Il servo di scena va a Singapore (I)

Come traduttore, ho un curioso privilegio. Di tanto in tanto, posso essere presente, come piccolo servo di scena, nel grande teatro del capitalismo. Questa volta sono stato a Singapore. Ma il viaggio nella sfera del capitale, nel mondo parallelo che tocca quello nostro, senza mai compenetrarlo, inizia molto prima, nell’istante in cui varchi le porti dell’aeroporto di Milano. È lì che si entra nella dimensione del servizio. Da allora in poi, troverai soltanto sorrisi. Ci sono le hostess: fanno venire in mente l’harem che i genitori scelsero per il giovane Siddhartha, che solo quando avrebbe respinto quell’harem sarebbe diventato il Buddha.

Il punto fondamentale, che fa capire tutto il mondo del servizio, è che le ragazze non furono scelte per fascino, ma perché Siddhartha non doveva sapere che nel mondo esistevano vecchiaia, malattia o morte; e non lo deve sapere nemmeno il passeggero in aereo, accudito dalle donne-maschera. Poi noti che il perenne sorriso delle hostess è un sorriso autorevole: tu sei il loro bambino, ma proprio per questo possono porre fine con forza ferma e sicura in ogni momento a eventuali tuoi capricci.

È quindi un sorriso ben diverso da quello che incontrerai dopo tra lo staff degli alberghi, che non sono stati educati a temere bombaroli o manager isterici per la paura di volare. Il sorriso del portiere d’albergo è studiatamente servile. Non deve farti sentire bambino, ma padrone.

Il capitale è una faccenda di punti, di buchi neri che divorano immensi spazi: tutto il West è finito tritato nelle macellerie di Chicago, tutte le montagne della Sicilia e della Calabria hanno regalato la loro gioventù al Lingotto.

Singapore è infatti un punto piccolissimo, propria a metà tra l’India affamata dal cotone di Lancaster, e la Cina resa folle dall’oppio indiano: i due pilastri sotterranei e criminali dello splendore britannico; e per questa nobile funzione, ha avuto il nome sanscrito di Singapura, Città del leone.

La chiazza di zanzare, il cielo grigio, i milioni che affollano un’isola, l’aria che di giorno o di notte è un bagno di caldo e viscido vapore, si trasforma misteriosamente. Perché di Singapore ti colpiscono paradossalmente il freddo intenso, dovuto all’onnipresente aria condizionata e il verde. Ovunque, vedi piante, fiori, prati. Persino i casermoni residenziali sembrano più piccoli degli alberi che li circondano da tutti i lati.

Un mondo in apparenza estremamente ordinato. Non solo perché sul foglio che riempi quando entri a Singapore c’è scritto a grandi lettere rosse, Death for drug dealers in Singapore. Piuttosto, colpisce l’orgoglio con cui ogni singaporese ti racconta, con crescente esaltazione, i tipi di pene che vengono comminate nel suo paese. Non è solo questione di multe salate:

Se butti una cicca per terra, ti saltano addosso i poliziotti in borghese e ti obbligano a metterti in ginocchio davanti ai passanti.

Ma c’è una grande differenza con gli sporadici tentativi occidentali di punire comportamenti asociali, i conati di zero tolerance. Perché chi ha previsto punizioni per chi butta sigarette o cartacce per terra, ha posto ovunque cestini e posacenere. Qualunque critica si voglia fare alla società di Singapore, esiste un senso straordinario dell’ordine – per usare un termine di destra – che è anche collettività – per usare un termine di sinistra. E che non crea affatto un mondo di automi robotizzati: i cinesi hanno tutta la rilassatezza, l’umorismo e l’individualità di cui si vantano gli italiani.

Non posso negare la violenza con cui il capitale divora gli esseri umani o travolge e annienta le identità. Ma così, a pelle, dovendo scegliere il male minore, credo che troverei un po’ meno osceno un mondo dominato dal capitale condito con la mentalità cinese che un mondo ,dominato sempre dal capitale, ma condito con la mentalità americana. Se non altro, i cinesi hanno dovuto subire una quantità terrificante di guerre; mentre gli americani le hanno fatte.

(Continua…)

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9 risposte a Il servo di scena va a Singapore (I)

  1. CricetoRosso scrive:

    E ai politici corrotti, che gli fanno?

  2. utente anonimo scrive:

    i cinesi si devono anche subire 1000 esecuzioni ( ma forse son 10 000) l’anno per mano dei compagni( che marxisticamente fan pagare la pallottola dell’esecuzione alla famiglia)

    Ehi antimperialisti, che parlate con reverenza di un tipo che a Genova brandiva un estintore in passamontagna, giù il cappello davanti allo studentello cinese che in Piazza Tienammen si frappose ad un carro armato dei compagni (1989).

    Mao ha distrutto una grandissima civiltà: la civiltà di Confucio e di Lhasa. Massimo rispetto per il Celeste Impero, massimo disprezzo per la Rivoluzione Culturale (Culturale?)

    il ”Giovin Cialtrone”

  3. utente anonimo scrive:

    Non cancello questo post di Sartori perché è veramente istruttivo.

    Apprendiamo infatti che il capitalismo dei cinesi di Singapore è colpa di Mao, degli estintori, di Marx e degli antimperialisti.

    Il titolo di Giovin Cialtrone è veramente meritato.

  4. utente anonimo scrive:

    Ah, dimenticavo: è carina quella della “grandissima civiltà di Confucio e di Lhasa”. Spero che non proverai a convincere qualche tibetano dell’esistenza di questa presunta unica civiltà…

    Per quanto riguarda la storia della fine del confucianesimo in Cina, potresti partire dalle guerre dell’oppio, dalla rivolta di Tai Ping, dalla soppressione del movimento dei “Fu-Qing mie-yang”, dalla distruzione delle imprese di tessitura cinese (sostituite dall’importazione di prodotti industriali inglesi), dalle esplosioni neosciamaniche della fine dell’Ottocento, dai trattati che imponevano l’impunità per i missionari, , dall’imposizione dell’indennizzo del 1900 che distrusse lo stato cinese, dalle invasioni giapponesi, dai modernisti liberali, dalla rivoluzione del 1911, dagli scontri tra i “signori della guerra”, dallo stesso Kuo Min Tang…

    Ma dimenticavo. Per i cialtroni non esiste la storia, esiste solo Mao che con un estintore distrugge la “grande civiltà” di “Confucio e Lhasa”.

    Il bello è che chi scrive in difesa della civiltà tradizionale cinese (che fino a prova contraria fu irrimediabilmente minata dall’imperialismo ottocentesco) poi se la prende con gli… antimperialisti.

    Miguel Martinez

  5. utente anonimo scrive:

    Per certa gente, caro Miguel, tutto è strumentale, perfino la propria ignoranza.

    Emanuelito

    P.S.: evidentemente, per il “Giovin Cialtrone”, il Celeste Impero non condannava a morte nessuno.

  6. utente anonimo scrive:

    Lascia stare miguel. Ma a una domanda potrebbe tentare di risponderci sartori. Com’è che un paese “comunista” è l’economia capitalista maggiormente in espansione? Quanti capitalisti frignano della concorrenza cinese. La soluzione è semplice. Imparino dai comunisti a fare i capitalisti, se non ne sono più capaci. p

  7. utente anonimo scrive:

    Uhmm, va tutto bene, ma perche` c’e` scritto singapore?

    Singapore e` una citta` stato indipendente, almeno formalmente.

    Tutti i discorsi che hai fatto credo comunque vadano benissimo per shangai.

  8. utente anonimo scrive:

    Ho conosciuto Shanghai prima che la Cina entrasse nel WTO, e mi dicono che sia cambiata radicalmente nel frattempo.

    Esistono stretti rapporti tra Singapore e Shanghai – tutti i singaporesi cercano di aprire filiali a Shanghai.

    Comunque qui si parlava della cultura cinese, non dei cittadini della repubblica cinese.

    Miguel Martinez

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