I nostri amici hanno intervistato Haj Ali ieri ad Amman. Ecco la sua risposta.
Come reagisci alle accuse apparse su diversi quotidiani, basate su fonti militari USA, secondo cui tu non saresti l’uomo nelle foto che è diventato il simbolo degli abusi e delle torture ad Abu Ghraib?
Haj Ali: La verità è che io non sono stato l’unico a venire torturato in questa maniera barbara. Quasi tutti i prigionieri nella parte del carcere che io conosco sono stati torturati in questo modo. Ciò non cambia il fatto che io sia uno di quelli che sono stati costretti a stare in piedi su quella scatola di cartone, con un cappuccio nero in testa e gli elettrodi attaccati alle mani. Come iracheno che ha subito Abu Ghraib, io rappresento tutte quelle persone torturate.
Qual è il motivo di questa campagna per screditarti?
Haj Ali: Prima, hanno negato di aver mai torturato qualcuno in questo modo. Poi hanno detto che si trattava solo di casi isolati. Adeso ammettono di aver torturato moltissima gente in questo modo. Lo fanno per screditarci, ma dall’altra parte, significa anche che questo tipo di tortura non era affatto un caso isolato, e questo è diventato di dominio pubblico. E’ il risultato del lavoro della nostra campagna.
Da quando sono stato rilasciato, e da quando è stata fondata la nostra Associazione delle Vittime delle Carceri dell’Occupazione Americana, abbiamo organizzato 1300 attività di protesta contro l’occupazione, particolarmente contro le aziende private di torturatori i cui servizi vengono adoperati dall’esercito statunitense.
Nessuno avrebbe potuto immaginare che la nostra piccola associazione sarebbe stata in grado di fare tanto, senza alcuna assistenza economica ufficiale. Semplicemente grazie alla nostra determinazione, ai donativi e all’aiuto fornitoci dagli amici e da alcuni media, abbiamo realizzato qualcosa, persino negli Stati Uniti. Abbiamo alzato le nostre voci, e il Pentagono non lo gradisce.
Il New York Times sostiene che l’uomo nella foto è in realtà Abdou Hussain Saad Faleh.
Haj Ali: Conosco quel signore. Ci sono anche foto di Said Saleh Shain da Mosul. Lo hanno soprannominato "Joker", ed è stato torturato alla stessa maniera. C’era anche un tale di nome Saddam Rawi. Gli hanno messo gli elettrodi alle orecchie. Ancora oggi ha problemi neurologici, e ha portato il proprio caso davanti alle Nazioni Unite.
Avete anche promosso cause legali?
Haj Ali: La causa che abbiamo presentato è certamente uno dei motivi dell’attuale campagna di diffamazione. La nostra è un’ONG indipendente. Hanno cercato invano di comprarci. La causa è stata presentata un anno e mezzo fa negli Stati Uniti. 200 casi sono stati presentati in un’azione collettiva (class-action lawsuit). Adesso abbiamo portato altri cinquanta ex-prigionieri, tra cui diverse donne, dall’Iraq in Giordania. E abbiamo pubblicato un’ampia documentazione sui rapiti e sui torturati, le vittime della politica americana.
Avete fatto causa anche ai contractor della tortura?
Haj Ali: La nostra campagna è diretta soprattutto contro il Titan Group [di San Diego]. Si tratta di un’azienda privata che conduce interrogatori nelle carceri. Assumono delinquenti che estorcono informazioni dai prigionieri adoperando i metodi più brutali.
Siamo ben coscienti che gli Stati Uniti sono governati con la mentalità di una corporation. Tra i principali motivi della guerra contro l’Iraq c’erano gli interessi di quelle corporation: innanzitutto la Halliburton, di proprietà di Dick Cheney, e tutte le aziende associate alla famiglia Bush. Gli Stati Uniti non possono permettere che si prendano di mira le sue aziende. Si tratta di un regime capitalista che si regge sui profitti delle aziende, e sul disprezzo totale per le esigenze degli esseri umani.
Cosa è successo alla vostra organizzazione?
Haj Ali: I nostri uffici a Baghdad sono stati attaccati e presi d’assalto sei volte dalle forze di sicurezza. Ogni volta, hanno devastato gli uffici, e ogni volta hanno preso in custodia diversi dei nostri membri più attivi. Eppure siamo riusciti ad andare avanti.
Concretamente, di cosa vi accusano?
Haj Ali: E’ sufficiente dire di essere membri della nostra associazione. Hanno chiesto che cambiassimo il nome da "occupazione" a "coalizione". Non possono nemmeno accettare la parola "occupazione".
Amman, Giordania; 21 marzo, 2006
intervista condotta da Doris Höflmayer e Mohamed Aburous e pubblicata in inglese e tedesco sul sito del Campo Antimperialista.
Tradotto dall’inglese e dal tedesco, in italiano da Miguel Martinez, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (www.tlaxcala.es). Questa traduzione è in Copyleft.
senza parole! grazie Miguel.
Dick Cheney è il padrone della Halliburton?
Questa mi è nuova
Francesco
PS certo che sti resistenti a caccia dei soldi del risarcimento danni, non c’è più la Resistenza di una volta
Sui rapporti attuali tra Cheney e la Halliburton:
http://www.cbsnews.com/stories/2003/09/26/politics/main575356.shtml
Diciamo che sono analoghi a quelli tra Berlusconi e Mediaset.
Miguel Martinez
Interessante anche questo studio del Washington Post sul rapporto tra Cheney e Halliburton:
http://www.washingtonpost.com/wp-srv/onpolitics/articles/halliburtonprimer.html
Per quanto riguarda il risarcimento, ti darò una mano per ottenerlo anche tu non appena ti incappuccerano e ti applicheranno gli elettrodi alle mani.
Miguel Martinez
grazie, c’è un gran bisogno di una rete civica di informazioni
Per chi non la conoscesse ancora, segnalo sul tema la pagina aggiornata di rainews24:
http://www.rainews24.rai.it/ran24/inchieste/abughraib_foto_mani.asp
Rampie
Francesco ha ragione “questi resistenti” smaliziati mentono e chiedono soldi.
La Storia è una truffa scritta dai perdenti per invidia nei confronti dei vincitori. Siamo alle solite Francesco, come diceva il buon vecchio con la testa leonina: “l’uomo cammina sulle braccia”… e voi vi divertite così.
La campagna su chi era il fotografato incappucciato anch’io la trovo veramente di lana caprina. Invece, avrei un’altra riflessione da fare. Haj Ali non mi risulta fosse un “resistente”. Ma mi risulta fosse un gerarca di Saddam. Pertanto, io vedrei di buon occhio la sua richiesta di risarcimento danni davanti ad una corte USA (però, come fanno presto ad adeguarsi alle “regole del gioco” dei biechi imperialisti quando c’è da far gonfiare il portafogli:-) ), a condizione, però, che le vittime curde e sciite delle feroci reppressioni saddamite si costituissero in giudizio davanti alla medesima corte, reclamando il risarcimento pecuniario spettante, a carico, ovviamente, di ogni denaro presente o futuro di proprietà di Saddam o di ogni membro del suo regime. Par condicio.
Ciao
Ritvan
Ehi, io mica ho detto che mentono! Ho detto che la richicesta di risarcimento, con tanto di class action, stona un sacco nella retorica dell’eroica resistenza.
Provate a pensare Oriana Fallaci che va a Berlino a chiedere i danni ad un tribunale nazista …
Grazie per i link, Miguel. Li userò per verificare la mia teoria che la Hallibarton è una vittima della politica neocon, non una ispiratrice.
Francesco
Mah,
puzzare puzza ma sarebbe più interessante sapere chi è il padrone della H, di certo Cheney appare solo un attivo sostenitore retribuito. A chi li fa fare i soldi?
Anyway, quando i Comuni italiani iniziarono a delegare a imprese specializzate gli affari militari, erano alla fine della loro storia; mi sembra un segnale positivo per i nemici dell’Impero.
Ciao
Francesco
“La Storia è una truffa scritta dai perdenti per invidia nei confronti dei vincitori.”
Bellissima questa definizione della scuola storiografica italiana degli ultimi 50 anni! A volte il vecchio K. si dimostra un genio!
Credo potremmo ampliare la definizione a buona parte della storiografia anti-occidentale, visto che a fare veramente le scarpe all’Impero ci penseranno i barbari e non gli ex rivali sconfitti e assorbiti.
Buon futuro a tutti
Francesco