terrorismo — chiedetelo alla Livni. E quando è fatto nel nome dello stato, è assai peggio che in quei casi in cui i perpetratori appartengono ad organizzazioni canaglia.

    Israele dichiara che sta sforzandosi di fare pressione con i suoi cannoni sulla popolazione Palestinese, così da evitare il fuoco dei Qassam. Si tratta di un argomento inconsistente. Nessun leader palestinese è in grado di promuovere un cessate il fuoco mentre dozzine di civili vengono feriti. Nessun Palestinese, non importa quanto di temperamento pacifico, può evitare con il suo corpo i lanci fatti dall’interno del territorio della Autorità Palestinese. Potrebbero i genitori di Hadil Aben aver fatto qualcosa? Qual era il crimine di questa povera gente? E come, esattamente, l’uccisione della loro figlia condurrà ad una cessazione dei lanci di Qassam?

    Il perdurante imprigionamento della assediata Gaza è precisamente la politica opposta che dovrebbe essere applicata per servire gli interessi di Israele. La politica attuale rafforza solo il sostegno per Hamas, come gli attacchi terroristici ad Israele rafforzano sempre la destra. Una nazione sotto assedio, la sua leadership boicottata, avrà mota più determinazione e decisione a combattere fino all’ultima goccia di sangue. E’ impossibile spezzare lo spirito di un popolo disperato. Solo una nazione che vede una luce alla fine della sua disperazione cambierà i suoi atteggiamenti.

    Cosa accadrebbe se Israele si rivolgesse al mondo per invitarlo ad impegnarsi nella causa del sostegno agli abitanti di Gaza, a donare ed investire denaro per aiutarli ad uscire dalla loro completa povertà? Se un primo ministro israeliano facesse una cosa del genere e allo stesso tempo chiedesse un incontro con la sua controparte eletta palestinese, questo creerebbe una pressione molto più efficace e positiva che qualsiasi fuoco di artiglieria.

    Se i Palestinesi vedessero solo per la prima volta nella loro vita che Israele ha in mente anche il loro benessere, che non corrisponde necessariamente al male per Israele, avrebbero molto più da perdere e sarebbero loro stessi ad espellere i lanciatori di Qassam. Solo i Palestinesi possono farlo, e piantare semi di speranza è il solo modo per riuscirci. E se, nella situazione corrente, il fuoco di artiglieria dovesse finire, e loro fermassero i lanci di Qassam, Israele alleggerirebbe l’assedio? ripristinerebbe la libertà di movimento da Gaza alla West Bank, permetterebbe ai Palestinesi di lavorare in…

  22. utente anonimo scrive:

    ……Se i Palestinesi vedessero solo per la prima volta nella loro vita che Israele ha in mente anche il loro benessere, che non corrisponde necessariamente al male per Israele, avrebbero molto più da perdere e sarebbero loro stessi ad espellere i lanciatori di Qassam. Solo i Palestinesi possono farlo, e piantare semi di speranza è il solo modo per riuscirci. E se, nella situazione corrente, il fuoco di artiglieria dovesse finire, e loro fermassero i lanci di Qassam, Israele alleggerirebbe l’assedio? ripristinerebbe la libertà di movimento da Gaza alla West Bank, permetterebbe ai Palestinesi di lavorare in Israele, darebbe il consenso alla costruzione di un porto ed un aeroporto nella Gaza assediata? Le dichiarazioni di Israele provano che la risposta a tutte queste domane è un inequivoco no. La sua attuale politica e le politiche che gli abbiamo visto adottare portano solo all’intensificazione della violenza sul lato dei Palestinesi.

    Nessun missile Qassam giustifica l’uccisione e il terrore che le granate seminano in Gaza. I cannoni servono per fare la guerra agli eserciti. Usarli contro una popolazione inerme si suppone che sia oltre i confini del lecito, senza se e senza ma. Uno stato non bombarda città. Punto. Proprio come nella guerra contro il crimine che è anch’esso letale e mette in pericolo la sicurezza dello stato, nessun fine giustifica qualsiasi mezzo. Accadrebbe mai che la polizia israeliana evacui l’intera località da cui alcuni assassini provengono? Qualcuno deciderebbe di bombardare una località, persino se questo significa ridurre il crimine che proviene da lì?

    Quelli che vogliono davvero la fine dei Qassam da Gaza, dovrebbero rovesciare i termini della politica di Israele. Mostrare moderazione di fronte ai Qassam, togliere l’assedio, incontrarsi immediatamente con la leadership eletta palestinese ed invitare il mondo a far ripartire gli aiuti all’Autorità Palestinese. Solo una libera e sicura e prosperante Gaza fermerà il lancio dei Qassam. Abbiamo mai provato?

  23. utente anonimo scrive:

    Mi sembra vero il contrario.

    Ci fu un tempo in cui a Gaza c’era un aeroporto: era riservato ai coloni israeliani o no?

    E ci fu un tempo in cui le scuole vennero costruite, se oggi le distruggono.

    Forse sono gli strateghi della Resistenza Palestinese che debbono vedersi chiedere conto delle loro decisioni.

    Francesco

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