Memoria storica

Il quarantacinquesimo vicerè spagnolo a governare su quello che oggi è il Messico fu Félix Berenguer de Marquina.

Un uomo ricordato unicamente in un breve epigramma:

Para perpetua memoria

nos dejó el Virrey Marquina

una fuente en que se orina.

Y allí se acaba su historia.
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11 risposte a Memoria storica

  1. filomenoviscido scrive:

    beh conoscendo quel che si dice dei vicerè latinoamericani….. se lo ricordano per un vespasiono è tra quelli buoni 🙂

  2. RIPENSAREMARX scrive:

    Como se puede decir…una historia bañada.

    A proposito di Re e valvassini. Tra una settimana scade il mio contratto con la Regione Basilicata e per il momento non ci saranno rinnovi causa elezioni e tagli dell’1% ai bilanci delle regioni, come da finanziaria del governo pro tempore. Sicuramente cambierà poco anche dopo (mutatis mutandis) e, come vedi caro Ritvan, la lotta antiburocratica viene condotta contro il basso. I nobili godono ancora, i valvassini meno dei valvassori e dei vassalli. A casa non ho la rete per cui sarà per me più difficile far parte di questo blog. Tuttavia la mia presenza serpeggerà tra di voi come caustica incomprensibilità ontologica e/o possibilità di manifestazione dell’essere (per magnum gaudio di Aurora). Avrò finalmente un pò di tempo per fare altro(spero non si tratti di un tempo cosmico). Comunque, salvo imprevisti, mi sopporterete per un altra settimana.Ad maiora!

  3. utente anonimo scrive:

    Tradurre, please

  4. utente anonimo scrive:

    Adoro gli epigrammi 🙂

    Paolo

  5. kelebek scrive:

    Ecco la traduzione richiesta:

    Come perpetua memoria

    ci lasciò il Vicerè Marquina

    una fonte in cui si orina.

    E lì finisce la sua storia.

  6. utente anonimo scrive:

    Credo che, a proposito di Messico, vicino e “vittima” degli odiati yankees e della loro demoniaca:-) “dottrina Monroe” (anche da qualcuno recentemente evocata in questo blog) sarebbe interessante ed istruttiva una risposta in merito del mio “amico” Romano (non Prodi:-), Sergio Romano)

    Ciao

    Ritvan

    Dottrina Monroe, arma invecchiata della politica Usa

    Nel dicembre del 1823 il presidente americano James Monroe enunciò in un messaggio al Congresso un principio che si sarebbe rivelato fondamentale per la politica del suo Paese. Disse in sostanza che l’America repubblicana si contrapponeva all’Europa monarchica e che gli Stati Uniti avrebbero considerato un pericolo per la loro sicurezza ogni tentativo di estendere oltre Atlantico le istituzioni europee. Questi principi, noti come «Dottrina Monroe», pur variamente interpretati, divennero uno dei capisaldi della politica statunitense fino alla Prima guerra mondiale. Il presidente Wilson portò gli Usa in guerra nel 1917 richiamandosi al suo predecessore di cento anni prima, mentre i suoi oppositori, per bocciare in Congresso il successivo trattato di pace e la Società delle nazioni, si appellarono ad un’opposta interpretazione della dottrina di Monroe. Dopo la Seconda guerra mondiale tutto è cambiato, come ben sappiamo. Lei crede che quella «dottrina» abbia ancora un’influenza nella politica degli Stati Uniti?

    Gianpaolo Romanato, gianpaolo.romanato@unipd.it

    Caro Romanato, la linea politica enunciata dal presidente Monroe fu anzitutto difensiva. Dopo la fine delle guerre napoleoniche, le potenze conservatrici della SantaAlleanza sembravano prepararsi a intervenire in America Latina per aiutare la Spagna a riprendere possesso dei territori coloniali che avevano nel frattempo proclamato la loro indipendenza. Per evitarlo Monroe dichiarò che «i continenti americani, grazie alla libertà e all’indipendenza conquistate e preservate, non debbono considerarsi soggetti alla futura colonizzazione di qualsiasi potenza europea». E aggiunse che «ogni intervento nell’emisfero sarebbe stato considerato una manifestazione di ostilità verso gli Stati Uniti».Masulla effettiva portata e importanza storica di queste parole è lecito avere qualche dubbio. Monroe, anzitutto, non osò sfidare le potenze europee nei territori che erano ancora soggetti al loro controllo: il Canada, Cuba, iCaraibi, le isole delle Indie occidentali. E ottenne, almeno in parte, lo scopo desiderato soltanto perché gli interessi degli Stati Uniti coincidevano con quelli della Gran Bretagna. Nella sua opera sulla storia delle relazioni internazionali dal Congresso di Vienna a oggi («Dal Sistema europeo alla Comunità mondiale», Celuc Libri 1999), Ottavio Barié ricorda che il merito del rispetto riservato alla Dottrina di Monroe fu principalmente della Marina britannica, formidabile strumento militare di una potenza consacrata dalla vittoria contro Napoleone. Se gli inglesi non fossero stati decisi a impedire che l’Atlantico divenisse terreno di caccia delle potenze continentali europee, la politica americana non sarebbe stata efficace. Fu quello il momento in cui comincia a delinearsi il grande fronte delle potenze anglosassoni. Più tardi, quando la sconfitta del Messico dette agli Stati Uniti le coste della California e le rive del RioGrande, la dottrina di Monroe smise di essere difensiva e divenne l’argomento con cui i presidenti americani potevano giustificare la guerra di Cuba, le interferenze nella rivoluzione messicana, il canale di Panama e le pressioni esercitate sui governi del subcontinente. Poi, quando Wilson volle giustificare l’intervento americano nella Grande guerra, fu possibile ricordare che vi era nella dottrina di Monroe una evidente simpatia ideologica per i regimi democratici, anche se nati da un movimento rivoluzionario. E infine, quando Wilson chiese al Congresso di ratificare il Trattato di Versailles e la creazione della Lega delle Nazioni, la Dottrina offrì qualche argomento isolazionista a coloro che si opponevano alla sua politica. Come vede, caro Romanato, il presidente Monroe scrisse senza accorgersene un «documento per tutte le stagioni». Oggi poi, dopo quanto è accaduto in Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Cuba, Venezuela, Uruguay (Paesi governati da leader progressisti o populisti) sembra che della «Dottrina di Monroe» si possa parlare soltanto al passato remoto.

  7. utente anonimo scrive:

    >..come vedi caro Ritvan, la lotta antiburocratica viene condotta contro il basso. I nobili godono ancora, i valvassini meno dei valvassori e dei vassalli…RM<
    Perfettamente in linea col feudalesimo, caro RM. Ma chi ti ha detto che TUTTI i nobili godevano? Mai sentito parlare di “cadetti” o “hidalgos”, nobili, sì, ma poveri in canna e costretti a fare i mercenari o arrangiarsi in altri modi? Ecco, scegli se vuoi essere definito cadetto o hidalgo:-).

    Ciao

    Ritvan

    P.S. Mi dispiace sinceramente per la tua condizione e trovo che sia un altro motivo di vergogna nazionale che una bella intelligenza come la tua (a prescindere dalle convinzioni ideologiche:-)) non possa essere impiegata proficuamente, mentre gente semianalfabeta e fancazzista si gode pingui sinecure, magari solo perché capace di entrare (e sorvolo pudicamente sui metodi d’entrata) nelle grazie del feudatario locale e/o nazionale. Porca miseria, questo è peggio del feudalesimo per quanto riguarda la mancata meritocrazia: almeno lì chi si distingueva in battaglia un piccolo visconte magari lo diventava, anche se chi aveva la sorella bbona da offrire al signore diventava conte o marchese:-).

    P.S.2 Se tu leggessi anche i papiri dell’ “altra parrocchia”, ti accorgeresti quanti vergognosi sprechi e inciuci vengono perpetrati dai kapataz delle regioni rosse, anche dopo che il bieco Berlusca ha “affamato” i loro bilanci. Ovviamente continuano i corsi osceni (come quello per veline di bassolino), le inchieste cervellotiche (come il censimento dei posti parcheggio per biciclette in Toscana), le spese per auto blu, le consulenze miliardarie a nani e ballerine di corte ec.., ecc. Quelli son sacri per la corte feudale, come i giochi d’acqua per la corte di Versailles. E magari uno come te, assunto solo perché “compagno”, paga per i biechi tagli del biechissimo Berlusca. Spero che almeno qualcuno dei tuoi “signori” della regione non ti consigli di mangiare in futuro brioches al posto del pane:-(.

  8. RIPENSAREMARX scrive:

    “la linea politica enunciata dal presidente Monroe fu anzitutto difensiva”. Difensiva nei confronti dell’Europa non di certo verso i paesi dell’America Latina. Per quanto, come giustamente dici, le guerre contro cuba e le ingerenze su tutti i territori meridionali del continente iniziano dopo, è chiaro che gli americani, portatori di un sistema economico dinamico e in pieno sviluppo, pensavano già da allora che tutto il continente doveva esser affar loro. Il big stick statunitense farà sentire subito il suo peso in presenza dell’apertura di spazi giusti. Nel 1823 crolla l’impero iberico con l’Inghilterra sull’uscio ad attendere l’evento. Inizia così l’escalation statunitense:1824 a Porto Rico, 1831 in Argentina, 1845 Messico, 1857 Nicaragua ecc. solo quando il continente sarà praticamente asservito si passerà a pratiche di buon vicinato. Siamo agli anni della presidenza F.D. Roosvelt. con il continente ormai controllato. Non ti sembra che nuove guerre e regimi complici instaurati in questi anni seguano un buon filo conduttore?

    Ps. I “compagni” come li chiami tu sono spesso peggio dei destri, e qui regna sovrana la sinistra. Grazie comunque per il complimento 🙂

  9. RIPENSAREMARX scrive:

    Volevo ancora ricordati che prima della guerra contro il Messico, già nel 1847 si riuniscono a Lima i governi di Ecuador, Colombia, Cile e Bolivia per discutere dell’interventismo nordamericano. La guerra con il Messico è solo dell’anno dopo.

  10. kelebek scrive:

    Adesso vado a protestare alla Regione Basilicata, non ci devono privare di Ripensaremarx 🙂

    A parte gli scherzi, ti faccio tutti gli auguri possibili. Resta comunque in contatto.

    Miguel Martinez

  11. RIPENSAREMARX scrive:

    Grazie Miguel.

    Si diraderanno gli interventi ma ci sarò!

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