The gathering dark, il buio che si raccoglie e infittisce, è una vecchia metafora poetica inglese.
Che può riferirsi ovviamente alla sera, o all’inverno, ma anche ai tempi.
Noi stiamo andando incontro a tempi che non promettono nulla di buono.
Ma se invece di una gathering dark, fosse – come ogni inverno – una mothering dark, le tenebre-madre in cui dobbiamo scendere, per tenere acceso il fuoco?
This is the time of the mothering dark, the crow black mantle of earth in winter. She is withdrawing her flame to the centre, holding it close like a secret treasure. The meadows are white and the last leaves are tumbling. Small birds flock together for forage is scarce. The way now is down, waking each to a kindling, kindling of love in the fire of the heart.
E’ l’ora delle tenebre materne, il mantello nero corvino della terra d’inverno. Lei sta ritirando la sua fiamma verso il centro, tenendola stretta come un tesoro segreto. I prati sono bianchi e cadono le ultime foglie. Piccoli uccelli si radunano perché il cibo è scarso. La strada ora va in giù, risvegliando ognuno a un’accensione, accensione di amore nel fuoco del cuore.
Il modo in cui la stampa si occupa della crisi immobiliare, compresa la relativa mancanza, è un esempio insidioso e terribilmente distruttivo di ingegneria sociale.
David Rovics
Lo scorso fine settimana abbiamo ricevuto una visitatrice dalla costa orientale. Come la maggior parte dei visitatori provenienti da altre parti del Paese o del mondo, è rimasta colpita soprattutto dalla vista di persone impoverite che vivono in modo squallido sui marciapiedi, ovunque andassimo in città. Non appena abbiamo lasciato la città per visitare un parco statale a poco più di un’ora di distanza, quando abbiamo superato le splendide colline, le foreste e i campi della valle del fiume Willamette sull’autostrada i-5, la nostra ospite è sembrata allo stesso tempo sollevata e perplessa.
Ragazza di Portland
“C’è così tanto spazio”, ha detto a un certo punto, guardando fuori dal finestrino. “Perché ci sono così tante persone che vivono sui marciapiedi?”
È normale interpretare il mondo attraverso lenti come la propria realtà economica e la realtà che vediamo intorno a noi nell’ambiente fisico in cui viviamo, magari lavoriamo, accompagniamo i bambini a scuola e quant’altro.
Ma ho sempre la netta impressione che la mia realtà sia in qualche modo radicalmente diversa da quella in cui vivono la stampa aziendale e i politici.
Trovo molto difficile conciliare l’enorme differenza tra la comprensione di come funzionano le cose e di come potrebbero essere migliorate, da Portland agli Stati Uniti in generale, fino ai molti altri Paesi sui quali sento continui commenti – come è mia tendenza, in quanto consumatore attivo di notizie, o di ciò che passa per esse.
Il modo in cui tutte le storie sono separate l’una dall’altra, ognuna nella sua piccola scatola, può essere altrettanto nefasto di quali storie vengono trattate e quali no. Mantenere ogni storia separata aiuta a evitare che i giornalisti o i loro interlocutori complichino la questione con realtà scomode. Aiuta i proprietari aziendali interessati della nostra “stampa libera” a evitare di parlare di questioni che preferirebbero ignorare, senza censurare nessuno in modo diretto: è una sorta di censura laterale, ma ancora più efficace di quella più palese.
Metà della popolazione statunitense vive in affitto. La maggior parte dell’altra metà paga un mutuo a una banca e rischia di perdere la casa se perde il lavoro e resta indietro con i pagamenti. Una minoranza di coloro che non affittano la propria casa la possiedono a titolo definitivo. Dire che questa è una nazione di proprietari di case sarebbe inesatto. Si tratta di una nazione di affittuari e debitori, nella stragrande maggioranza dei casi. Ed è una nazione di affittuari e debitori che trovano sempre più spesso che il costo dell’abitazione, sia essa in affitto o “di proprietà”, sia passato negli ultimi anni da costoso a completamente inaccessibile.
L’altra mattina mi sono svegliato nella camera da letto che condivido con mia moglie e i nostri due figli più piccoli. La nostra figlia adolescente ha l’altra camera da letto. Io e mia moglie crediamo nel dormire nella stessa stanza con i bambini piccoli – cosa del tutto normale in Giappone, da dove viene lei, e molto comune anche negli angoli più hippie dell’America, da dove vengo io. Ma se non condividessimo queste convinzioni, chissà dove metteremmo i bambini. Speriamo di capirlo prima che uno dei due inizi a parlare di avere una stanza tutta per sé.
Reiko non c’era per la giornata, quindi ho avuto il compito di accompagnare i piccoli alle rispettive scuole. Molte persone si trasferiscono a Portland per approfittare delle scuole pubbliche, ma la nostra esperienza con loro è stata molto eterogenea. Molte brave persone cercano di fare un buon lavoro, ma sono bloccate da strutture arcaiche e da fondi e personale tristemente insufficienti.
E comunque non c’è una scuola dell’infanzia pubblica – siamo negli Stati Uniti. Così portiamo il nostro bambino di sette anni in una scuola privata Waldorf a nord di Portland e il nostro bambino di quattro anni in una scuola dell’infanzia vicino a Beaverton, all’altro capo della città. Quando siamo entrambi a casa, lo facciamo in due auto private separate di nostra proprietà. Siamo negli Stati Uniti, non c’è un altro modo pratico per andare dal nostro piccolo appartamento a uno di questi luoghi in modo efficiente.
Guidando da un capo all’altro della città, da sud-est a nord-est, poi da nord-est a sud-ovest, io e i miei figli vediamo ogni giorno le stesse cose. Non ho idea di come facciano a capirlo. È troppo per me, e vivo in questo Paese da 56 anni.
A partire da un isolato dal nostro complesso residenziale, in media ogni cinquanta metri circa vediamo i morti che camminano, uomini e donne mentalmente squilibrati e fisicamente malati, coperti di sporcizia, che indossano vestiti che a volte puzzano così tanto di urina che gli accampamenti di tende in cui le persone sono costrette a cercare di vivere possono essere identificati prima dall’odore che dalla vista.
Mentre osserviamo la distopia in ogni direzione lungo il tragitto, ascoltiamo un CD di canzoni giapponesi per bambini, che mia figlia piccola ascolta cinguettando. Mio figlio vuole ascoltare i Daft Punk (il suo gruppo preferito), ma papà non è ancora riuscito a capire come ricollegare il suo telefono al bluetooth dell’auto, mi dispiace, ragazzo (più Daft Punk la prossima volta che la mamma guida).
Ho un auricolare in un orecchio e ascolto Al-Jazeera mentre iniziamo il viaggio. Passerò all’autoradio e alla NPR dopo aver lasciato i bambini e aver fatto la spesa al supermercato. Abbiamo di nuovo dei soldi sulla carta dei buoni pasto, che ci aiutano a compensare l’affitto alle stelle, per non parlare del prezzo alle stelle del cibo.
Parlano del terremoto in Marocco, che è stato orribile: la gente non ha avuto il tempo di uscire dalle proprie case prima che queste crollassero come sabbie mobili sopra di loro, attraverso le montagne dell’Atlante. A Marrakech è andata molto meglio, dicono, ma tutti dormono sui marciapiedi, hanno paura di entrare nelle loro case, nel caso in cui possano essere danneggiate, o nel caso in cui ci siano altri terremoti, come quelli che tendono ad arrivare in serie.
Mentre descrivono le persone che dormono sui marciapiedi, che montano tende di fortuna per gli altri, che cucinano insieme, che piangono insieme, sembra così incongruo guardarmi intorno, guidando lungo Martin Luther King Boulevard, e vedere esattamente lo stesso tipo di scene che sembrano descrivere su Newshour. Sono lì, che si riparano l’un l’altro, si prendono cura l’uno dell’altro, si nutrono l’uno dell’altro, mentre migliaia e migliaia di auto, autobus e camion di ogni tipo passano davanti a loro. A differenza di Marrakesh, però, queste auto non provengono da quartieri meno danneggiati o più ricchi e non si fermano a distribuire cibo, coperte e medicine alle persone bisognose. Stanno semplicemente passando. Alcune di loro ascoltano musica giapponese per bambini mentre passano.
Qui a Portland, in Oregon, non c’è stato alcun terremoto (anche se ne stiamo aspettando uno molto grande e siamo completamente impreparati). Non ci sono stati incendi, ultimamente, o alluvioni. Queste migliaia di persone in tenda, o sdraiate in portoni e negozi abbandonati, non sono profughi provenienti da altri luoghi se non da qui. La stragrande maggioranza di loro viveva da qualche parte in questa zona prima di doversene andare, non riuscendo a pagare l’affitto e/o a trovare il tipo di assistenza di cui potrebbero aver bisogno per le loro malattie mentali o dipendenze.
Questi reporter americani sul posto a Marrakech provengono da città come Los Angeles, dove decine di migliaia di persone vivono nelle tende e più di mille di loro muoiono per strada ogni anno. Non pensano anche loro al campo profughi permanente da cui sono circondati quando ogni giorno si recano a Culver City? Sono sicuro che lo fanno, ma sanno di non essere pagati dalla NPR per volare in Marocco e fare queste osservazioni.
Lasciamo questa trasmissione nazionale per darvi le notizie locali. Ah sì, un’altra storia sul degrado del centro di Portland.
Ultimamente l’attenzione dei media locali su tutte le storie di questo tipo è legata ai presunti danni causati dal referendum statale che abbiamo approvato in Oregon nel 2020 e che ha decriminalizzato tutte le droghe. I leader politici locali di Portland stanno disperatamente cercando di fare tutto il possibile per recriminalizzare le droghe, almeno per quanto riguarda i senzatetto. Se non possono essere arrestati per essersi accampati vicino alle autostrade e non possono essere arrestati per aver fumato crack nelle loro tende, per cosa possiamo arrestarli? Questo sembrerebbe rappresentare il punto più estremo della visione politica dei nostri presunti leader, soprattutto da quando le donne più progressiste del consiglio comunale sono state epurate con i soliti mezzi di corruzione politica che chiamiamo “discorso” in questo Paese.
Una storia dopo l’altra sull’ultimo sforzo per recriminalizzare le droghe pesanti per i più emarginati tra gli emarginati, quelli che non hanno un posto dove chiamare casa, in qualche modo non riesce mai a discutere l’idea di risolvere questi problemi ospitando tutti.
Le discussioni sugli alloggi sono generalmente relegate a storie di interesse umano che si concentrano su qualche organizzazione non-profit che è riuscita a comprare un edificio per dare un alloggio temporaneo a giovani trans di colore che hanno subito abusi e che si trovano da qualche parte nello spettro dell’autismo.
Di tanto in tanto ci capiterà anche di leggere una storia sul drastico aumento del costo degli alloggi in generale, ma questa storia e quella sui senzatetto che vanno in overdose per strada devono essere tenute separate l’una dall’altra, per evitare che qualcuno giunga a conclusioni abbondantemente ovvie – come il fatto che l’idea di parlare del problema delle persone che si bucano sui marciapiedi senza inserirlo nel contesto della crisi degli alloggi è totalmente bizzarra e irreale.
Questi stenografi della classe proprietaria, esitanti o meno, continuano a ripetere incessantemente il titolo locale dell’anno, in una forma o nell’altra: avevano promesso che se avessimo depenalizzato le droghe, le cose sarebbero migliorate, ma la situazione sta solo peggiorando. La logica errata impiegata in queste storie è il tipo di logica errata che uno studente sveglio delle elementari potrebbe facilmente smascherare come tale. Pensare che le droghe e la riforma delle droghe esistano in una bolla che in qualche modo non è influenzata dal fatto che gli alloggi sono diventati del 20% più inaccessibili nel corso dell’ultimo anno, quando la crisi degli alloggi è essa stessa alla radice della crisi in corso di persone senza casa e sempre più squilibrate che muoiono ogni giorno sui nostri marciapiedi, sopravvivendo alla vita, così com’è, con qualsiasi droga lo renda possibile.
La prossima notizia di cui ci occupiamo riguarda lo sciopero potenzialmente imminente dei lavoratori del settore auto in tutto il Nord America. C’è il solito sforzo di presentare “entrambe le parti”. L’azienda deve ristrutturarsi per essere competitiva nel mercato delle auto elettriche. I lavoratori hanno bisogno di un massiccio aumento di stipendio solo per tenere il passo con l’aumento del costo della vita dall’ultima volta che hanno ottenuto un aumento del costo della vita, prima del 2008. Secondo un esperto, si è verificato uno “sganciamento” di qualsiasi legame tra i profitti delle imprese e la retribuzione dei lavoratori.
Si potrebbe pensare che valga la pena di notare che il motivo principale per cui il costo della vita è aumentato così tanto è il mercato immobiliare non regolamentato, dominato come è da banche d’investimento e oligarchi. Ma a quanto pare non è così. In ogni caso, gli americani ricchi non possono essere oligarchi e la regolamentazione è per i comunisti. Si potrebbe pensare che il fatto che un tempo il lavoratore medio dell’auto poteva facilmente permettersi di comprare una casa, mentre oggi è ben lungi dall’esserlo, potrebbe essere un tema centrale in una storia sull’imminente sciopero. Ma no, questa è una storia separata e non correlata, e quando andrà in onda si concentrerà sulle difficoltà che alcuni elementi della classe operaia, emarginati dal punto di vista razziale o sessuale, hanno nel trovare alloggi a prezzi accessibili, non sul fatto che la stragrande maggioranza dell’intera classe operaia non riesca a trovarli. E il termine “classe operaia” non verrà usato, troveranno un modo per aggirare anche quello. Ora siamo tutti classe media, finché non ci spostiamo sul marciapiede.
Ma aspettate, c’è una speranza. Durante il viaggio tra quando molliamo il secondo figlio e il ritorno a casa per approfittare dell’angolo del soggiorno che chiamo studio/ufficio per registrare, c’è una storia a lieto fine sull’esperimento di Cambridge, Massachusetts, con una forma molto limitata di reddito di base universale. In realtà ha ben poco a che fare con il Reddito di Base Universale, ma è di questo che si tratta, quindi hanno trovato un esempio che si avvicina vagamente a questo.
Cambridge ha distribuito i fondi federali per la pandemia a 2.000 dei suoi residenti più poveri sotto forma di assegni mensili di 500 dollari ciascuno. Il conduttore ha intervistato una donna che vive in un appartamento con i suoi due figli e lavora in un’associazione non-profit, guadagnando 65.000 dollari all’anno, come spiega la donna. L’intervistata è adeguatamente felice di ricevere gli assegni mensili da 500 dollari, che, osserva, scadranno dopo 18 mesi.
Risponde alle domande su cosa fa con i soldi in più e spiega che, dato che il suo affitto è di 5.000 dollari al mese per un appartamento con tre camere da letto nella più costosa delle città americane, le rimane ben poco per altre spese come cibo o vestiti per lei e i suoi figli. Facendo i conti, a loro restano meno di 500 dollari al mese per qualsiasi altra cosa oltre all’affitto, senza contare i 500 dollari in più al mese del Comune. E con tutti i suoi guadagni, ha detto di non avere i requisiti per i buoni pasto, perché l’agenzia per i buoni pasto non tiene conto di quanto si paga per l’affitto e di quello che rimane dopo.
Quello che ho sentito è una donna che affoga nella miseria finanziaria, ma quello che ha sentito il conduttore è una persona la cui realtà finanziaria è stata almeno temporaneamente stabilizzata dal Reddito di Base Universale.
In nessuna parte di questa discussione sull’UBI ho sentito menzionare l’idea di legare un programma di questo tipo al costo della casa, nello specifico. Il termine “costo della vita” è così vago, e non affronta la questione di cui si sta cercando di non parlare: la cosa più basilare per tutti noi è sempre più impossibile da permettersi per la maggior parte di noi. L’unica cosa preziosa che una percentuale significativa della popolazione potrebbe almeno aspirare a possedere un giorno – una casa – non vale nemmeno la pena di pensare come prospettiva realistica da prendere in seria considerazione per almeno metà del Paese a questo punto.
Dopo essere andati a prendere entrambi i bambini alle rispettive scuole, sentiamo le notizie delle bibliche catastrofiche inondazioni di massa in Libia, che vengono attribuite al cambiamento climatico. Si accenna al fatto che la Libia è stata uno Stato fallito negli ultimi dodici anni, ma non si dice che questo è il risultato diretto dell’invasione della NATO nel 2011, quando il governo che aveva costruito quelle dighe negli anni ’70 è stato violentemente rovesciato.
Passando accanto agli accampamenti di tende, alle case di compensato improvvisate sul ciglio dell’autostrada che sembrano versioni a colori di foto dell’epoca della Depressione, a un tizio che continuava a comportarsi come se stesse per buttarsi nel traffico, suppongo per attirare l’attenzione e sentirsi un po’ meno invisibile per qualche secondo, a una bicicletta fantasma e a un monumento commemorativo fai-da-te per un giovane che viveva in una tenda nel mio quartiere e che è stato inspiegabilmente ucciso a colpi di pistola nel cuore della notte da qualcuno che non è mai stato preso, arrivo con i bambini a uno dei loro parchi cittadini preferiti.
Il parco giochi di questo parco era bello prima, ma ora ha una superficie gommosa su cui i bambini amano rimbalzare. Spesso mi siedo a suonare la mandola da qualche parte ai margini del parco giochi mentre i bambini corrono e fanno le loro cose. A quanto pare ho un’aria sospetta e le uniche persone che di solito osano avvicinarmi sono i bambini piccoli. Ieri, però, uno degli altri papà aveva bevuto birra ed era pronto a iniziare una conversazione con un paio di altri genitori, me compreso.
Aveva comprato una casa a Portland più di dieci anni fa e ci aveva lavorato molto. Era felice in questa città, ma poi tutto ha cominciato ad andare a rotoli. Era consapevole che parte del problema era l’aumento del costo degli alloggi e che, sebbene la sua casa avesse subito un forte aumento di valore, ciò era accaduto in qualsiasi altro luogo in cui avrebbe voluto trasferirsi, quindi si sentiva bloccato a Portland, anche se era stufo di tutta la criminalità. Ha spiegato che gli hanno rubato un sacco di cose. (Anche a me è capitato, ma non mi sono preoccupato di menzionarlo. Aveva una storia da raccontare e io lo stavo ascoltando).
L’altro giorno, mi disse, qualcuno stava rovistando nella sua spazzatura. La cosa non gli piaceva e gli ha detto di sparire. Il tizio non sembrava ascoltare, così è entrato in casa sua ed è tornato fuori con una pistola. A quel punto l’uomo che rovistava nella sua spazzatura se n’è andato.
“Se fosse venuto verso di me, gli avrei sparato”, ha detto con orgoglio l’altro papà.
Camminando per molti quartieri di Portland in questi giorni, ho l’impressione che molte persone la pensino come quest’altro papà. Ho notato che le bandiere arcobaleno e i cartelli Black Lives Matter sono stati in gran parte sostituiti dalle bandiere a stelle e strisce. Da un movimento di protesta guidato dai media a un contraccolpo patriottico guidato dai media. Il tutto con lo sfondo di una crisi abitativa sempre più grave che passa sotto silenzio, tranne che per l’occasionale annuncio che l’emergenza continua a esistere, senza che le legislature statali o il Congresso discutano di soluzioni serie e senza che si intraveda una fine, se non quella del precipizio.
Senza una spiegazione coerente di ciò che vediamo intorno a noi, dove la maggior parte di noi cerca informazioni o “notizie”, mentre milioni di americani poveri e indigenti incolperanno se stessi per i loro fallimenti nella vita, milioni di coloro che sono ancora aggrappati alle loro realtà nominalmente “di classe media” sono anche inclini a incolpare i senzatetto per aver rovinato il quartiere, e si sentono obbligati a “resistere” contro queste persone sporche che invadono la loro proprietà.
Uno degli altri effetti a catena della cronica mancanza di copertura da parte della stampa della profondità della crisi abitativa è che molte persone incolpano se stesse per i loro problemi nel soddisfare i bisogni primari, piuttosto che i proprietari massicci che fissano i prezzi. Incolperanno la propria mancanza di un’etica del lavoro sufficiente, piuttosto che il fatto che la scarsa risorsa della terra e degli alloggi è trattata in questo Paese come un mercato di investimento, dove il costo degli alloggi non ha nulla a che fare con i guadagni di coloro che ne hanno bisogno, ma con ciò che è più redditizio per coloro che investono in questo mercato – un mercato che non tende a includere molto in termini di alloggi a prezzi accessibili, almeno per le persone che guadagnano meno di sei cifre, dal momento che non è così redditizio costruire.
Un altro degli effetti di tutto questo nel regno dei “social media” – forse anche influenzato da algoritmi segreti, o addirittura dalla vecchia censura, chi diavolo lo sa – è che saggi come questo saranno letti, condivisi e discussi da pochissime persone, mentre il prossimo che scriverò su qualsiasi canzone in cima alle classifiche, o sulla politica elettorale, potrebbe essere ampiamente diffuso. Anche se forse non tanto quanto il prossimo selfie che posterò da un aeroporto: quelli piacciono di più agli algoritmi. Tutto tranne l’elefante nel salotto. Purtroppo, ignorare il problema non lo farà sparire.
Nel post precedente, vi ho parlato del cantante folk statunitense, Oliver Anthony.
Da precisare, che ne ho scoperto l’esistenza di Oliver Anthony grazie a un altro americano, ben diverso, David Rovics, che seguo ormai da anni.
Rovics appartiene al multiforme mondo anarchico, su cui si può dire (spesso a ragione) di tutto, ma dove forse oggi si trova la più alta concentrazione di persone non ancora del tutto domate.
Rovics è un cantastorie, per cui non dovete cercare nella sua opera la bellezza estetica, ma il vissuto che sa cogliere e trasmettere in attimi di immagini estremamente potenti.
Racconta storie che sono profondamente politiche, ma da sempre ho percepito la sensibilità umana sottostante, che va oltre le fazioni: ama i combattenti e le vittime della sua parte, ma non odia mai chi si trova dall’altra. E ogni volta, racconta di persone vive.
Il babbo al computer digita digita, e mentre digita digita ascolta Tappety-Tippety di David Rovics. Che racconta di un babbo sempre al computer, e del figliolo che vorrebbe uscire, e alla fine piglia e gli stacca il computer dalla presa. E il figliolo ascolta anche lui, e gli stacca il computer dalla presa, al babbo.
David Rovics appartiene a un’America molto diversa da Oliver Anthony, che è molto più vicina alla mia; ma sa capire come pochi l’America operaia e sfruttata, per citare due parole che pare oggi suscitino pochissima simpatia nella sinistra statunitense.
Ma nulla di meglio che tradurre per voi una sua riflessione di un paio di anni fa.
I telegiornali di questa settimana sono pieni di storie di rifugiati afghani e di rifugiati vietnamiti di mezzo secolo fa, di rifugiati dell’America Latina respinti al confine messicano con il Guatemala e dell’imminente ondata di rifugiati che potrebbe presto affluire da luoghi come il Madagascar, dove il caos climatico ha fatto sì che le colture non crescano più.
David Rovics
Se si ascoltano i media dell’élite privilegiata, o quelli che in genere chiamiamo semplicemente “i media”, o talvolta “i media liberali”, si può facilmente sviluppare l’impressione che la storia degli Stati Uniti sia stata tutta una questione di bianchi privilegiati che opprimevano le persone di colore.
Vi si perdonerebbe se non vi rendeste conto che la nostra è una società di classe, con una popolazione a stragrande maggioranza operaia, che è sempre stata così, ed è stata prevalentemente bianca da quando ogni Stato è diventato uno Stato. Nel modello statunitense di colonialismo, affinché un territorio diventasse uno Stato, era necessaria una maggioranza di coloni bianchi, quelli che nei libri di storia della costa occidentale vengono chiamati “pionieri”. L’ondata migratoria successiva è stata quella dei lavoratori poveri in tutti i campi, provenienti da tutti i contesti razziali, alcuni più oppressi di altri, su questa base razziale, oltre che su altre basi, come la nazionalità, la religione, le convinzioni politiche e il genere.
La narrazione dei libri di storia bugiardi che costringiamo i bambini a consumare in tutto il Paese ci dice che i nostri antenati che lasciavano il “Vecchio Mondo” (l’Europa) per il “Nuovo Mondo” (il mondo colonizzato, le Americhe, o in particolare gli Stati Uniti) erano “alla ricerca di una vita migliore per se stessi e per i loro figli”.
In effetti, è frequente sentirli dire la stessa cosa sugli afghani che arrivano ora, come se non stessero fuggendo dalle loro case per paura della morte.
Questa narrazione si sposa bizzarramente bene con l’attuale narrazione storica della sinistra identitaria, che enfatizza solo i vantaggi relativi degli immigrati europei che muoiono di fame mentre competono per un salario decente in lavori svolti da persone ancora più affamate provenienti dalla Cina o da africani schiavizzati che non ricevono alcuna paga. Un vero e proprio privilegio. E se poi si riesce a uscire dal ciclo infinito di povertà e sfruttamento, possedendo una casa propria o gestendo un’impresa, allora si è solo un altro esempio di ricchezza intergenerazionale, un altro esempio di famiglia abbastanza bianca da potersi qualificare per un prestito bancario o per il GI Bill.
Tutti i sacrifici personali, i secoli di guerra di classe, il mutuo soccorso e la solidarietà non contano per la sinistra identitaria, sono irrilevanti. Il risultato è l’unica cosa che conta. La disuguaglianza persiste e tutti gli sforzi compiuti dalla maggioranza bianca privilegiata verso una società più equa devono essere dimenticati, a favore di un ricordo di ogni tradimento. Colpevole! Se non è così, non parlare di tutte le stronzate sulla storia della guerra di classe e su tutte quelle persone che sono morte combattendo per un mondo migliore.
Il punto è che voi siete bianchi e privilegiati, gli altri no, e dovete in qualche modo risolvere la situazione parlandone e sentendovi in colpa, non cercando di eludere il punto parlando di come il sistema capitalista sfrutta tutti noi. Come siamo diventati privilegiati rispetto agli altri non è importante. Il fatto che lo siamo – e che dobbiamo pentirci per questo – è l’unica cosa che conta. Anarco-puritanesimo 101, lo chiamo.
Non è una novità che la mia mente sia occupata da questo strano, falso dibattito, che passa per discorso in questi giorni, e che è su Internet, e spesso anche nelle strade.
Non mi piace parteciparvi, anche perché la mia posizione non è mai tra quelle ampiamente riconosciute. Ma mentre negli ultimi anni la questione continua a ribollire in sottofondo come al solito, ultimamente mi sono ritrovato a leggere a proposito dei miei antenati. Da molto tempo mi interesso di queste cose in modo intermittente.
Non so quanto c’entri, ma la storia mi è sempre sembrata così viva. A posteriori, è difficile immaginare che non sia così. La mia tata era un’ebrea tedesca sopravvissuta all’olocausto nazista. Solo 25 anni prima della mia nascita, c’erano milioni di persone vive che presto sarebbero state incenerite nelle camere a gas, compresi tutti i miei parenti conosciuti nell’Europa orientale.
A parte la mia tata, la storia della mia famiglia di sangue è precedente al XX secolo, ma lo comprende. Molti migranti e rifugiati mantengono i contatti con la famiglia di origine, a volte per generazioni. I genitori di mia nonna provenivano da Minsk e mia nonna e sua madre si sono tenute in contatto con decine di parenti in patria, finché non sono stati tutti uccisi. Poi la mia bisnonna di lingua yiddish morì subito dopo, quando mio padre era bambino, e il massacro di massa in Europa e in tante altre parti del mondo in quel periodo finì.
Nonna Diane, pur essendo nata a New York, non si è mai sentita americana. Questo mi è rimasto impresso da bambina perché si riferiva sempre agli altri miei nonni, i genitori di mia madre, come “americani”. Lei era un’altra cosa: ebrea, di sicuro. Newyorkese, sì. Ma per lei l'”America” era rappresentata da luoghi come il Connecticut, dove sono cresciuta io, che veniva a visitare, ma dove non si sentiva mai del tutto a suo agio, forse perché non dimenticava mai i cartelli sulle spiagge che vedeva da bambina che dicevano “vietato l’ingresso agli ebrei e ai cani”.
Per quanto riguarda i genitori di mia madre, da parte del nonno Chamberlain c’è una lunga stirpe di inglesi di sangue blu, che risale ai primi giorni della colonizzazione del Massachusetts, del Connecticut e di New York. Non so perché abbiano lasciato l’Inghilterra. La storia di questo ramo della famiglia nel XIX secolo comprende politici di spicco e carne da cannone. Andando più indietro, ci sono sia schiavisti che abolizionisti. Se c’è un lato della famiglia che non ha lasciato l’Europa per paura della morte, è questo, e solo questo.
La parte della famiglia di mia madre proveniva dall’Alabama. Questa linea di famiglia, o una parte di essa, risale direttamente alla carestia irlandese, all’olocausto irlandese, al Black 47. M. Whelan era il suo nome. Michael? Matthew? Da quale parte dell’isola proveniva? Parlava inglese? Non ne ho idea, ma era il nonno di mia nonna.
Perché andò in Alabama? Quando arrivò, l’Alabama era una sorta di selvaggia frontiera del sud, il tipo di posto in cui i poveri bianchi erano costretti ad andare per cercare di guadagnarsi da vivere con la terra, dove potevano permettersi di avere un po’ di terra da coltivare. Ecco perché i profughi irlandesi della carestia andarono lì.
Dovevano farlo, non avevano altra scelta: o così o morivano di fame, come avevano appena fatto in patria sotto il dominio coloniale britannico. M. Whelan sarebbe morto molto prima che nascessero i suoi nipoti. Uno dei suoi nipoti sarebbe morto giovane, come lui. Un’altra avrebbe lasciato l’Alabama, si sarebbe trasferita a New York, avrebbe abbandonato il sogno di diventare una musicista professionista e avrebbe messo su famiglia. Questa era mia nonna, Margaret.
Anni fa, quando facevo ricerche sugli antenati, mi scontravo sempre con un muro quando arrivavo a Ellis Island.
Qualunque cosa stesse accadendo a quel lato della famiglia in Europa era un mistero. I siti di ricerca che utilizzavo sostenevano di essere collegati ai database europei, ma non sembrava mai essere vero. Poi si è scoperto che un’altra persona aveva già fatto una ricerca genealogica probabilmente esaustiva su una linea di famiglia che si interseca molto con i genitori di lingua ungherese del padre di mio padre. Non so perché sia così intenso riuscire a collegare una vera e propria città in Europa ai miei parenti che sono emigrati da lì solo tre generazioni fa. Non una grande città come Minsk, che per le sue dimensioni sembra un luogo d’origine un po’ anonimo, ma un piccolo villaggio. Un luogo che attualmente si trova nella Repubblica Ceca, chiamato Krompach.
Era solo per motivi pratici, per cercare i permessi di soggiorno e cose del genere, che mi preoccupavo di indagare, e non ero affatto sicuro di riuscire a trovare le informazioni di cui avevo bisogno, ma ecco. Tutto ciò che sapevo era che un certo Adolf Rovics, il mio bisnonno, era nato da qualche parte in quella che sui documenti di immigrazione era chiamata Austria, che sarebbe stato l’Impero austriaco, nel 1857.
Sua moglie, la mia bisnonna Minnie Sturz, nacque dieci anni dopo, quando la stessa regione faceva parte dell’Austria-Ungheria. I genitori di Minnie si chiamavano Baruch e Klara. Baruch era un rabbino. Il figlio di Minnie e Adolf, mio nonno, Alvin, nacque a New York nel 1899. Adolf morì sei anni dopo, molto giovane, come spesso accade ai membri della classe operaia, siano essi rifugiati o meno. Alvin non completò mai la scuola superiore, ma lui e i suoi fratelli riuscirono a vivere a lungo, come le generazioni successive, che ebbero la fortuna di trovarsi nelle Americhe e non in quella perpetua carneficina che fu l’Europa durante la prima metà del XX secolo.
Questi sono alcuni dei rifugiati che sono fuggiti dai pogrom europei, dal bigottismo religioso europeo e dalle guerre d’impero e di conquista europee, da cui io discendo.
Da quali forme di massacro fuggivano i vostri antenati? E quali forme di schiavitù hanno trovato qui? Molto probabilmente, se discendete da persone che per un motivo o per l’altro hanno lasciato la loro patria per venire in un luogo sconosciuto, avete storie simili, che ne siate consapevoli o meno, che siano state perse dalla storia o che si siano in qualche modo conservate, almeno in forma scheletrica.
“Dolce è il sonno del lavoratore, abbia egli poco o molto da mangiare; ma la sazietà del ricco non lo lascia dormire.“
Libro dell’Ecclesiaste
Forse vi è arrivata voce della diffusione senza precedenti, della canzone Rich Men North of Richmond, lanciata senza alcun apparato o scopo commerciale da un giovane che canta sotto il nome di Oliver Anthony: del sud degli Stati Uniti, Oliver Anthony ha i problemi di una nazione intera – obeso, sottoccupato, con problemi di salute mentale forse legati anche a un incidente quando si fece male alla testa in un incidente in fabbrica.
Ho detto diffusione, e non successo.
Oliver Anthony vive in un camper, con moglie e due figli senza corrente elettrica: off the grid.
Dalla parte sua, solo un cane bianco e uno nero e Dio, cui ha promesso di non bere più, se fosse riuscito a comunicare il suo messaggio.
Ne nasce una canzone profondamente rivoluzionaria, come può essere tutto ciò che nasce da dentro, e non per gentile concessione dall’alto.
Chi ama profondamente l’America, odia l’impero americano.
Certo, noto nella canzone una battuta contro quelli che campano di sussidi, che non sorprende in chi li deve comunque mantenere con lavori tremendi, ma va visto nel contesto.
Hovenduto la mia anima lavorando tutto il giorno / facendo gli straordinari per quattro soldi / per potermene stare seduto qui e sprecare la mia vita / trascinarmi a casa e annegare i miei guai.
E’ una vergogna come va il mondo / per gente come me e gente come te / vorrei solo svegliarmi e sapere che non è vero / ma lo è, lo è davvero.
Vivere nel nuovo mondo / con un’anima antica / Questi ricconi a nord di Richmond / Lo sa Dio vogliono solo avere il controllo totale / vogliono sapere cosa pensi cosa fai / E non pensano che tu sai, mai io lo so che sai / perché il tuo dollaro non vale un c… e viene tassato all’infinito / per via dei ricconi a nord di Richmond.
Vorrei che i politici ci pensassero ai minatori / e non alle minorenni sulle isole da qualche parte / O Signore, abbiamo gente per strada, che non hanno da mangiare / e ci sono gli obesi che ciucciano sussidi statali.
Beh Dio, se sei un metro e sessanta e pesi 130 chili / le tasse non dovrebbero pagare i tuoi sfizi / i giovani si stanno sdraiando nelle tombe / perché questo maledetto paese sa solo schiacciarli a terra.
La cosa affascinante è come dei versi di un lavoratore sfruttato che parlano di lavoratori sfruttati siano stati immediatamente trasformati sia da Destra che a Sinistra.
Il cantante è bianco di pelle, quindi è ovvio che è razzista; se parla male di quelli “north of Richmond” (lui è nato appena a sud, nella Virginia), cioè i politici a Washington, deve essere un nostalgico della Confederazione e della schiavitù; lui fa un gioco di parole tra miners (minatori) e minors (minorenni), dicendo che i potenti invece di pensare ai primi, pensano a molestare le seconde “su un’isola”, che deve essere un riferimento a Jeffrey Epstein. Che aveva un cognome da ebreo, e quindi è un velato messaggio antisemita. E fa anche qualche commento sulla propria ciccia abbondante, per cui deve essere pure un fatphobe.
Qui potete trovare un esempio particolarmente tragicodi cosa pensa certa sinistra di un proletario arrabbiato, e della grande trappola in cui ci troviamo.
Ma altrettanto surreale il fatto che la Destra statunitense – che rappresenta sostanzialmente gli stessi imprenditori che sfruttano gente come Oliver Anthony – abbia colto la palla lanciatale dalla Sinistra, e trasformato Anthony nel contrario di ciò che è. La Destra ha sfruttato miserabilmente Oliver Anthony solo perché Biden è a Washington in questo momento, allora vuol dire che chi critica Biden è dei loro!
Oliver Anthony ha respinto ogni legame con i politici di destra, in modo chiaro e fermo, e va detto che lo ha fatto con l’ignorante intelligenza di non scegliere l’opposta schiera del circo. Immaginatevi una persona cresciuta nelle circostanze culturali di Oliver Anthony, che deve rispondere a una manipolazione di questo tipo: io che ho studiato pure l’arabo, non ci sarei riuscito, lui invece sì:
“La cosa che mi ha infastidito è vedere le persone che fanno politica in questo caso. Sono deluso nel vederlo. È irritante vedere persone che nei media conservatori cercano di identificarsi con me, come se fossi uno di loro”.
E ha aggiunto: “Quella canzone non ha nulla a che fare con Joe Biden. È una cosa molto più grande di Joe Biden. Quella canzone è scritta per le persone su quel palco e per molte altre, non solo per loro”.
È stato difficile, ha detto Anthony, “trasmettere un messaggio sulla propria ideologia politica o sulle proprie convinzioni sul mondo in tre minuti e qualche spicciolo. Ma non sopporto che questa canzone venga strumentalizzata, come vedo fare. Vedo la destra che cerca di caratterizzarmi come uno di loro. E vedo la sinistra che cerca di screditarmi, credo per ritorsione. Questo deve finire.
“E non è colpa di quelle persone. Il welfare rappresenta solo una piccola percentuale del nostro bilancio. Sai, possiamo alimentare una guerra per procura in una terra straniera ma non possiamo prenderci cura dei nostri. Questo è tutto ciò che la canzone cerca di dire. Dice solo che il governo prende persone bisognose e dipendenti e le rende bisognose e dipendenti.”
Poi, dopo aver annunciato di aver rifiutato un contratto da otto milioni di dollari (perché l’America delle Opportunità è sempre quella), partecipa a un raduno profondamente americano.
E dimostra di non essere per nulla l’ignorante che pensate voi.
Legge qualche brano del Libro Fondante, e dice qualcosa di molto più profondo di ogni talkshow della società dello spettacolo.
Riascolto dalla voce di Oliver Anthony le parole dell’Ecclesiaste che ho letto quando avevo sedici anni assieme a un mio amico cattolico, e resto sconvolto, perché c’è davvero così poco da aggiungere, in tanti secoli (scusate la citazione lunga, ma merita):
” Che profitto ha l’uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole? Una generazione se ne va, un’altra viene, e la terra sussiste per sempre. Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo. Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri. Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre.”
“Mi sono messo poi a considerare tutte le oppressioni che si commettono sotto il sole; ed ecco, le lacrime degli oppressi, i quali non hanno chi li consoli; da parte dei loro oppressori c’è la violenza, mentre quelli non hanno chi li consoli. Perciò ho stimato i morti, che sono già morti, più felici dei vivi, che sono vivi tuttora; più felice degli uni e degli altri è colui che non è ancora venuto all’esistenza, e non ha ancora visto le azioni malvagie che si commettono sotto il sole.
Non essere precipitoso nel parlare e il tuo cuore non si affretti a proferir parola davanti a Dio; perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; le tue parole siano dunque poche; poiché con le molte occupazioni vengono i sogni, e con le molte parole, i ragionamenti insensati.
Chi ama l’argento non è saziato con l’argento; e chi ama le ricchezze non ne trae profitto di sorta. Anche questo è vanità. Quando abbondano i beni, abbondano anche quelli che li mangiano; e quale vantaggio ne viene ai possessori, se non di vedere quei beni con i loro occhi?
Dolce è il sonno del lavoratore, abbia egli poco o molto da mangiare; ma la sazietà del ricco non lo lascia dormire.
Ognuno esce nudo dal grembo della madre. E come viene così se ne va”.
E per un attimo, mi sento profondamente orgoglioso di essere anche statunitense, this damn country, nonostante tutto l’immenso orrore che l’impero maledetto ha imposto al tuo mondo, ma i primi a stendere la mano, a dire che non vogliono saccheggiare il mondo, sono a volte gli americani più americani.
Nella Democrazia, c’è il Mercato e c’è la Politica.
Sapete che l’Essere Umano è il Culmine dell’Esistente e il Metro di Tutto, grazie alla sua Ragione.
Nel Mercato, ogni singolo Attore Economico si informa con cura sulla Merce e dopo profonda riflessione razionale, sceglie cosa comprare nel proprio Migliore Interesse, che poi diventa l’Interesse di Tutti.
Nella Politica, ogni singolo Cittadino si informa con cura sulla situazione del paese e del mondo, e dopo profonda riflessione razionale mette una X sulla schedina nel proprio Migliore Interesse che poi diventa l’Interesse di Tutti.
In entrambi i casi, la Ragione del Attore Economico/Cittadino deve poter operare su informazioni che non siano censurate e truccate da interessi.
Le informazioni non solo dovrebbero essere vere, ma anche complete.
Poniamo che sia mio interesse schiarirmi i capelli.
Ho l’informazione che l’acido muriatico schiarisce.
Mi verso in testa una boccetta di acido muriatico. In effetti, i miei capelli si schiariscono subito, per cui l’informazione non era falsa…
Ora, nel mondo reale, che è tutt’altro posto, le Informazioni sono una Merce.
Un Imprenditore decide di produrle, ma ci vogliono tanti soldi. Per rientrarci e guadagnarci pure, la Merce deve essere venduta.
Nel caso delle altre Merci, di solito un prodotto concreto (tipo dentifricio) viene accompagnato dalla pubblicità (“questo sconvolgente sorriso vince sempre...”).
La Merce Informazione invece è la pubblicità di se stessa. Come venderti il poster della signora di cui sopra, senza nemmeno il tubetto.
Ma la Pubblicità non è altro che una forma di seduzione. Il piccolo imprenditore che mira a portarsi a letto la vegana innamorata di Rilke si imparerà a memoria le poesie di Rilke e si mangerà le bistecche di nascosto, mica le parlerà di partita doppia o dell’incremento dei saldi del debito commerciale.
Ne consegue – semplificando – che il prodotto spacciabile sia sono solo dei rimandi a cose che già ci interessavano.
Mentre le Notizie riguardano normalmente realtà di cui non sappiamo nulla: per quello sono novedades, news, nouvelles, novosti…
Solo che chi ce le deve vendere, sa che le cose nuove ci piace bercele da botti vecchie, se no non le capiamo. A scuola siamo stati costretti a imparare cose nuove. Ma il sito di Repubblica non può strillare, “vieni da noi che ti spieghiamo il diagramma di Voronoi!” (che è interessantissimo, a pensarci, ma non seduce).
Questo significa che ogni “novità” deve essere tradotta in un antico racconto.
Una sorta di fiaba minimale, in cui in 32 secondi e mezzo,ti raccontano e ti ri-raccontano che c’è:
L’Orco che fa cose brutte cose alla principessa
La Fata che con una magia fa belle cose che fanno stare meglio
Queste due categorie sono sufficienti per capire l’universo mondo, e costituiscono circa il 90% del contenuto dei media.
Tre esempi al volo.
Dal Fatto Quotidiano. Qui non sappiamo nulla su chi sia il quindicenne in questione (sappiamo solo che è tunisino), quale sia la sua storia, quali siano le direttive del Conad in merito a furtarelli, quanti furti subisca quella specifica filiale della Conad, se magari a chiamare la polizia si stato uno dei tanti senegalesi addetti alla security, dove vivano normalmente i “minori non accompagnati” a Bologna, come il ragazzo sia arrivato in Italia, quali siano le regole in questo caso…
Non sappiamo nemmeno per quale partito voti il responsabile di quella particolare filiale della Conad.
Ma c’è un fantastico florilegio di commenti. Tutti italiani doc, che si insultano a vicenda con una violenza degna di altre cause:
“Voi di Sinistra esaltate questi delinquenti che vengono da altri paesi!”
“Voi di Destra volete far mettere in galera i ragazzini di quindici anni che si prendono i cioccolatini!”
Notate l’elemento fondamentale: il nemico non sono né i tunisini, né gli addetti alla sicurezza del Conad, né i carabinieri. Sono italiani della fazione opposta.
L’altro giorno, il Fatto Quotidiano, merito suo, aveva messo in primo piano il fatto che un terzo dell’economia mondiale e una metà della popolazione del pianeta aveva dichiarato (per ora in modo delicato) la secessione dal cuore del sistema militare/industriale/informatico del mondo, gli Stati Uniti. Insomma, la prima notizia era la riunione dei BRICS.
Sono andato sul sito di Repubblicae ho trovato che le principali notizie erano invece queste:
Generale Vannacci stia più attento: ecco perché la pelle bianca non significa italiani
il responsabile comunicazione della regione lazio Marcello De Angelis inneggia a Himmler. Fiano: “Il post antisemita è di un anno fa, nessun pentimento” [in realtà aveva solo regalato al Ciucciadati di Zuckerberg la foto di una candelina accesa per il solstizio d’inverno, che qualche archeologo incredibilmente colto ha scoperto che somigliava a qualcosa che usava qualcuno in Germania un quasi-secolo fa]
Coperta di cioccolato nel resort, il manager: “Una vergogna, io l’unico a lamentarmi. Quella donna trattata come una stoviglia”
Mahmood, l’amarezza del padre per le canzoni che lo hanno reso celebre: “Non l’ho abbandonato, se lo pensa cambi cognome”
Lite in volo per bambini vivaci: l’aereo per Roma torna a Olbia. La mamma ora rischia una denuncia
“Faticavo a uscire di casa, ora sono tornata a vivere”: il racconto di Sofia Scarparo, prima bagnina trans italiana
Qualche ora dopo,persino il quotidiano degli Agnelli si accorge che è cambiato il pianeta, e mette anche la riunione dei BRICS al livello della mamma che rischia una denuncia.
Il giorno dopo, il Fatto Quotidiano riesce però a compiere il capolavoro, mettendo in cima a tutto:
Cioè, il Presidente della Repubblica interviene al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione (e già questa sarebbe una notizia interessante, perché ci è andato?).
Il Presidente della Repubblica in realtà, a sua eterna vergogna, non ha mai citato le poesie autopubblicate del mio amico contadino Giovanni Pandolfini.
E per lo stesso motivo, non ha mai menzionato l’ex-dirigente dell’Istituto Geografico Militare Vannacci, che si è autopubblicato anche lui un piccolo testo.
Il titolista riesce a trasformare una carica di Banalità Presidenziali in una lezione personale impartita dal Presidente della Repubblica a un tizio che si è autopubblicato un libro (Vannacci, non Pandolfini, che tra i due probabilmente scrive cose più interessanti).
Però sono storie che chi ci gode a sentirsi raccontare storie, è sempre pronto a fare clic sulla pubblicità senza la quale non avremmo né Repubblica né il Fatto Quotidiano.
Ho finito di leggere un libro la cui lettura consiglio vivamente a tutti, Congo, di David van Reybrouck.
Quando dall’alto del nostro EuroDitino Imperatore guardiamo il resto del mondo, ci immaginiamo una geografia tutta storta.
Se sovrapponessimo il Congo (Repubblica Democraticissima del…) sulla mappa dell’Europa, a ovest arriverebbe all’incirca a Parigi, a est a Mosca, a nord al circolo polare artico, al sud a Firenze.
Si stima (con creativa fantasia) che vi abiti qualcosa come la popolazione dell’Italia e della Francia sommati. Il libro di Reybrouck è di quasi dieci anni fa, ma l’autore ci ricorda che l’unica forma di anagrafe che i congolesi ricordavano era la tessera del partito di Mobutu, destituito nel 1997, poi più nulla…
Tralascio la narrazione degli anni di guerra totalmente ignorati dai nostri media (a differenza delle nostre istituzioni, che hanno versato miliardi di euro in un pozzo senza fondo): quelli che si divertono a fare calcoli impossibili stimano qualcosa come sei milioni di morti a partire dal 1997.
Quando diciamo “guerra”, pensiamo subito ai contendenti, e non a ciò che i contendenti appunto si contendono. In questo caso, le risorse di uno dei paesi potenzialmente più ricchi del mondo: ai tempi del famoso re Leopoldo, il Congo non aveva solo le zanne di elefanti da sterminare, aveva la gomma che faceva andare tutte le auto del mondo; ai tempi della bomba atomica e poi delle centrali nucleari, produceva uranio; ai tempi degli smarfi, produce il coltan senza il quale non potremmo andare su Instagram.
E c’ha pure i diamanti e l’oro, senza parlare del legname. Sfiga pura, insomma.
La “guerra” è semplicemente la maniera che alcuni imprenditori trovano per portare tutto questo ben di Dio nel mercato globale. E se ne non hai voglia di pagare i soldati quattordicenni, almeno li fai divertire un po’ lasciandoli stuprare in libertà.
Van Reybrouck ci racconta del principale ospedale della città di Lubumbashi, nel Katanga, una regione ricchissima di risorse e relativamente risparmiata dai massacri.
Da quattro anni, l’ospedale non riceveva una goccia di acqua.
Per cui i pazienti defecavano e pisciavano, mese dopo mese, anno dopo anno, nei corridoi, fino a formare un solido strato di deiezioni, alto ovunque quattro centimetri, una sorta di supertappeto.
Van Reybrouck dice di aver visitato l’ospedale nel 2007, saranno passati tanti anni e non so se nel frattempo sia arrivata l’acqua.
Ma leggo che nel 2018, in tutti gli ospedali della stessa città, chi non poteva pagare cifre non da poco per le cure mediche,veniva detenuto dall’ospedale. Non ho idea cosa ci facevano con i pazienti detenuti, ma immagino qualcosa di utile.
Van Reybrouck dice che quando un congolese pensa al paradiso, pensa di andare naPoto, un’antica storpiatura di Portogallo: l’Europa.
E quando pensa all’inferno, pensa a Makale, il quartiere dove si trova il grande carcere di Kinshasa. Dove da tempo immemorabile, i carcerieri non ricevono alcuno stipendio, e i carcerati non ricevono alcuna forma di alimentazione.
Se io fossi un congolese, vorrei anch’io andare nel Poto. E anche se fossi un egiziano, che fanno altri 110 milioni (circa!).
Come la splendida Fatima, che faceva l’avvocata in Egitto, e ha mollato tutto per sopravvivere con il marito pizzaiolo e i figlioli, arrangiandosi a fare le pulizie nelle case.
E anche se ne so poco, se fossi uno dei 215.548.400 nigeriani (secondo il creativo calcolo pignolo di Wikipedia); o uno dei 120 milioni di abitanti della Fēdēralāwī Dīmōkrāsīyāwī Rīpeblīk dell’Etiopia (che come colonialismo linguistico mi sembra un esempio non da poco), con una guerra civile che dura in un modo o nell’altro dal 1974.
Dei due l'una. O i terzomondiali sono poveri bambini che devono ancora scoprire la civiltà, o trovarsi alla periferia del dominio capitalista - e l'Africa è l'esempio supremo - porta alla catastrofe.
E ci abbiamo messo solo l’Africa, senza parlare di chi ad esempio fugge dalla Siria e dalla “Primavera” che l’Occidente le regalò graziosamente nel 2011, e senza riprendere il discorso sul Messico.
L’altro giorno, per riportarci alla realtà, sono sbarcati 196 migranti nel piccolo porto di Carrara, in Toscana, salvati in mare da Open Arms.
Una giornalista della Nazione di insolita sensibilità raccoglie qualche storia:
Però è il sesto sbarco di questo tipo solo quest’anno nel porticciolo di Carrara. E nessuno ha idea dove mettere tutta questa gente.
Che è una frazione infinitesima di quella che sarebbe l’immigrazione, se tutti quelli “senza futuro” non fossero costretti a esborsare soldi che non hanno indebitando parenti che non hanno nulla nemmeno loro, non dovessero rischiare di finire truffati a morire di fame e di sete nel deserto, non dovessero subire stupri, non dovessero rischiare l’annegamento in mare.
Insomma, le cose che fanno desistere il 96,78% degli aspiranti migranti (a Wikipedia piacciono le cifre precise, me le posso inventare anch’io?).
Oggi mi raccontavano di trenta case popolari che il Comune di Firenze potrebbe recuperare vicino a casa mia, per le migliaia di fiorentini sfrattati, e che se ne stanno abbandonate. Ma sono trenta, e tra i fiorentini e le sopravvissute ai naufragi, chi se li dovrà contendere?
La Destra ha promesso di risolvere il problema, e la Sinistra l’ha accusata di razzismo.
La Destra è arrivata al potere, e ovviamente non ha risolto un problema che è grande quanto tutto il continente africano e tutta la storia del mondo dall’Ottocento in qua.
Anzi, gli “sbarchi clandestini” sono aumentati proprio con il governo della Destra. Solo che la Destra comprensibilmente nasconde il fatto, e la Sinistra non può certo accusare la Destra di essere troppo poco dura nei confronti dei clandestini.
Quindi tutti zitti, finché non entrano in crisi gli ottomila comuni italiani che devono affrontare la catastrofe planetaria.
Il sindaco piddino di Prato, Matteo Biffoni, che ho conosciuto in altri contesti, dice molte cose giustesul piano delle piccole realtà italiane che si trovano davanti quello che sta succedendo.
Ma parte sempre da una lettura sbagliata della carta geografica e demografica: Congo, Etiopia, Nigeria, Egitto, per citare solo alcuni paesi, sono molto più grandi dell’Europa. E non sanno dove andare, se non, in Europa.
Quando si vota, la scelta è alla fine solo quella, dopo la triste fine del Movimento Cinque Stelle.
Vedo una scritta sul muro:
“Basta bruciare fossili – bruciamo le frontiere!”
Avete indovinato, è una scritta di Sinistra. Nel senso che intende la Destra – quelli di Sinistra sono Gretini che vogliono farci invadere dai Terzomondiali che noi dovremmo mantenere a sbafo.
O ti compri tutto il Pacchetto Sinistra, o lo butti tutto a mare.
Ora, una mente con un minimo di indipendenza si chiederebbe subito, cosa c’entrano i carburanti fossili con le frontiere?
Secondo me parecchio, ma in un altro senso.
La ricerca di carburanti fossili ha segnato una fase cruciale della storia umana, in cui si sono violate tante frontiere.
Senza scomodare il momento in cui gli statunitensi bruciarono il confine dell’Iraq…
Una per tutte, la Guerra del Chaco, 1932-1935, quando i paraguaiani – foraggiati dalla Royal Dutch Shell anglo-olandese – si sono scontrati con i boliviani – appoggiati invece dagli statunitensi di Rockefeller – per il controllo dei depositi di petrolio. Circa centomila morti ammazzati. Senza selfie e senza smarfi.
Huey P. Long, il mitico senatore pacifista della Louisiana, definì con scientifica lucidità i Rockefeller come una “banda di omicidi che sono andati laggiù e hanno affittato dei sicari“.
E Pablo Neruda avrebbe scritto:
ecco che arriva la Standard Oil
con i suoi cartelli e le sue botti,
con i suoi assegni e i suoi fucili,
con i suoi governi e carcerati.
I suoi obesi imperatori
vivono a New York, sono dolci
e sorridenti assassini,
che comprano seta, nylon, sigari,
tirannelli e dittatori.
Comprano paesi, villaggi, mari,
polizie e deputazioni,
lontane regioni nelle quali
i poveri serbano il loro mais
come gli avari l’oro:
la Standard Oil li sveglia,
li mette in uniforme, e gli indica
qual è il fratello nemico,
e il paraguayo fa la sua guerra,
e il boliviano si distrugge
con la mitragliatrice nella selva.
Ma se sono i carburanti fossili che mandano avanti l’economia europea, e se smettessimo di bruciarli, i disperati del mondo che interesse avrebbero a venire in Europa?
Oppure, come potrebbero arrivare i migranti in Europa senza carburanti fossili?
Come vedete, sto pensando fuori dalle coordinate.
In questi giorni, le coordinate ci stanno raccontando “in prima pagina” come si diceva ai tempi della carta stampata, una vicenda sommamente ridicola.
Un militare/burocrate del tutto sconosciuto, a capo dell’Istituto Geografico Militare noto solo a quelli che facevano passeggiate in montagna in tempi pre-googlemaps, decide di autopubblicare un libretto dove si sfoga sui tempora e sui mores.
In realtà, il generale Roberto Vannacci si era già fatto sentire, inascoltato, una ventina di anni fa, per aver sollevato i danni sofferti dai militari italiani a causa dell’uranio impoverito sparso a pieni mani dalla NATO quando (tra l’altro) gli zingari furono cacciati dal Kosovo.
Possiamo immaginare che l’unica acquirente pagante del libercolo sia stata la sua mamma, e che abbia regalato qualche decina di copia ad amici. La cosa brutta è che uno di questi si è pure letto almeno qualche riga del libro, e ha colto l’occasione per rovinare il suo amico, facendo la spia a un giornalista di Repubblica.
Poco dopo, il nostro autopubblicante si trova infatti la carriera stroncata dal Ministro della Guerra in persona.
“Prima pagina” del Fatto Quotidiano oggi
Scroscianti applausi a Sinistra al Coraggioso Ministro della Guerra.
Ora, il Ministro della Guerra che accoglie gli applausi di Sinistra è il trafficante d’armi internazionale Guido Crosetto, cui abbiamo dedicato un post qualche anno fa.
Il bello è che possiamo dire cose inoppugnabili su questo trafficante d'armi, sapendo che il trafficante d'armi in questione non avrà mai il coraggio di denunciarci, perché non rientra nei meccanismi del politicamente corretto, e comunque non gli conviene dire, "sì, mi hai sputtanato, ma avevi ragione".
Un “obeso imperatore”, per citare Neruda, che è il fondatore del partito (di Destra) attualmente al governo.
Il signor Crosetto non sembra particolarmente “dolce”, per citare Neruda, ma è qualche volta “sorridente”, o almeno sghignazzante:
dove vediamo chi comanda tra la Coatta Fascista della Garbatella che rende tutti isterici, e il Trafficante d’Armi che non interessa a nessuno
Ora, il fondatore del Partito di Destra attualmente al potere ha svolto prima il ruolo di sottosegratario a quella che chiamano “Difesa” (lo se che viene da ridere pensando che l’Italia da quando esiste ha fatto tante guerre, ma nemmeno una difensiva). Dove poteva decidere gli appalti delle imprese che si occupano in maniera professoinale di omicidio (e mi dicono che agli italiani riesce bene come il vino Chianti).
Subito dopo, l’Obeso Imperatore passa a diventare dirigente delle stesse imprese per cui decideva gli appalti, diventando presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (AIAD) di Confindustria e nello stesso anno diventa Senior Advisor di Leonardo.
Poi poco tempo fa, il signore che campava vendendo ai sauditi strumenti per accecare, storpiare, mutilare, amazzare yemeniti, viene improvvisamente chiamato al posto di comando dove si decide se è legale o no vendere miracolosi prodotti made in Italy che storpiano, accecano, mutilano e ammazzano yemeniti.
Ma il signore che di mestiere a volte vende e a volte compra a spese di noi contribuenti strumenti di tortura, assassinio e morte, è indiscutibile per la Sinistra: ha stroncato un tizio che si è sfogato scrivendo qualche parolina di troppo, in un contesto dove non poteva fare male a nessuno.
“il Consiglio dei Ministri ha attestato che l’esportazione di bombe e missili verso l’Arabia Saudita non ricade nei divieti di esportazione stabiliti dall’articolo 1, commi 5 e 6, della legge 9 luglio 1990, n. 185, essendo conforme alla politica estera e di difesa dell’Italia.”
Non so come sia andata in parlamento la “disposizione” in questione; ma non ho sentito che su questo, la Sinistra avesse sollevato il polverone che ha sollevato sul libretto autopubblicato del generale Vannacci.
Che la Made in Italy, scritto in inglese e nemmanco in italiano, è sacro anche per loro.
Sono in una grotta, ampia e misteriosamente illuminata da dentro.
La perfezione con cui disegniamo i nostri sogni è davvero straordinaria, ognuno di noi, in sogno, supera i grandi artisti del mondo della veglia.
Ogni sogno ha una trama, ricca come un’opera teatrale, e il mio ha una trama coinvolgente, che non mi ricordo e che non importa, proprio come le cose cui diamo importanza nella veglia.
Di tanto in tanto, do un’occhiata all’unica, stretta uscita della grotta.
Ogni volta, si restringe, e l’ultima volta la trovo interamente tappata con una colata di cemento.
Provo con le unghie a smuovere il cemento, ma non la intacco.
E in quel momento, mi trovo nella situazione di tutti noi: in un luogo splendidamente illuminato, dove c’è una trama avvincente che nemmeno mi ricordo. Un Occidente, per capirci.
Solo che io so che la luce è puramente artificiale e che ogni respiro che faccio, mi avvicina alla morte per soffocamento. E’il fatto stesso di respirare per vivere, che mi condanna a morire.
Romano, che ha ottanta-e-pass’anni e parla una lingua che nelle sue mille sfumature, morirà con lui – e non ho il coraggio di puntargli una telecamera in faccia per salvarla – mi racconta della Conversa dove la sera senza luci stavan su a raccontarsi storie e a parlar male del Duce che portava i loro figli a morire in luoghi che nessuno di loro conosceva,
e qualche anno dopo erano alla Conversa ad ascoltare il Bugiardo – che era la RAI – e poi ad ascoltare gracchiante la Trombetta, che era il suono con cui si annunciava Radio Praga e l’altro mondo che nel loro sogno di contadini si sarebbe liberato dai Padroni…
Romano nella Conversa ha trovato poco tempo fa un buco tra i sassi, e dentro c’era una cucciolata di ghiri.
Una volta ho visto una madre ghiro terrorizzata, sospesa sulla trave di un’antica casa, che non si decideva di sfuggirmi, perché sapeva che il suo piccolo era da qualche parte e rischiava, come ogni vivente, la morte
Sieeh.. i ghiri ti faranno pure tenerezza, ma mangiano tutto ciò che con la fatica di mesi hai messo da parte, annusano persino la lana nei nostri materassi antichi, se ne senti i piccoli passi nella notte, c’è da avere paura per tutto ciò che gli umani hanno costruito con straordinaria fatica.
E allora Romano ha sigillato con il cemento la loro grotta, con loro dentro.
Penso al mio sogno: esattamente quello che dovevano aver vissuto in quel momento i ghiri.
Mentre sento il mio ultimo respiro che esce, aggiunge:
“Ma il giorno dopo, ho visto che avevano fatto un buco nel cemento, erano scappati!”
Stanotte, proprio come Romano, ho condannato a morte tre grosse lumache, che si erano insinuate in quella che ho deciso è la casa mia e non la loro.
Quando San Pietro me lo chiederà, spero di avere il coraggio di dirlo.
Sì, sapevo quello che facevo, sapevo che moriranno disseccate, affamate e bollite sotto il sole di agosto.
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